Pink Wine. Comunicare il vino secondo Aurora Endrici

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Con questo articolo inauguriamo una piccola rubrica, “Pink Wine“, dedicata al mondo enologico declinato al femminile. Intervisteremo le protagoniste dell’universo vino (vignaiole, broker, sommelier, critiche, pr etc.) per scoprire le nuove tendenze, le difficoltà e le possibilità che il settore specifico può offrire alle donne. Dedicheremo la prima intervista ad Aurora Endrici, sommelier, docente, esperta comunicatrice di vino, che lavora fra Trentino e Friuli Venezia Giulia.

Presentando Aurora e la sua professione, vorremmo riuscire a trasmettervi la gentilezza, il garbo e, oserei dire, la delicatezza con cui la professionista trentina si approccia al mondo del vino. La prima impressione che abbiamo avuto è proprio questa: pur essendo il mondo enologico considerato un mondo prevalentemente maschile, è possibile interagirvi e persino ricevere importanti gratificazioni professionali conservando la propria femminilità ed eleganza.

Aurora, poi, non difetta certo in termini di titoli e competenza: nata da una delle famiglie trentine di più lunga tradizione enoica, cresce in un tipico maso con vigne sulle colline attorno a Trento con il padre Renzo, enotecnico, e la madre Luciana, pittrice. Dopo il liceo classico studia e si laurea in mediazione linguistica, diventando interprete di inglese e tedesco, si diploma da giovanissima sommelier professionista e si specializza grazie a un master in marketing ed economia del vino a Merano (in tempi ancora non sospetti, potremmo dire, ovvero quando ancora non era così affermata la figura del wine marketing manager). Inizia, quindi, a lavorare in Friuli Venezia Giulia e in Veneto come esperta di comunicazione, collaborando con molte realtà vinicole delle zone del Conegliano Valdobbiadene DOCG, in Veneto, e nell’amato Carso triestino, sino a diventare ambasciatrice del vino friulano in Asia e del vino veneto negli Stati Uniti. Tornata in Trentino, da una decina di anni collabora come consulente marketing e comunicazione con aziende come Endrizzi, Gaierhof, Maso Poli, Maso Martis LasteRosse, Cenci Trentino e con Slow Food Italia in qualità di formatrice.

Dato che non si finisce mai di imparare, si iscrive all’Accademia di Naturopatia e Iridologia Galileo Galilei di Trento e termina il percorso triennale in medicina naturale, al quale fa seguire un master in idrofangoterapia alla scuola Kneipp di Bad Wörishofen in Germania e la qualifica di Mastro di Sauna con AISA Italia.

Incuriositi da questa sua nuova strada, gli chiediamo: “Come si concilia la sua carriera dedicata al mondo del vino e la sua nuova specializzazione nel mondo del benessere?”

“Le due cose non sono affatto inconciliabili o dissonanti: il benessere va considerato quale risultato di diversi elementi, tra i quali appunto il cibo. Quest’ultimo è parte integrante di uno stile di vita che previene malattie e invecchiamento cellulare. Mangiare cibo buono e vitale e bere sano sono atti fondamentali per star bene a livello psicofisico e prevenire la malattia. Mio nonno Remo Endrici era un grandissimo conoscitore di botanica e mia nonna Bertha, nata nella Svizzera tedesca, lavorò in Egitto e in Austria come Krankenschwester (infermiera) prima di approdare in Italia e sposare mio nonno Remo. Molti concetti di fitoterapia o idroterapia mi sono noti fin da bambina, lì ho ascoltati con amore, spiegati ora in tedesco ora in dialetto trentino…ma tanto forti nella mia memoria.”

“La mia attività di consulenza si aprirà -spero sempre più nelle mie intenzioni- al settore termale, al mondo delle Spa e dei centri benessere. L’epoca dell’ “industria della malattia” governata dalla medicina delle cliniche e degli ospedali ha segnato il passo: il mondo occidentale oggi richiede sempre di più soluzioni di benessere olistico e preventivo (Olos in greco significa “tutto”, ovvero completo). Per un naturopata lo stato di salute passa dalla nutrizione, dal movimento, dall’uso dell’acqua, della fitoterapia e dalle pratiche che agevolano l’equilibrio interiore. Sono i concetti di padre Sebastian Kneipp, dichiarati nell’Ottocento ed oggi più che mai una attuali nel contesto  del nostro vivere occidentale

“Quali sono i suoi clienti nel mondo del vino?”

” Negli anni ho compreso come potevo incanalare al meglio le mie conoscenze. Ho incominciato quindi a selezionare i clienti : oggi sposo solo progetti diaziende “ad alto valore umano“, quasi tutte imprese familiari con valori che si tramandano e si trasmettono di generazione in generazione. È possibile che un’azienda produca il miglior vino di sempre per struttura, aroma, equilibrio e magari disponga anche di risorse e budget sostanziosi da destinare al marketing, ma se non c’è un risvolto di “crescita umana ed etica” preferisco declinare l’offerta, perché non saprei quale messaggio trasmettere al consumatore. Con le aziende che seguo, che sono prevalentemente guidate da coppie che dedicano tutte le loro forze per il proprio vino, si possono creare progetti di marketing in cui credo fermamente io stessa. Poi occorre distinguere fra campagne che tendono ad avere un risultato a lungo termine (che sono quelle di cui mi occupo io) e campagne, di pari valore e dignità, che tendono a “vendere tutto e subito” e quindi magari saranno campagne aggressive ma che esauriscono il loro effetto rapidamente, senza dare informazioni al cliente e senza creare fidelizzazione. Il progetto di comunicazione è un mosaico dove ogni tessera che si inserisce svolge un ruolo fondamentale per il prodotto finale.”

 Molto spesso si sente dire “questo è un vino per le donne” . Ha senso parlare di vino preferito dalle consumatrici e, soprattutto, ha senso creare una campagna marketing di genere per il vino così come avviene per altri beni di consumo tipo l’acqua, le auto etc?

“Temo che il genere non sia più un criterio di scelta del target. Viviamo in una società fluida, puntare sul genere per una campagna marketing lo reputo decisamente fuori moda.”

Come si comunica il vino italiano all’estero? Esiste ancora il mito del vino italiano?

“Assolutamente sì, all’estero il made in Italy gastronomico. ad esempio, è assolutamente “sexy”. Forse manca un po’ la percezione della nostra ricchezza in fatto di vini, del nostro variegato territorio con specialità locali di gran pregio. All’estero, pensando al vino italiano, si pensa subito al rosso toscano o al Prosecco; ho sempre trovato qualche difficoltà a parlare di Trentino o di Friuli Venezia Giulia. Ma chi la dura la vince, e il fenomeno Eataly nel mondo lo sta dimostrando…”

Di quali mezzi di comunicazione è più opportuno avvalersi oggi, per il vino? La carta stampata, le guide sono ancora attuali o è meglio puntare su internet?

“Anche in questo caso farei una distinzione in base al target e al tipo di messaggio che si vuole trasmettere. Se vogliamo comunicare la storia di un vino importante e di nicchia, destinato ai conoscitori della materia, sceglierei comunque la carta stampata (senza disdegnare altri canali). Per un vino giovane, alla moda, punterei decisamente su strategie di social media marketing o comunque alternative. Chi acquista e legge una guida è un consumatore attento, e pertanto avrà sempre valore pubblicare su carta .”

Qual è il vino del 2019 a suo parere?

“Un vino a filiera corta, che dia il “gusto del territorio“. Direi un vino che riesca a trasmettere la mano del viticoltore, anche se con qualche imperfezione, un vino che mi nutra con piacere corpo e spirito: un vino vitale.”

Elena Pravato

Se fossi un vino fermo sarei un Moscato giallo Castel Beseno. perché adoro i dolci (prepararli e mangiarli ) e resto fedele alla regola non scritta dei sommelier “dolce con dolce” . Inoltre è trentino come la terra che mi ha adottato. Se fossi uno spumante sceglierei un Oltrepò Pavese perché ricorda la mia Lombardia, dove sono nata e cresciuta. Se fossi un bicchiere sarei un bicchierino da shot o cicchetto, data la mia statura tutt’altro che imponente.

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