I vini del mese e le libere parole. Dicembre 2018

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Cinquanta sfumature di bianco, o del concetto di profondità.

Profondità come idea semplice, profondità come idea complessa, profondità che fonde entrambe le idee e tu non sai che scegliere.

Profondità del non detto, profondità dei ricordi più cari.

Profondità di un momento condiviso, in compagnia di vini che parlano il linguaggio dell’autenticità.

Per tutto questo bendiddio di profondità, niente di meglio delle libere parole.

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Valle Isarco Riesling Kaiton 2016 – Kuen Hof

Potrei anche fare il giro del mondo, so già però che dovrò ritornare qui, perché Kaiton ci sarà sempre ad abitare i ricordi migliori. Paradigma del Riesling italiano, la nobiltà e l’eleganza che muovono dalle sue trame ti parlano di naturalezza espressiva, lì dove profondità e continuità di sapore (incredibili) restano esclusivamente appese ad un’essenza che si nutre di “non detto”, e alle sfumature più sottili di cui sono dispensatrici ispirate certe suggestioni d’altura.

Profuma di piccole infiorescenze, erbe di montagna e pietra, Kaiton 2016, e ci regala una salinità grondante d’ascendente minerale portata in dote da quei suoli di scisto e quarzite. Già, la complessità minerale: per il suo autore, Peter Pliger, l’evidenza più distintiva derivante da tutte le premure che facciano a meno della chimica per percorrere altre strade.  Lui è solito dire che “perdi sempre qualcosa, se fai qualcosa”, ma qui ogni gesto che abbia ha che vedere con la terra, la vite o il vino sembra davvero ubbidire ad una insopprimibile esigenza etica.

Chissà se l’unicità dei suoi bianchi, e quella loro straordinaria nudità, dipendano da una visione olistica della vita, ciò che respiri appieno se ti rechi all’antico maso Kuen, lungo la via del Brennero.

Semplicemente, in quella dimensione al contempo fattuale e spirituale, ti immagini che Peter abbia trovato un approdo in grado di farlo stare bene, soprattutto con la sua coscienza di uomo e di agricoltore. Ed è un pensiero, questo, che dà conforto.

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Mosel Riesling Kabinett Wiltinger Braune Kupp 2012 – Egon Müller

Bere un vino così in compagnia porta con sé il bello e il brutto. Il bello sta nell’empatia immediata che si crea fra lui e gli astanti, soprattutto se questi ultimi sono tipi sensibili a un’idea di bellezza matematicamente perfetta. E un vino così la compagnia degli astanti la conquista a mani basse, per affetto o per knock-down, a seconda dei casi, contribuendo ad orientare verso l’indelebile il ricordo di un momento condiviso.

La cosa brutta è che, se tutto ha una fine, lui la fine la vede troooppo in fretta, il tempo di un lampo, costringendoti ad ordinare un’altra bottiglia; non proprio il massimo della strategia, diciamo, per un offerente calato in mezzo ad un tavolo di bevitori smaliziati. Perché ha lo straordinario potere di stimolare la compulsione, e ben presto te ne accorgerai per via di tutti quei bicchieri basìti che iniziano a roteare senza mèta, per inerzia, con niente all’interno, come in attesa.

Non so se appartenga ad Egon Müller , leggendario produttore mosellano nella cui famiglia, da generazioni, i primi figli maschi si chiamano tutti Egon (nomen omen?), il primato relativo al “tempo minimo di scolamento di una bottiglia di vino con numero prestabilito di bevitori inferiore o uguale a 4”. Per la verità non so neanche se esista tale categoria di prova, o se vi siano tracce di una sua catalogazione. In ogni modo saremmo noi a detenere il primato, questo è certo. E fosse per noi -noi di quella sera dicembrina trascorsa al Ristorante Romano di Viareggio– il libro dei Guinness conterebbe di già una voce in più.

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Côtes Catalanes Matassa Blanc 2011 – Domaine Matassa

Vin de Pays de Côtes Catalanes Vieilles Vignes 2011 – Domaine Gauby

Il maestro e l’allievo. Gauby fra gli “scoperchiatori” di un antico privilegio, originato da una dote in vigne centenarie capace di raccontare più di mille parole e di stimolare nuove coscienze verso nuove imprese; Matassa fra gli ultimi arrivati ma già entrato nel cuore degli appassionati più esigenti sul fronte dei vini di personalità. E qui, signori, di personalità ne avrete a bizzeffe.

Perché l’enclave di Calce, nel Roussillon “francioso”, incastonata fra le Corbiéres e i Pirenei di un luminosissimo Sud-Ovest, rappresenta oggi un avamposto di singolarità che va traducendosi in bianchi luminosi, solari, vibranti, longevi da non temere confronti, costituiti da vitigni dei luoghi che di nome fanno grenache blanc, grenache gris, maccabeu.

Inutile menarla per le lunghe, ma se vi dicessi che questi vini mi emozionano molto di più dei bianchi di Borgogna, pensate che l’abbia sparata troppo grossa?

Siamo al volgere dell’anno, e i mortaretti ci stanno, però le sfaccettature, le suggestioni e la potenza evocativa di questi vini così singolari e riconoscibili non te le puoi inventare: sono quelle dei vini di razza, e i vini di razza a mio parere sono tali grazie a ciò che posseggono di per sé, senza ricorrere ad intermediazioni o a cliché di sorta. E questi due bianchi qua sono vini liberi e non forzati, lo senti.

Dal confronto in contemporanea, Gauby mostra un bilanciamento nei toni, una profondità e una freschezza inarrivabili ai più, mentre la sua indole mediterranea si tramuta in un sorso elettrico e vitale, di pura interiorità ed eloquente forza espressiva, al punto da stagliarsi nel novero dei grandi.

Il giallo di Matassa è più acceso, e al naso i profumi risentono dell’evoluzione in misura maggiore, sia pur incanalati su un registro fruttato, “campestre” e cerealicolo di struggente coinvolgimento. E’ al palato che cambia faccia, rilasciando una salinità inarginabile, tanto da aprirsi a coda di pavone in un finale irradiante e lunghissimo.

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Alsace Riesling Cuvée S.te Catherine 2007 – Domaine Weinbach

Attorno all’etichetta di uno struggente Riesling Cuvée Sainte Catherine 2007 di Domaine Weinbach ho intessuto i ricordi più cari. La prima volta fu venti anni fa: Colette Faller in persona, la regina del vino alsaziano, mi fece accomodare in cucina perché la sala degustazione era occupata. Ricordo un caminetto monumentale, e le pentole attorno, e un tavolo lunghissimo. Ero dentro a un quadro, irretito, sperso e al contempo sorpreso di tante premure.

Poi ad un tratto spuntò lei, una ragazza bellissima con le calosce da fantino. Emanava luce, ci fu un irraggiamento. Si chiamava Laurence, ed era una delle figlie di Colette. In altre parole, colei che aveva preso da poco le redini della mitica cantina di Keysersberg.

Sulla bottiglia di ieri campeggia ancora il suo nome, assieme a quello della madre e della sorella Catherine. La sua luce si spense anzitempo, drammaticamente, quattro anni fa. Volevo riaccenderla. Quel vino ci è riuscito, ed io ho ricevuto in dono lo stesso fremito.

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Nella prima immagine: ” Giovane con un fiasco di vino” di Gaspare Traversi

 

 

FERNANDO PARDINI

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