Dall’oblìo alla riscoperta: il riso Razza 77

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Andiamo alla scoperta di una interessante varietà di riso grazie al racconto di Andrea Bernascone, giovane risicoltore della Bassa novarese, incontrato durante la scorsa Taste Alto Piemonte a Novara.

Il riso Razza 77 fu selezionato alla fine degli anni Trenta presso l’Istituto di allevamento vegetale di Bologna, e deve il suo nome al fatto che quella semente occupava la fila numero 77 nei campi sperimentali dell’Istituto. Figlio di un incrocio tra la varietà americana Lady Wright e la varietà italiana Greppi, nel Dopoguerra divenne il riso da risotti per eccellenza, guadagnando la larga maggioranza delle superfici coltivate rispetto ad esempio al Carnaroli, che, selezionato nel 1946, fino all’inizio degli anni Ottanta rimase marginale nella coltivazione e nell’uso. In cucina si usava il Razza 77. Fu con la fine degli anni Settanta, e soprattutto gli anni Ottanta, che il Razza iniziò un rapido declino, vedendo crollare il numero di ettari dedicati alla sua coltura a favore del Carnaroli e di varietà più produttive.

Gli anni Ottanta videro infatti la consacrazione del Carnaroli come il riso da risotto per eccellenza; le cause del “sorpasso” sul Razza 77 furono molteplici, riassumibili in circa tre punti. Dal lato agronomico, il Razza 77, di statura alta come il Carnaroli (160-170 cm), presenta una spiga molto grossa e pesante, che aggrava il rischio di allettamento. A ciò si aggiunge la sensibilità a una particolare malattia che mina lo stelo all’attaccatura della radice, aumentando ulteriormente le possibilità di allettamento. Le altre due cause del sorpasso furono sul lato dei consumatori. Abbiamo detto degli anni Ottanta: il Carnaroli venne presentato come moderno, in TV le pubblicità erano tutte all’insegna del rinnovamento e della ricerca della novità. Il riso della tradizione aveva le ore contate. In più, ecco la terza causa, i cuochi adottarono il Carnaroli per la sua tenuta in cottura, per la saldezza del chicco, sia, come ipotizza Eugenio Gentinetta* (uno dei più grandi scienziati al mondo nel campo della risicoltura, creatore di innumerevoli varietà di riso) per la sua caratteristica di neutralità di gusto: gli chef possono usarlo come base delle loro preparazioni senza che il suo gusto interferisca a livello organolettico con un sapore particolare.

La conseguenza fu che dalle migliaia di ettari coltivati dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, si arrivò in brevissimo a un crollo verticale della produzione, fino a zero ettari, e all’oblio.

Sarebbe una storia come tante, del resto in risicoltura e in agricoltura in generale è un fenomeno consueto l’alternanza delle varietà, che vengono selezionate, introdotte in coltivazione, hanno più o meno successo e poi vengono soppiantate da varietà con caratteristiche agronomiche nuove… è il ciclo normale dell’evoluzione agricola. E allora perché un produttore si intestardisce a coltivare una varietà non più redditizia? La storia della riscoperta del Razza 77 parte da una famiglia di risicoltori novaresi, i Bernascone.

Appassionato di risotti e memore del riso coltivato nel passato, Domenico Bernascone va a ricercarne i semi presso l’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura Italiano (CRA), che concede una piccola quantità di Razza 77. Inizia nel 2014 dalla semina di cinquecento metri quadri, una superficie che in risicoltura è praticamente zero. Di anno in anno moltiplica, prova, aumenta la quantità di riso seminato. Lo riassaggia. Il Razza non è un dinosauro da lasciare nel dimenticatoio: con la nuova attenzione verso la gastronomia di oggi, ritrova in questo riso caratteristiche che valgono. Una tenuta in cottura simile al Carnaroli, ma soprattutto una capacità di rilasciare amido in risottatura molto superiore a tutti gli altri risi. Questo vuol dire poter mantecare non caricando eccessivamente di burro e parmigiano: il risotto nasce già con una cremosità spiccata, e risulta quindi più leggero ma ugualmente piacevole, meno connotato dal formaggio.

Per di più, con le nuove conoscenze agronomiche, si riesce a ridurre fortemente anche il problema della malattia all’apparato radicale.

E quindi? Che fare con il Razza 77? Domenico e il figlio Andrea Bernascone ci riflettono su. Con le loro dimensioni non andrebbero da nessuna parte. Un riso così va spiegato, va comunicato, va fatto conoscere con immensi sforzi di comunicazione. Da soli non è possibile. Si associano con altri risicoltori della bassa novarese, mettendo in comune i semi e lavorando il riso tutto in un’unica struttura specifica in grado di trattarlo al meglio. Entrano così in gioco Silvio Nai Oleari, produttore della Bassa novarese, e Fabrizio Rizzotti, (che abbiamo già avuto modo di conoscere qui), che mette a disposizione i suoi macchinari di inizio Novecento per la lavorazione del riso, ideali per lavorare con delicatezza il Razza 77.

Racconta al proposito Andrea Bernascone “Il riso non è tutto uguale, non è un chicco bianco e basta: la lavorazione (sbramatura, sbiancatura) è il momento cruciale. Se lo lavori male lo rovini. Un riso lavorato bene e uno lavorato male sono diversi anni luce. All’apparenza sono uguali, ma la lavorazione influisce sul gusto.” All’aspetto, il Razza 77 ha un chicco leggermente più piccolo di un Carnaroli classico, dotato di maggiore trasparenza, con la presenza di piccola perlatura all’interno.

I produttori associati adottano per il Razza 77 un packaging univoco, uguale per tutti, in modo da non disperdere gli sforzi di comunicazione. Il numero di lotto permette di risalire all’annata di produzione e al singolo risicoltore da cui proviene il contenuto della scatola. L’attenzione alla trasparenza è massima. Anche per Andrea Bernascone, come già ci aveva dichiarato Fabrizio Rizzotti, “Il riso è come il vino, le annate non sono tutte uguali, e un riso coltivato in terreno argilloso è diverso da un riso coltivato su un campo sabbioso o con maggiore scheletro. Bisogna per questo mantenere una trasparenza assoluta sulla provenienza e fare un enorme lavoro di comunicazione. Ancora in Italia non siamo preparati a un discorso di questo tipo. C’è da fare un lavoro enorme. Portare le persone a visitare l’azienda, far vedere come funzionano i macchinari, far assaggiare, comunicare.”

In questo processo di riproposizione del Razza 77 Andrea racconta che la loro associazione nel 2017 ha ricevuto dal Ministero delle politiche agricole l’incarico di salvaguardare il patrimonio genetico del Razza 77, coltivandolo in purezza e continuandone la moltiplicazione. Dal 2018 nasce la società “Risicultori di Razza”.

Ad oggi i produttori consociati per la produzione sono 6 e per la campagna 2019 verranno messi a coltura 13 ettari, con un produzione prevista di circa 300 quintali di riso.
La zona di coltivazione è anch’essa molto ristretta, essendo tutti i produttori localizzati nella Bassa novarese, nei comuni di Tornaco, Vespolate, Borgolavezzaro, Garbagna e Terdobbiate. Oltre a questo, sta nascendo anche un piccolo indotto, ad esempio la Bottega di Tornaco, che con i chicchi rotti della lavorazione del Razza 77 produce biscotti e grissini.

La prova
Ho voluto mettere alla prova il Razza 77 con un classicissimo risotto ai funghi.
Olio e scalogno tritato fino a soffriggere, poi metto il riso a tostare (80 grammi a porzione), dopo un minuto e mezzo sfumo col vino bianco, faccio evaporare poi parto aggiungendo gradualmente il brodo bollente (brodo di carne). Da qui inizio a contare i minuti. Faccio sgocciolare i funghi porcini secchi che avevo messo una mezz’ora prima in poca acqua calda a riprendersi, e li metto poco a poco nel risotto, per non far perdere il bollore. Avanti tenendo d’occhio il tempo: ai 10 minuti aggiungo un piccolo trito aromatico: nepitella, prezzemolo e un paio di foglie di menta. Ai 12 minuti inizio a controllare e regolare di sale. Tengo pronto una manciata di parmigiano grattugiato e dei tocchetti di burro. Ai 16 minuti è alla consistenza giusta. Spengo, tolgo dal fornello, metto il parmigiano e il burro, manteco rapidamente e poi ci siamo, dopo un attimo di riposo è pronto da mettere in tavola.

È vero, è più cremoso. Già agli assaggi per il sale, quando ancora non c’era la mantecatura, aveva una cremosità accentuata, tutta sua. In bocca è saldo, come un Carnaroli, di una splendida masticabilità. Gli ingredienti, con la sua cremosità, risultano più armonici, più integrati. Offre in pratica potenzialità maggiori, sia per esaltare gli ingredienti e la cottura, sia per alleggerire la mantecatura da un’eccessivo uso di grassi e di formaggio.

Il prezzo? C’è da dire che si tratta di un riso di alta gamma, anche nel prezzo, che si aggira sui 5 euro per il pacco da mezzo chilo. Ma bisogna capire che qui siamo davanti, come nel vino, a un prodotto di razza: potremmo definirlo un “grand cru” dalla filiera controllatissima. Non si tratta insomma di semplici chicchi d’amido, così come un grande nebbiolo non è una semplice spremuta d’uva fermentata!

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Contatti:
www.razza77.it
email: info@razza77.it

Domenico e Andrea Bernascone
Via Quintino Sella, 10
28070 Tornaco (Novara)

Riso Rizzotti Az. Agricola Cascina Fornace di F.Rizzotti
28079 Vespolate (Novara)

Azienda Agricola Riso Nai Oleari
Via Marconi Guglielmo, 24
28070 Tornaco (Novara)

La foto iniziale di Domenico e Andrea Bernascone è stata fornita da Andrea Bernascone.

*Eugenio Gentinetta intervistato da Dario Bressanini nel volume Contro Natura, di Dario Bressanini e Beatrice Mautino, Rizzoli, 2015

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Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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