Lamole di Lamole: un pezzetto di storia sta anche qui, fra Chianti Classico Riserva e Vigneto di Campolungo

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lamole-di-lamole-bottiglie-rIl territorio è quello del Chianti Classico. In basso c’è il fondovalle dove scorre il fiume Greve; salendo si attraversano fitti boschi di faggi, rovere e conifere e si giunge nel borgo di Lamole che sta al confine fra la provincia di Siena e quella di Firenze. Siamo piuttosto in alto quindi, tanto che per molto tempo si è associato questo luogo a presunte forti escursioni termiche, smentite poi nella realtà da misurazioni più accurate che testimoniano di una differenza di una decina di gradi in estate, anche perché il calore sale verso l’alto e la temperatura di notte è difficile che scenda sotto i 20 gradi.

Sotto i piedi c’è, in prevalenza, il “macigno del Chianti”, poi alberese e galestro; comunque terreni drenanti, dove affondano oggi le radici di 81 ettari di vigneti piantati ad altitudini che variano da 350 a 650 metri sul livello del mare, immersi in un clima continentale e con una fotosintesi clorofilliana amplificata grazie alla luce riflessa dai tanti muretti a secco (sì, un pezzetto del recente riconoscimento Unesco sta anche qui) che riflettono e “temperano” il clima restituendo nella notte il calore accumulato durante il giorno.

lamole-di-lamole-2Lamole di Lamole è guidata dal front man affabulatore Alberto Ugolini e dall’enologo Andrea Daldin, che unisce all’intuito contadino che subodora i mutamenti della stagione e (se serve) “sterza” con rapidità le pratiche in vigna, l’uso della tecnologia, ad esempio nell’utilizzo dei lettori ottici per selezionare le uve usando criteri cromatici, ossia scartando il verde e il marrone. L’azienda fa parte da tempo del gruppo vinicolo veneto Santa Margherita, che ha investito recentemente anche nel food con Vitique, nei pressi di Greve in Chianti e con Riccardo Vivarelli in qualità di chef “autoctono”.

E la storia della viticoltura toscana, e magari italiana, è scritta anche qui, perché i primi vigneti vennero piantati ad alberello nel marzo 1945, alla vigilia della Liberazione e all’alba dell’era post-bellica. Ne resistono 4 ettari, e non deve quindi sorprendere che qui sia stato identificato un clone di sangiovese, l’R10 di Lamole, al quale sono stati poi affiancati quelli selezionati dalla “nuova viticoltura” del Chianti Classico.

In questa verticale c’è un pezzetto della storia di Lamole di Lamole, tracciata in un percorso che unisce annate molto diverse fra Riserva e cru Vigneto di Campolungo, che comprende viti degli anni ’80, e che è diventato l’attuale Gran Selezione.

lamole-di-lamole-4Chianti Classico Riserva 2014
Vino figlio di una annata piuttosto sfortunata dal punto di vista climatico, ma con una buona ripresa a settembre a ridosso della raccolta. Una di quelle vendemmie che premiano chi ha compiuto scelte agronomiche intelligenti per poter ritardare la raccolta. Nel bicchiere un colore rubino porpora di bella luminosità e un naso largo e “leggero”, marcato da sensazioni floreali accompagnate da un frutto rosso fresco. Più levità che opulenza, e grande ampiezza in una beva pungente, succosa e saporita. Buone vibrazioni nel finale.

Chianti Classico Riserva 2012
Annata molto diversa questa, il cui calore ha probabilmente influito su un olfatto improntato sulla frutta matura, ribadita in una beva vellutata, rotonda, che riesce ad essere progressiva. In chiusura si avvertono toni amaricanti.

Chianti Classico Riserva 2005
Il 2005 è l’anno della nuova cantina nella quale ad ogni ettaro di vigna è dedicata una vasca di fermentazione. È stata anche questa una annata calda, e al naso il bicchiere mostra note evolute e toni di frutta macerata. Al palato è snello, di un dinamismo forse un tantino scomposto, con un finale segnato da una carica tannica inaspettata e da una certa rudezza.

Chianti Classico Riserva Vigneto di Campolungo 2001
Troneggia la magnum di questo vino (che oggi è diventato Gran Selezione), la cui annata segna l’inizio della conversione al biologico: l’uso di aloe, propoli e alghe aumenta la resistenza a funghi consentendo la riduzione di rame e zolfo i quali, pur consentiti, non sono esattamente il massimo della salubrità. Si osserva nel bicchiere un colore rubino con sfumature granata ed un olfatto solido, nel quale si avverte un sottofondo di frutta nera del bosco su cui si innestano toni balsamici, di cioccolato ma anche più delicate sensazioni di fiori secchi. Compatto, spesso e concentrato in bocca, sfoggia potenza e una decisa componente salina. Bella finezza tannica.

Clamole-di-lamole-1hianti Classico Riserva 1999
Sullo sfondo un tappeto di erbe aromatiche, in primo piano caffè, tabacco e un carattere elegante in un olfatto persistente. In bocca è vellutato e succoso, mettendo in evidenza buona materia ed una salinità che emerge nel finale dal tannino delicato.

Chianti Classico Riserva Vigneto di Campolungo 1995
La superficie del vigneto di Campolungo, originariamente di sei ettari quando fu piantato nel 1982, è stata poi aumentata di altri tre nel 2004. Un vino questo che va atteso nel bicchiere prima che emergano, lente ma chiare, piacevoli sensazioni di frutta rossa. Anche qui trama leggera e vellutata, e poi il marchio di fabbrica del sangiovese agée: l’arancia sanguinella.

Chianti Classico Riserva Vigneto di Campolungo 1985
Purtroppo il tappo non ha retto al passare del tempo. In filigrana si avvertono comunque reattività ed una espressività sorridente.

La degustazione ha beneficiato anche dell’accoglienza del ristorante Konnubio di Firenze con i piatti della chef Beatrice Segoni e dello chef del Vitique Riccardo Vivarelli, e delle parole del sommelier del ristorante Simone Loguercio, vincitore del premio Miglior Sommelier d’Italia Premio Trentodoc 2018. Le foto di questa galleria, oltre a quelle di Andrea Daldin e delle bottiglie, sono di Alessandro Ghedina; le restanti dell’autore

Riccardo Farchioni

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