Diari siciliani: da Agrigento a Marsala, con visita a Marco De Bartoli

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Ricordate il film Johnny Stecchino? A un certo punto si dice che la piaga principale della Sicilia è il traffico… ebbene permettetemi di dissentire, secondo me il vero problema della Sicilia è l’enogastronomia! Impossibile passare una settimana di vacanza in questa terra meravigliosa senza ingrassare di almeno due o tre chili!

A distanza di un anno torniamo in questa magnifica isola e stavolta puntiamo alla parte nord-occidentale, un’area ricchissima di città da visitare e bellezze naturalistiche e, dato il periodo non proprio estivo, optiamo per un tour a carattere prevalentemente culturale.

Prima tappa Agrigento e la Valle dei templi. Non poteva esserci inizio migliore, l’albergo scelto, il Villa Athena, storica villa menzionata anche da Pirandello ne “I vecchi e i giovani”, si trova proprio all’interno del parco archeologico con tanto di accesso privato al sito e una vista sui templi da lasciare senza fiato. Non è da meno la cucina proposta dallo chef Salvatore Gambuzza: a pranzo approfittiamo del sole e su “La Terrazza degli Dei”, nomen omen, ci godiamo una caponata e una pasta con le sarde, manco a dirlo, divine! La sera, vista la temperatura e un insidioso scirocco sempre più prepotente, ceniamo nel ristorante all’interno, poggiato direttamente su alcune rovine in bella vista sotto il pavimento trasparente all’ingresso.

Il menù degustazione “Territorio” offre una succulenta carrellata di piatti tipici rivisitati alla quale è impossibile resistere: crudo di gamberi rossi di Mazara “cunzati”; sgombro affumicato, cipollata e cagliata di capra girgentana; tagliolino con pistacchio della Valle e gambero bianco di nassa; rigatoni farciti come una “Norma”; falso magro di agnello e la sua arancina al ragù con fave e pecorino; La nostra Cassata. Il tutto accompagnato dal fine perlage del metodo classico cuvée brut de “Le Terrazze dell’Etna” (100% chardonnay, 36 mesi sui lieviti). Difficilmente ho riscontrato una qualità così costante in tutti i piatti di un menù. Cena sublime.

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Il giorno seguente partiamo di buon’ora alla volta della mitica cantina Marco De Bartoli in contrada Fornara Samperi – Marsala. Ad attenderci c’è la gentilissima Giuseppina, figlia del grande Marco. L’esterno della cantina è praticamente un museo dell’arte contadina, un antico baglio ricco di oggetti in disuso, testimoni di tempi passati. All’interno si respirano la storia e gli aromi della viticoltura siciliana; i profondi occhi blu di Giuseppina riescono a trasmetterci tutto il vigore e la tenacia del padre nel portare avanti con fiera consapevolezza la sua “missione” di rifondazione enoica siciliana, di riscoperta delle antiche tradizioni, di valorizzazione dei vitigni autoctoni e del proprio territorio. E’ importante sottolineare il periodo in cui Marco si faceva paladino di questi valori: gli anni Ottanta erano anni in cui valeva il principio della “cassa” e i richiami delle sirene di un facile mercato dettato anche dalla moda, come ad esempio quella del Marsala all’uovo, erano davvero molto forti.

Andiamo quindi al sunto di tanto lavoro e sentimento:

Pietranera 2018: partiamo da Pantelleria, dalla cantina di Bukkuram, dove Marco è arrivato direi per vocazione seguendo la rotta tracciata dalla sua filosofia di vino e di vita. Ma la sua idea è stata anche innovativa e così dal 1989 è il primo vino secco da uve zibibbo. Le viti molto vecchie sono coltivate ad alberello pantesco, scelta quasi obbligata viste le condizioni climatiche, e la produzione raggiunge appena i 50 quintali per ettaro. La fermentazione e l’affinamento in acciaio portano in evidenza le caratteristiche del vitigno.

Viene istintivo pensare al passito ma già all’aspetto, giallo paglierino chiarissimo, si capisce che è bene resettare la memoria gusto-olfattiva. Ok, l’aromaticità tipica del vitigno è ben presente ma ai suoi fiori gialli ed agrumi ora si affiancano fresche note minerali e vegetali di salvia al posto della classica frutta disidratata. In bocca la divergenza è ancor più evidente, la dolcezza del frutto è piacevolmente contrastata da una sapidità marcata e, complice una discreta acidità, raggiunge un equilibrio e una persistenza notevoli. Forse l’armonia complessiva richiede ancora qualche piccolissimo registro ma, considerando che è stato appena imbottigliato, promette davvero bene.

Grappoli del Grillo 2016: torniamo a Marsala con un’altra scommessa vinta da Marco, che nel 1990 aveva iniziato a produrre vino bianco da tavola con un vitigno, il grillo appunto, finora usato esclusivamente per il Marsala. I dati dicono 9 ettari vitati, resa di 60 quintali per ettaro con grappoli selezionati a mano, fermentazione prima in acciaio poi in fusti di rovere, affinamento in legno (fusti di molti passaggi) sui lieviti per 12 mesi, terreno decisamente calcareo (vedi foto). Il bicchiere parla un’altra lingua a me più gradita, mi sussurra di ginestre, agrumi, frutta gialla, macchia mediterranea, miele, minerali e leggerissimi sentori fumé. Al palato è corrispondente, ben strutturato, morbido all’inizio per poi lasciare campo ad una sapidità e ad una vena acida tali da supplicare un altro sorso subito.

Vecchio Samperi: il vino del cuore per Marco. Sul sito aziendale è presentato con una frase che meglio non potrebbe descriverlo “Il vino del territorio, chiamato perpetuo o stravecchio, il vino di Marsala prima che gli inglesi lo fortificassero. Semplicemente il Vecchio Samperi”.

Le viti di grillo, con impianto ad alberello e Guyot, dopo un’attenta selezione rendono a malapena 40 quintali per ettaro. La vinificazione riprende quella del sistema Solera con una serie di travasi di vino giovane in grandi fusti di rovere e castagno scolmi (per favorire l’ossidazione) contenenti vino delle passate vendemmie. Invecchiato mediamente circa 15/20 anni. I riflessi ambrati ti ammaliano prima di inebriarti con aromi estremamente raffinati di frutta secca e disidratata, miele, fieno, iodio e una leggera speziatura. Al palato è sontuoso, l’intensità e il corpo sono snelliti da un’eleganza suprema e un dinamismo notevole, la salinità ti ricorda il mare che c’è lì, la persistenza è commovente. Pura emozione.

Marsala Superiore Riserva 1987: sono due le principali differenze dal precedente, il maggior invecchiamento – oltre 20 anni – e la “fortificazione” – altrimenti non potrebbe appellarsi Marsala – effettuata grazie all’aggiunta di una mistella, prodotta con mosto fresco e acquavite ottenute dalla stessa uva da cui si ottiene il vino base, che porta la gradazione ai 18,5/19 gradi alcolici dai 16/16,5 di partenza.

Alla vista l’ambrato si fa più scuro e al naso i profumi si amplificano per aromi ed intensità. Si fa prima a dire cosa manca che ad elencare tutti i sentori pervenuti, profumi eleganti che accarezzano le narici. In bocca un coro melodioso delizia il palato senza voci stridenti ma in una armonica sinfonia, il “canto” è sostenuto da una freschezza e da una sapidità sorprendenti. Se avrete la possibilità di berlo, per cortesia, fatelo senza abbinarci del cibo, prendetevi tutto il tempo necessario e “ascoltatelo” con calma: ogni volta avrà sempre qualcosa di nuovo da raccontare.

Bukkuram Passito di Pantelleria Padre della Vigna 2012: chiudiamo la degustazione tornando a Pantelleria, con il vino simbolo dell’isola. Di questo passito ne esistono due versioni, il Sole d’Agosto prodotto nelle annate normali, e quello in assaggio, frutto delle migliori annate. Ecco, se c’è un vino che può far capire a tutti, anche ai meno esperti, l’arte di lavorare ed interpretare il territorio secondo la famiglia De Bartoli questo passito ne è l’esempio. Non me ne vogliano il Vecchio Samperi o il Marsala Superiore Riserva 1987 – vere e proprie istituzioni enoiche – ma il paragone risulta più facile con una tipologia di vino conosciuto praticamente a tutti.

Per antonomasia il passito di Pantelleria è un vino ricco di profumi e molto, molto dolce. In quello di Marco il variegato mondo di aromi di frutta disidratata – specialmente albicocca e agrumi – fiori, erbette e miele, si rivela delicatamente, con grazia, senza saturare immediatamente il naso, dando tempo di apprezzarne tutte le sfumature come la fine speziatura e la leggera nota fumé sul finale. Al palato, a cotanta ricchezza fanno da contrappasso la freschezza e la salinità, che rappresentano una sorta di firma di Marco apposta su tutti i suoi vini. La beva è sin troppo facile e nel caso frequente che la bottiglia “evapori” velocemente, si può trovare un ultimo, evanescente conforto nel lunghissimo finale.

Sono certo che Marco da lassù stia guardando orgogliosamente il bellissimo lavoro che stanno svolgendo i suoi figli, degni eredi di un insegnamento e una tradizione che vanno ben oltre la propria famiglia. D’altronde il grappolo non cade mai lontano dalla vite!

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Riprendiamo il cammino per visitare la vicina Selinunte. Dopo un bel dentice al forno da Baffo’s, sul lungomare di Marina di Selinunte, abbiamo smaltito la “dura” mattinata con una bella passeggiata tra le bellissime rovine del sito archeologico.

Per il proseguo del tour abbiamo preso base nelle campagne dietro Mazara del Vallo presso il “Giardino di Costanza”, grande e sfarzoso resort dotato di ampie camere e ogni comfort in grado soddisfare anche il cliente più esigente. Pure in questo caso è degna di nota la cucina (e anche il servizio) soprattutto in considerazione del numero degli ospiti presenti.

La mattina di Pasqua un cielo grigio e un vento davvero impetuoso non promettono niente di buono. Raggiungiamo Mazara del Vallo, borgo marittimo di poco più di 50.000 abitanti e porto di pescherecci tra i più importanti d’Europa, famoso per i gamberi, il cous cous e gli sport velici. La Tunisia è distante solo 200 km e il legame con quella terra è forte. Lo dimostrano la numerosa comunità che ci risiede e l’impianto arabo della città.

Così, combattendo con un vento al limite del ripensamento, ci addentriamo nelle viuzze della casbah per apprezzare le originali maioliche che adornano i muri delle case sulla strada. Non c’è un tema comune – si spazia dalle raffigurazioni storiche alle frasi poetiche, dai disegni classici a quelli astratti – in una festa di colori che rende il centro storico unico nel genere. Notevoli anche i monumenti storici e religiosi. Ci apprestiamo al pranzo pasquale ad un orario più tipico del nord-Europa che siciliano ma era necessaria un po’ di tregua dal vento. Da Donna Franca, storico ristorante situato nel cuore di Mazara il cui nome è un omaggio a Donna Franca Florio, si può apprezzare la tipica cucina siciliana in un ambiente raffinato e familiare al contempo. Protagonisti assoluti i mitici gamberi rossi, del resto dove mangiarli se non qui?! Una squisita cassata ha degnamente chiuso l’ottimo pranzo.

Tempo di tornare al vento e puntare al centro di Marsala. Città dalle mille culture e dai mille colori, nasce Lilybeo dai fenici per diventare Marsa Alì con gli arabi, da cui il nome odierno. Passeggiando per l’affascinante centro storico mi viene da pensare ad una moltitudine di giubbe rosse che invadono la città, era l’undici maggio 1860 quando sbarcò coi Mille, una tappa fondamentale verso l’unità d’Italia. Si narra che ad aiutare lo sbarco fu la presenza nel porto di alcune navi inglesi cariche di vino Marsala che impedirono il bombardamento onde evitare spiacevoli incidenti diplomatici nel caso venissero erroneamente affondate pure loro. Del resto era quasi un secolo che John Woodhouse aveva scoperto il vino “perpetuo” e lo aveva fortificato per favorirne l’esportazione verso i mercati inglesi, un’attività davvero fiorente ai tempi di Garibaldi.

Il sole comincia a calare e ci dirigiamo verso le saline, il tramonto con vista sui fenicotteri, i mulini e le Egadi all’orizzonte è uno spettacolo imperdibile, anche oggi che tutto è grigio e il vento è insopportabile. Con un paio di chili di sale in borsa rientriamo alla base e concludiamo la prima parte del tour nord-occidentale della Sicilia, una regione che ha un posto speciale nel mio cuore e nel mio palato!

 

 

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Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

1 COMMENT

  1. il vecchio samperi l’ho assaggiato la prima volta circa 30 anni fa e da allora è rimasto una dei miei vini d’ affezione

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