Brunello di Montalcino 2013: riflessioni su un’annata (e su una identità)

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E’ opinione di chi scrive che l’annata 2013 a Montalcino, in futuro, potrà essere ricordata come un’annata storica, nella quale alcune problematiche sono venute definitivamente alla luce e dove ci si è posti il tema dell’identità del Brunello.

Può sembrare strano eccepire in tal modo ad un successo planetario che negli ultimi anni (in ispecie dopo il fausto 2010) non conosce soste. Si noti che non è qui in discussione la qualità del millesimo, da considerarsi certamente molto buona, con diverse etichette decisamente attraenti e gradevoli, sia di annata che di Riserva, peraltro estesamente e variamente raccontate da tutti coloro che hanno assaggiato prima, durante e dopo l’anteprima di Benvenuto Brunello degli ultimi due anni. Non è mia intenzione fare le pulci alle scelte di tali circostanziate sinossi, piuttosto la mia ambizione è quella di sollevare l’attenzione su COME e PERCHÉ certe etichette siano risultate più o meno buone, con relative implicazioni -a mio giudizio- non da poco.

Il 2013 è stata unanimemente considerata un’annata piuttosto fresca ma regolare, fortunatamente senza i frequenti eccessi di temperatura e/o siccità dovuti ai cambiamenti climatici. In altri termini possibilità di una maturazione prolungata, quindi di una vendemmia tardiva, ergo possibilità di conseguire la piena maturazione delle bucce (leggi: tannini maturi) senza perdere troppa acidità: una manna per gli enologi, che si sono potuti dilettare in estrazioni di strutture importanti con la ragionevole certezza che tannini assai presenti in gioventù potranno col tempo, grazie alla spinta acida, ammorbidirsi e rifinirsi garantendo al vino un radioso futuro. QUESTO AVREBBE DOVUTO ESSERE, ma non sempre è stato così.

Faccio una domanda a tutti coloro che amano il Brunello e che lo frequentano con sufficiente continuità: è proprio vero che la stragrande maggioranza delle etichette che avete avvicinato seguono questo “schema”? Non avete piuttosto riscontrato, lo scorso anno fra i Brunello annata e quest’anno fra i Riserva, più di un vino particolarmente accattivante proprio perché più evoluto rispetto a quanto non fosse lecito aspettarsi in un intervallo così ridotto di tempo?

Intendiamoci, non c’è niente di male che un vino sia pronto da bere: trattasi di un obiettivo finanche ricercato da alcuni produttori, se non altro in quanto il mercato spesso richiede prodotti “abbastanza” pronti già dall’inizio della loro vita utile. Ciò detto, da un Brunello ci si aspetta qualcosa di più e di diverso: la capacità di evolvere, di offrire un qualcosa che un vino più giovane non può dare.

Negli ultimi due Benvenuto Brunello, e nei riassaggi (e libagioni…) successivi, mi sono imbattuto in un numero fin troppo elevato di vini dal colore evoluto, dall’acidità latitante, dal tannino poco saporito, dalla personalità aromatica limitata a una fase che il vino se non altro non dovrebbe avere ancora vissuto (scorza di arancia, spezie, fogliame ecc.). Non sgradevoli in sé, si badi bene, ma da un Brunello giovane si richiede un po’ di verve in più!!

Quali sono le cause di questa “involuzione”? A mio vedere sono due: una di vigna e una di cantina.

È noto come negli ultimi anni la superficie vitata della denominazione sia notevolmente aumentata: non solo è sempre più remunerativo vendere uve da Brunello, perché vi sono grandi negociant che le comprano, ma sono anche sorte numerose nuove aziende, cosicché il numero degli imbottigliatori sfiora ormai quota 300.

Si è piantato sangiovese da Brunello in zone dove fino a qualche decennio fa nessuno si sarebbe mai sognato di farlo. Si ricordi che, a quanto mi consta, nel primo statuto del Consorzio di tutela era prevista l’istituzione di una commissione che doveva giudicare (con potere di veto) la vocazionalità dei siti dei nuovi impianti. E con questo non voglio dire che tutti i marchi più recenti stiano cavalcando la tigre del successo planetario del Brunello senza “consistenza” a monte: numerose aziende di recente costituzione sfornano prodotti straordinari. Piuttosto credo che nella attuale situazione non tutti i vigneti iscritti all’albo siano egualmente adatti a produrre vini di grande qualità.

Questa disparità resta amplificata dai recenti mutamenti climatici, che in soldoni per i viticoltori significano annate sempre più estreme, o troppo siccitose o troppo umide o calde (per lo più). La finestra ideale per la vendemmia è sempre più ridotta; la possibilità di raggiungere un certo tipo di concentrazione che si richiede a un Brunello, mantenendo un sufficiente equilibrio (che vuol dire facilità di beva) con gradazioni alcoliche non fuori dalla grazia di Dio, si fa sempre più problematica. E tanto più quando il sito NON è in una posizione non dico ideale, ma almeno adatta, il che nei nuovi vigneti accade più spesso di quanto si pensi.

In sintesi: IN TANTI SITI PIANTATI PIÙ RECENTEMENTE NON VI SONO LE CONDIZIONI IDEALI PER MINIMIZZARE L’INTERVALLO DI TEMPO CHE INTERCORRE TRA LA MATURAZIONE (zuccherina) DELLA POLPA DELL’ACINO E QUELLA DELLE BUCCE: il che significa che per conseguire tannini di trama appena decente occorre ritardare la raccolta, con la conseguenza di ottenere acidità basse con conseguente rischio di una precoce evoluzione.

E veniamo al secondo problema, la cantina. In generale, i produttori hanno già individuato delle tecniche per ridurre l’impatto dell’estremizzazione delle condizioni di maturazione: leggi una maggiore cura nella gestione della chioma, una maggiore elasticità nell’effettuare i diradamenti, ecc. Ebbene, è mio parere che non altrettanta duttilità caratterizzi -per il momento- i protocolli di lavoro in cantina. E’ una successione di eventi che si concatenano: se in un millesimo più caldo della media si tenta di prolungare la maturazione raccogliendo le uve più tardi, con l’ambizione di produrre un vino strutturato, sarà difficile che non si sacrifichi un poco di acidità. Quindi delle due l’una: o si vendemmia prima per non perdere freschezza, o più tardi per avere una struttura (teoricamente) più vellutata, ma anche più massiccia, che comunque necessiterà di un affinamento in legno più invasivo. E’ chiaro come questo sia uno schema di massima, ma non credo che sia molto lontano dalla realtà, specialmente per quanto attiene le vigne non particolarmente vocate.

Proseguiamo nell’esempio: per quanto si possa essere dei prestigiatori con il legno, sarà difficile smussare del tutto i tannini un po’ crudi di una vendemmia anticipata. Come, all’opposto, un vino più strutturato avrà bisogno di una maggiore permanenza in legno, ciò che potrebbe sottoporlo ad uno stress ossidativo e a un’evoluzione precoce. In entrambi i casi, il risultato sarà un vino non pienamente risolto.

Insomma, OCCORRE RIPENSARE L’AFFINAMENTO IN LEGNO NON SOLO PER LEVIGARE I TANNINI, MA ANCHE PER PRESERVARE L’INTEGRITÀ DEL FRUTTO. Niente di nuovo: in Languedoc – Roussillon, ovvero nel Sud Ovest della Francia, dove hanno problemi simili, ci stanno già pensando. A medio termine potrebbe essere necessario modificare il disciplinare (ma non prolungando il periodo minimo di affinamento in legno, come sostiene qualcuno!!), ma se questo è il trend climatico vale la pena di iniziare a pensarci.

E veniamo alla performance dei Brunello Riserva 2013: con una selezione accurata della materia prima si poteva sperare che i potenziali problemi sopra descritti sarebbero svaniti magicamente, ma sta di fatto che un Riserva resta ancor più tempo in legno. Si stava meglio quando si stava peggio, non ci sono più le mezze stagioni e i vini di oggi non sono più quelli di una volta (e non è detto che sia del tutto un male, aggiungo io). Vi sono “vecchi” Brunello con alcuni decenni sulle spalle che, bevuti adesso, sono semplicemente celestiali (per non fare nomi: Lisini Riserva 1978, Col d’Orcia 1979…..), ma probabilmente le stesse bottiglie, approcciate in gioventù, sarebbero state pressoché inavvicinabili, in quanto figlie di un’altra enologia e certamente di una differente agronomia: le rese per ettaro non erano le stesse, e tanto meno i cloni di Sangiovese. scelti per garantire una quantità di prodotto minima, e non esattamente la maturazione fenolica; magari si vendemmiava un poco prima, per evitare potenziali problemi con un peggioramento autunnale del tempo, ecc. In sintesi, i tannini non erano maturi quanto comunque lo sono adesso e c’era bisogno di più permanenza in legno per affinarli, circostanza che il vino sopportava bene poiché in genere possedeva un tenore acido superiore di quello attuale.

Negli ultimi millesimi, invece, infliggere ad uno sfortunato Brunello che già non brilla per freschezza una permanenza in legno pensata per quando la situazione climatica e lo stato dell’arte agronomico erano diversi, significa incidere pesantemente sul suo ciclo di vita, rischiando di anticiparne l’evoluzione. Il colore granato e certi tipi di riconoscimenti aromatici non sono un’onta per un Brunello, intendiamoci, ma non devono manifestarsi troppo presto!

Visto che la struttura media e l’eleganza intrinseca dei vini della denominazione sono nettamente superiori rispetto al passato, verrebbe dunque da chiedersi se c’è ancora tutto questo bisogno di uscire con un Brunello Riserva, ma le quotazioni che certe bottiglie spuntano sul mercato rappresentano una giustificazione più che sufficiente… 🙂

La sintesi di tutte queste considerazioni è la seguente: dalla fresca e regolare annata 2013 a Montalcino era lecito attendersi vini dalla freschezza tonificante e dalla prospettiva di evoluzione a lunga gittata. Questo non è successo. In diversi, forse troppi casi non è successo. Le cause suesposte sono la spia di una tendenza che pone interrogativi ai produttori sull’adattabilità del loro modo di lavorare ad una situazione climatica in continuo mutamento, nonché sulla rispondenza del disciplinare allo stato delle cose. E’ vero che gli esempi riportati non pretendono di avere valore assoluto, e che occorre prendere in considerazione ciò che succederebbe (ed è successo) in un millesimo all’opposto acido e piovoso come il 2014, ma le conseguenze non sarebbero troppo diverse (tannini potenzialmente immaturi implicano più legno e un rischio di precoce ossidazione). Nel dorato mondo ilcinese forse qualche produttore lungimirante potrebbe iniziare a fare qualche riflessione nel merito: i tantissimi amanti del Brunello (incluso il sottoscritto) ringrazierebbero convintamente .

Riccardo Margheri

Sono oramai una ventina d’anni che sto con il bicchiere in mano, per i motivi più disparati, tra i quali per fortuna non manca mai il piacere personale. Ogni calice mi pone una domanda, e anche se non riesco a rispondere di certo imparo qualcosa. Così quel calice cerco di raccontarlo, insegnando ai corsi sommelier Fisar, conducendo escursioni enoturistiche, nelle master class che ho l’onore di tenere per il Consorzio del Chianti Classico; per tacere delle mie riflessioni assai logorroiche che infestano le pagine web e cartacee, come quelle della Guida Vini Buoni d’Italia per la quale sono co-responsabile per la Toscana. Amo il Sangiovese, Il Riesling della Mosella, il Porto, ma non perdo mai occasione per accostarmi a tutto ciò che viene dall’altrove enoico. Vivo da solo e a casa non bevo vino, poiché per me il vino è condivisione: per fortuna mangio spesso fuori, in compagnia.

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