La viticoltura resistente di Raffaele Moccia, vignaiolo nei Campi Flegrei

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«La notte consola il mondo che s’è infittito, gremito di presenze, rimpicciolito, gremito di presenze, il vuoto è pieno…pieno…». Canticchio questa vecchia canzone dei C.S.I. mentre il taxi di Luigi conduce me e Mirai Tsuda (appassionata importatrice giapponese di vino) dalla stazione centrale di Napoli verso Pozzuoli. Luigi prima faceva il camionista, poi ha comprato un bel monovolume da 8 posti con il quale trasporta per lo più turisti in lungo e in largo per la Campania. Si parla di sfogliatelle – frolle e ricce – da portare a casa al ritorno. Luigi sostiene che le migliori le sforna una pasticceria di Pozzuoli, casa sua, ma che difficilmente potrò fare in tempo a sperimentare perché il programma dei giorni dedicati al vino di Campania Stories è molto denso.

«Eccoci nel cratere dell’antico vulcano, Lello è qui vicino – ci dice Luigi –, siamo amici da sempre, con il vino sta facendo belle cose». Per questo mi sono venute in mente le parole di Lindo Ferretti: l’estensione del cratere è impressionante e visibile a occhio nudo nella curva gigantesca che sovrasta una pianura fertile al cui centro, oggi, compare un gigantesco ippodromo e case e centri commerciali a non finire; milioni di anni fa questo luogo era un immenso regno naturale, difficile da immaginare oggi, dove ogni centimetro è stato urbanizzato e farcito di umanità con una volgarità persino urtante.

Stiamo andando da Lello, che sta per Raffaele Moccia, vignaiolo ad Agnano sulle colline vulcaniche adiacenti al parco naturale degli Astroni. In realtà la strada per arrivare rivela una periferia senza soluzioni di continuità. L’azienda della famiglia Moccia si chiama Agnanum, insieme alla viticoltura si allevano polli che sono contesi dai ristoranti e dalle macellerie di Napoli e dintorni. Luigi se ne va e ci lascia con Gennaro, il figlio di Raffaele, che ci porta alle pendici del vigneto aziendale.

«Ti piace lavorare in azienda?”» gli chiedo.

“Molto, andare a scuola era come prendere “’na mazzata in fronte, qui mi alzo molto volentieri» mi risponde.

Il paesaggio finalmente cambia, il cemento lascia posto alla terra rivelando uno scenario ripido fuor di ogni misura, punteggiato da viti dalla forma originale e, almeno agli occhi miei, poco riconducibile ai più diffusi sesti d’impianto. Raffaele arriva su una Polaris (sorta di Quod coperto dotato di quattro ruote motrici), ci saluta cordialmente e dopo un attimo siamo già sull’agile mezzo a risalire il versante vitato.

« Amm’ancora a spunta’ – ci dice ­–sono arrivato a circa 10 ettari, tutti tra la solfatara laggiù e qui sopra la cantina. Siamo io e mio figlio e basta. Con la vanga tengo a bada l’erba, poi ho assunto 20 pecore che mi aiutano. Con queste pendenze la puntualità in vigna non è per niente scontata».

Mentre saliamo vertiginosamente con il Polaris, osservo le vigne. Sono monumenti viventi di un antico paesaggio che solo in tali dettagli vegetali conserva un barlume del suo maestoso splendore. «Ho recuperato tante viti che erano coperte dalla boscaglia e dai rovi – continua Raffaele –, sono vigne senza età a piede franco. Alcune le ho potate e condotte secondo una spalliera necessaria, altre le ho lasciate a pergola puteolana, che forse con questo clima è un sistema vantaggioso; il problema è che lavorare un ettaro di puteolana è come lavorarne 10 a spalliera, altre ancora le ho lasciate con tralci lunghissimi come facevano una volta, perché non le ho potute addomesticare».

Saliamo ancora fino al muro degli Astroni. Scendiamo e parliamo di questa collina mentre il vignaiolo tenta di far entrare le sue 20 aiutanti nell’ovile. Continua Raffaele: «qui le terrazze vanno mantenute con estrema attenzione. Per farlo occorre praticare un’arte antica che permetta di plasmare la collina. Vedi questi buchi vicino ai filari? Sono le catene. Si tratta di invasi artificiali che permettono una regimazione delle acque in modo che il suolo rimanga il più possibile attaccato alla collina. Senza queste catene a quest’ora, qui, non ci sarebbe vegetazione».

Andiamo nella parte più distante dalla cantina, in una porzione di proprietà acquistata da poco. I rovi coprono vigne incredibili di età indicibile. Raffaele ci mostra una pianta appena liberata. Si tratta di una vigna con tralci che arrivano a 10 metri, lui la chiama “spallatone” ed era il modo che un tempo si usava per garantire la longevità e la produttività della pianta. «Su questi suoli la vite cresce poco, ci volevano almeno 15 anni per avere un grappolo».

Ci spiega che dall’inizio del restauro dell’antico vigneto ha ritrovato uno svariato numero di varietà oltre alle sue tipologie classiche, la falanghina e il piedirosso. Uva cupiella, catalanesca, caprettone, moscarella e gelsomina sono alcune di queste identità riportate alla luce. Vediamo una parte di vigna crollata che ha lasciato una sezione scoperta di suolo. “Il suolo – ci mostra – è composto da 5 strati. In superficie abbiamo polvere di sabbia e cenere, ovviamente vulcaniche, subito sotto vi è uno strato di pietra pomice e lapillo seguito ancora da un livello di arenaria e lava. Gli ultimi due strati sono composti da sabbia compatta vulcanica e da una roccia molto dura chiamata “tasso”, con la quale si sono lastricate le strade di Napoli. La vite deve raggiungere la sabbia compatta, cioè il penultimo strato, per avere uve complesse: per fare ciò tocca aspettare almeno 10 anni”.

Mentre camminiamo inciampo in una vite di chissà quanti anni che ancora deve essere ripulita da Raffaele. Siamo ancora nei pressi dell’antico muro che separa la sommità delle vigne di Agnanum dal parco naturale degli Astroni. Costruito per metà dagli Aragonesi e per l’altra dai Borboni, sulla parete muraria è visibile la separazione delle due epoche con pietre nettamente diverse: la storia gloriosa di questi luoghi è percepibile fino nelle pietre.

“L’acqua in questi ultimi anni è un bene molto prezioso – continua il vignaiolo – pensate che da Ottobre 2016 a Settembre 2017 fino alle 11 in punto non è scesa una goccia d’acqua. L’anno scorso qui è scoppiato un incendio. Ho comprato una piscina gonfiabile, l’ho riempita d’acqua e insieme a mia moglie abbiamo fatto la spola per spegnerlo. L’erba per me è fondamentale, così come i fiori, gli insetti aiutano l’allegagione, il verde mantiene una continua risorsa idrica e frena l’erosione del suolo».

Ammiro rapito questo piccolo miracolo ecologico ottenuto attraverso osservazione e zappa, intelligenza, rispetto e qualcosa che assomiglia all’amore. Raffaele ha strappato questo versante dell’antico vulcano al degrado, isolando una bellezza agricola senza paragoni nel rapporto con il disastro ambientale sottostante. Mentre guardo l’ennesima vite recuperata, soffermandomi sulle rughe del suo tronco, nel cercare di capire, tra quelle pieghe, la sua età, mi accorgo di un paradosso che mi fa sorridere: ho girato tantissime vigne in Italia e in Europa, qualcuna anche nel mondo, eppure la più bella l’ho trovata a un chilometro dalla tangenziale di Napoli.

Sono trascorse due ore dal giro in vigna, io e Mirai siamo ricoperti di sabbia vulcanica, il Polaris è aperto ai lati, devo dire che non mi dispiace questa polvere di milioni di anni addosso. Scendiamo alla cantina, «Già – penso – dobbiamo anche assaggiare i vini». Raffaele ci propone due verticali parallele che passano in rassegna la storia produttiva aziendale. Falanghina nelle versioni 2017, 2016, 2012, 2010, 2008, 2006 e 2003; Piedirosso 2017, 2016, 2010, 2008 e 2002.

La longevità dei vini aziendali è evidente. La Falanghina, nelle annate 2016, 2012, 2010 e 2006, esprime una classe cristallina attraverso un sorso sapido e leggiadro che a ritroso negli anni dona aromi sempre più complessi e profondi. Si tratta di vini nei quali la tecnica enologica non sovrasta mai la naturalezza espressiva.

A parte la 2017, dove una nota selvatica ne offusca la limpidezza, il Piedirosso è un vino fine e succoso. Nelle annate 2016 e 2010 esibisce in modo evidente il potenziale di eleganza e dinamicità propria del vitigno, attraverso le classiche note di frutto e spezie che anticipano e amplificano un sorso pieno di sapore e piacere. La versione 2002 è integra, ancora centrata sul frutto e dotata di un tannino di ottima estrazione.

Sono vini che rivelano al meglio il territorio di provenienza, con un carattere affumicato di fondo che ne suggerisce -e forse suggestiona- l’origine vulcanica. Luigi è tornato per portarci alle rispettive destinazioni. Sul taxi troviamo due confezioni di sfogliatelle provenienti dalla pasticceria di Pozzuoli. La riccia è di una bontà infinita. Lello sorride, lo ringraziamo per il tempo che ha trascorso con noi. «Sono io che ringrazio voi – ci risponde –, è un onore che mi fate aver visitato le mie vigne». Faccio ancora in tempo a stupirmi dell’elegante modestia di questo vignaiolo che sta salvando uno degli ultimi preziosi giacimenti vitati di questa zona e al quale tutti noi, appassionati di vino, dovremmo essere grati.

Agnanum  – Traversa di Via Vicinale Abbandonata Degli Astroni, 3, 80125 Napoli (NA) –  Tel 081 230 3507

Servizio Taxi Pozzuoli – Luigi Grimaldi –  Tel. 338 9973783-348 9315928

Fabio Pracchia

Vive sulle colline lucchesi. È uno dei principali collaboratori di Slow Wine, la guida annuale del vino pubblicata da Slow Food Editore. Si occupa da circa quindici anni di vino e cultura cercando di intrecciare il lavoro alcolico con quello narrativo.

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