Ridotto il rame in viticoltura: strategie agronomiche e fitoiatriche (parte prima)

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Recentemente la Comunità Europea ha ridotto l’utilizzo del rame in agricoltura da 6 a 4 kg ettaro per anno su una media di 7 anni (qui).  Questo significa che in 7 anni non si potranno utilizzare più di 28 kg di rame ad ettaro.

Tale riduzione costituisce una sorta di compromesso trovato dalla stessa Comunità Europea per rispondere a due fazioni contrapposte: da un lato il mantenimento dello status quo, voluto da parte dei paesi dell’area mediterranea preoccupati per la sostenibilità economica delle colture bio, dall’altro i paesi nord europei che avevano proposto l’azzeramento dell’uso del metallo in agricoltura. La decisione diverrà operativa dal 1 febbraio prossimo.

La tossicità del rame come metallo pesante è documentata da anni, soprattutto in relazione alla tossicità verso batteri e funghi del terreno, e in generale verso quella microflora del terreno che viene depressa con dosi di rame elevate ( qui) . D’altro canto il rame è un elemento necessario allo sviluppo delle piante e anche dell’uomo. Nelle piante sono noti ed ampiamente documentati i sintomi di carenza di rame ( qui), ma in questo caso l’utilizzo del rame e il suo limite ha come obiettivo l’azione consolidata e sempre efficace che i sali del nostro metallo svolgono contro molte famiglie fungine e batteriche. In particolare, la scoperta della poltiglia borgognona prima (miscela di solfato di rame e carbonato di sodio) e della poltiglia bordolese poi (miscela di solfato di rame e ossido di calcio) salvarono la viticoltura europea da un disastro epocale.

Ma già prima di questa scoperta si erano notati gli effetti del rame sui funghi nella concia delle sementi. Successivamente l’industria produsse tutta una serie di antiparassitari a base di rame che ampliarono e mitigarono alcuni effetti negativi della poltiglia bordolese (tra cui la fitotossicità): dall’ossicloruro all’idrossido di rame, dal solfato di rame tribasico all’ossidulo, sono state rese disponibili per l’agricoltore diverse soluzioni ai fini del controllo dei parassiti fungini.

Oggi, con la riduzione imposta dalla Comunità Europea, si va nel senso di un impoverimento delle possibilità dei produttori di combattere in maniera efficace i funghi parassiti delle piante, e si apre la porta a soluzioni alternative che in molti casi non sono ancora di facile e sicura applicazione. Per poter valutare l’impatto di questa limitazione occorre però fare un passo indietro e comprendere come il rame, e più in generale i prodotti di “copertura”, siano strettamente legati al loro corretto utilizzo.

In un precedente articolo  ho trattato i problemi della corretta distribuzione degli antiparassitari, che oggi possono essere ancora più stringenti nelle coltivazioni biologiche, data la parsimonia con cui andrà utilizzato il rame. Qui preme sottolineare come anche le irroratrici si siano evolute, potendo recuperare gli eccessi o parte delle derive sia con ugelli antideriva che con accorgimenti tecnici e nuove soluzioni. In effetti questi nuovi modelli possono ridurre fino al 85 % della deriva in aria e del 75 % nel terreno. Soprattutto con il caricamento elettrostatico delle particelle e la forte schermatura ottenuta con cuscini d’aria alla dispersione delle gocce (che si oppone agli errori di bersaglio), è possibile ridurre la dose di principio attivo anche del 30%.

Oggi poi è possibile controllare la distribuzione e la deriva con cartine idrosensibili o con prodotti luminescenti i quali, irrorati durante il giorno, dopo il crepuscolo ci indicano le zone effettivamente colpite dalle gocce. Come si vede dalle foto è possibile determinare la corretta ed uniforme distribuzione utilizzando questi semplici accorgimenti. Le macchine di cui abbiamo parlato sopra si adattano bene a situazioni di filari uniformi e con parete fogliare ben sistemata, e questo ci porta a considerare un altro fattore di cui tenere conto: la forma di allevamento e la sua corretta gestione.

Nella prospettiva di aumentare l’efficacia ma anche l’efficienza dei trattamenti, non è certamente indifferente la forma di allevamento utilizzata per la coltivazione della vite. Una parete verticale, senza fallanze e composta di pochi strati di foglie, rappresenta un sistema più semplice da irrorare che non una forma espansa e irregolare dove si abbiano affastellamenti o sovrapposizioni di tralci e di grappoli.

In particolare, nel caso dell’agricoltura biologica, dove i prodotti sono essenzialmente di copertura, è necessario gestire al meglio tali caratteristiche. La forma in parete quindi appare quella più idonea a consentire una riduzione delle dosi degli antiparassitari e, contemporaneamente, ottimizzarne l’efficacia. Vero è che non è così facile mantenere costanti questi parametri durante l’anno e bisogna anche entrare nella logica di accettare un certo livello di danno. In particolare è possibile concentrare i trattamenti su certe zone dell’apparato fogliare o produttivo riducendo il controllo in quelle zone destinate comunque alla cimatura, magari a distanza di pochi giorni.

Continuando in questa carrellata di interventi volti ad ottimizzare e a compensare la riduzione imposta del rame, non possiamo esimerci dal parlare della suscettibilità varietale alla peronospora, ciò che tratteremo nella prossima puntata.

Lamberto Tosi

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