Panificatori Agricoli Urbani: anche il pane è open source

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«Pronto Prova Pane! Pronto Prova Pane!»: Davide Longoni, portabandiera della nuova generazione dei panificatori milanesi, è in tema con l’argomento anche nella prova microfoni. Siamo a Milano, alla Fabbrica del Vapore, nell’ambito della quattro giorni “Cibo a regola d’arte” promossa dal Corriere della Sera dal 16 al 18 maggio. Nella struttura riservata ai temi dell’arte bianca, va in scena “Bread of the future. I nuovi panificatori agricoli urbani”, incontro a più voci tra Davide Longoni, Valeria Messina del Forno Biancuccia di Catania, Giovanni Mineo di Crosta a Milano, Matteo Piffer del Panificio Moderno di Trento e Pasquale Polito del Forno Brisa a Bologna, oltre a Stefano Caccavari, fondatore del progetto Mulinum, con la conduzione di Tommaso Galli del Corriere della Sera.

Cosa significa Panificatori Agricoli Urbani? Cosa sta fermentando in questi anni? Di sicuro alcune tematiche nate in seno a Slow Food e rinvigorite da Expo 2015 hanno dato un forte impulso al definirsi di una tendenza innovativa nel mondo della panificazione. Lentamente, ma in maniera crescente, sia sul versante dei consumatori sia su quello di alcuni panificatori, c’è stato un moto di rifiuto verso la panificazione eccessivamente standardizzata basata su farine premiscelate, e un ritorno a pani tradizionali di grande formato, a farine da filiera corta, spesso nate da grani antichi, sempre lievitati con pasta madre. Pochi formati, molta digeribilità e durabilità, attenzione all’ambiente, nuova comunicazione.

A partire da queste premesse, ecco che in alcune città, Milano in primis, sono nate panetterie innovative, molto attente alla materia prima ma anche a una nuova estetica del pane. E si sono messe a collaborare sfruttando al massimo i social per condividere comunicazione, conoscenze, stili… in poche parole, i nuovi panificatori hanno fatto rete. Un fenomeno paragonabile a quello dell’Open Source in informatica: non ci sono segreti, i codici sorgenti (farine, lieviti e conoscenze, in questo caso) vengono condivisi senza barriere, ci si tiene in contatto per scoprire produttori di grani, molitori rispettosi della materia, organizzare ritrovi e corsi. Sta nascendo qualcosa di molto interessante. Ma è il caso di lasciare la parola ai protagonisti di questo incontro, che presentandosi al pubblico hanno raccontato la loro visione e il loro sentirsi artigiani del pane.

Davide Longoni – Panificio Longoni (Milano)
«Perché questo nome Panificatori Agricoli Urbani? La farina è un prodotto agricolo, noi lavoriamo in città, e siamo a contatto con i clienti, i consumatori del pane. Nel mio caso specifico la ricerca sulla materia prima a filiera corta ha fatto sì che a un certo punto io, da artigiano del pane, sia diventato anche produttore di grano. Quando, dopo il crollo del mercato edilizio, il Comune di Milano ha messo a bando per uso agricolo dei terreni nei pressi dell’Abbazia di Chiaravalle, a sud della città, terreni che in tempi di speculazioni avevano fatto gola a tanti e che erano poi rimasti abbandonati, io ho presentato la mia proposta. Mi sono aggiudicato il bando e ora coltivo segale e farro che utilizzo per il mio pane.»
«Alcuni – prosegue Longoni – ci hanno definiti “retroinnovatori”. Beh, più o meno è così, innoviamo guardando ai pani del passato. Sono molto felice di questa manifestazione, perché qui possiamo avere un dialogo con il pubblico; è da questa relazione che nasce la pagnotta, parlare con la gente aiuta noi panificatori.»

Pasquale Polito – Forno Brisa (Bologna)
Aria scanzonata e cappellino in testa, all’apparenza tutto diresti tranne che fa il panettiere. Ma i ragazzi bolognesi di Brisa sono così, molto avanti nella comunicazione e nello stile; il loro forno non è un semplice panificio ma un luogo di scambio, un’officina di relazioni, attivissima anche a livello social.
«Per noi la parola “artigiani” è significativa perché è connessa ad “arto”, e quindi a “legame”. Nel nostro progetto di forno è insito il concetto di conoscenza dell’intera filiera, perché il pane nasce dal chicco, non dalla farina. Vogliamo saper raccontare al pubblico tutta la storia del pane».
La filosofia di “panificatore agricolo urbano” Pasquale la sintetizza in poche semplici frasi: «Abbiamo abbandonato l’eccesso di tecnologia e l’eccesso di tipologie di pane offerte al pubblico, e stiamo approfondendo nuove tecniche di panificazione. Ma soprattutto nuovi legami tra noi panettieri e il pubblico».

Matteo Piffer – Panificio Moderno (Isera, Trento)
«Cosa accomuna noi panificatori agricoli? Il fatto che abbiamo iniziato a maturare una consapevolezza. Negli anni Novanta c’era una grande abbondanza di tipologie e di forme, tanta estetica… a cui non corrispondeva il gusto. I miei genitori erano dei panettieri, nel momento in cui ne ho raccolto l’eredità ho avviato una riflessione sul fare il pane. Certo, lavorando di notte, il confronto è stato più difficile».

«Il bivio che ha segnato la novità l’ho percepito a una manifestazione di alcuni mesi fa, c’erano 25 panettieri… e l’età media era di 23 anni! Pensate che svolta epocale. Una nuova ondata di idee, una nuova generazione di panettieri che partono dal cereale, non dal semilavorato. Oggi proponiamo 3-4 pani e non di più, parliamo con la gente di agricoltura, di cereali… una vera e propria rivoluzione».

Valeria Messina – Forno Biancuccia (Catania)
«Io incarno l’esigenza di trasparenza del consumatore. Ero stanca della poca trasparenza nei prodotti che mangiavo. Fino a due anni fa lavoravo come avvocato; di giorno lavoravo, di notte ho iniziato a impastare. E poi.. eccomi qua. Vivo a Catania, e stare in Sicilia ci dà la possibilità di ritrovare molte antiche varietà di grano, che danno gusto ai pani che faccio».

Giovanni Mineo – Crosta (Milano)
«La nostra idea è creare un prodotto che abbia l’idea artigianale; e in “artigianale” è insito il concetto di coscienza e consapevolezza. Una volta il mestiere si “rubava” con gli occhi, c’era molta gelosia del proprio saper fare, oggi per fortuna nel nostro campo c’è molta condivisione. L’idea nasce dal dialogo: col cliente, col mugnaio, col contadino. A tutti i livelli, quindi. Perché anche chi ha meno conoscenze tecniche può insegnarti qualcosa. Basta abolire i preconcetti. L’aiuto delle sensibilità diverse porta arricchimento».

Stefano Caccavari – Progetto Mulinum (San Floro, Catanzaro)
«Vengo da San Floro, un piccolo paese della Calabria che rischiava di dover soccombere: cinque anni fa volevano costruire vicino al paese una immensa discarica. Ho capito che se le persone di un territorio non fanno niente per la propria terra, il territorio muore. Mi sono guardato indietro. Mio padre coltivava un orto. E allora abbiamo creato una associazione di piccoli orti, prima erano 10, poi 150… c’è stato l’intero paese che si è movimentato contro la discarica e alla fine non è stata costruita».

«Un giorno ho chiesto a mia nonna che tipo di pane mangiasse un tempo. E ho scoperto il mulino a pietra, ho scoperto il grano Senatore Cappelli… inizio a coltivarne un ettaro, che mi dà 9 quintali di grano. Nasce così il progetto “Il pane di una volta”. Da noi veniva chiamato tradizionalmente il pane “Brunetto”, perché integrale. Dopo sei mesi che macino il mio grano e faccio il pane per gli amici, il mulino viene messo in vendita. Che faccio? Metto su facebook la notizia e lancio una proposta: il mulino costa 18.000 euro. Io ne metto 10.000. Chi mi dà i soldi che mancano?» In tre mesi con il crowdfounding supero mezzo milione di euro e arriverò a 900.000. Con quei soldi creo Mulinum, 250 ettari di terreno e il mulino riconvertito con sala macine, sala pane e sala degustazione, un progetto con 100 soci che produce farina e sforna pane dando ossigeno all’economia locale».

E siccome Stefano ci sa fare con i social (ha studiato economia aziendale), riesce a fare rete anche fuori, e raccoglie una proposta dalla Toscana: a Buonconvento, alle porte di Siena, nasce un nuovo Mulinum con 100 ettari di seminativi, poi arriva un mulino in Puglia, e prossimamente in Lombardia…
«Difendo i territori agricoli. Noi il grano ai contadini lo paghiamo 60 euro a quintale, contro i 18 euro dei grandi mulini. Collaboro con le università per dimostrare che fatto così, il pane è diverso».

Ma ci sono margini di espansione futura per il movimento dei Panificatori Agricoli urbani? Longoni risponde con ottimismo:
«Lavoro sul tema agricolo già da 5-6 anni. Da 3 anni produco segale e farro a sud di Milano, vicino all’abbazia di Chiaravalle, in terreni che un tempo erano incolti… L’agricoltura intensiva rischia di fare un uso eccessivo di chimica; il nostro approccio è diverso. La gente vuole un cibo di cui fidarsi».

«L’agricoltura – aggiunge Pasquale del forno Brisa – è un fatto urbano, è una funzione delocalizzata. Bisogna nutrire un terreno, e nutrire le persone. Ci definiamo panificatori “urbani” perché noi non abbiamo solo clienti; il panificio è un luogo dove si fa relazione, si fa scambio quotidiano. Il cambiamento si fa in città, perché c’è “fermento” culturale».

«Il lavoro artigiano libera la mente – aggiunge Valeria – ; io lavorando il pane ho recuperato una capacità di pensiero creativo che lavorando in ufficio avevo lasciato sopire. Vedere il pane che cresce in forno… ecco, quello è il momento più alto. E ti vedi restituire dallo sguardo della gente la passione che metti nel pane. Tu trasmetti passione, e dai un prodotto che nutre. Ho trovato un lavoro che mi dà libertà di pensiero. Il pane lega la terra e gli uomini. È un prodotto quasi mistico».

E mentre le parole dei panificatori scorrono, arrivano in degustazione tre tipologie di pane di Longoni, fatte con la segale di Chiaravalle. Semplice, al cumino dei prati e panfrutto alla frutta secca. È un pane saporito e strutturato, la cui componente sapida non deriva dal sale ma dalla evidente nota acidula data dalla lavorazione a pasta madre, che dà complessità e lunghezza gustativa. In particolare il pane aromatizzato con il cumino dei prati colpisce per la densità di sapore, l’aromaticità pulita, la nota acida del finale, la sua componente materica: è un pane “di peso”, tutto l’opposto del pane vuoto che dura mezza giornata. Un pane che regge un pasto, nutriente, saporito, pieno.

Ne faranno di strada i Panificatori Agricoli Urbani? Sì. Nella mia modesta opinione, sarà però necessario lasciar da parte alcune tematiche ideologiche poco dimostrabili scientificamente: in un paio di occasioni ho sentito tirare in ballo la vecchia questione grani antichi/grani moderni per il tema delle intolleranze che i grani moderni causerebbero, tema che non ha trovato un riscontro scientifico attendibile.

Meglio puntare sul tema – oggettivo – dei benefici della filiera corta: un buon grano (sia di vecchia varietà sia di nuova), se coltivato bene, che ha fatto pochi chilometri e un ragionevole stoccaggio, sarà sempre più pulito e più sano di un grano che ha passato gli oceani in stiva e ha dovuto subire trattamenti per tutto il suo ciclo.

Grani antichi? Sì, per il gusto, per la diversità che danno. Sapendo che nel campo con loro c’è da lavorare di più e che non sono al riparo dalle malattie. Magari dalle erbe infestanti si difendono meglio, ma dalle malattie e dall’allettamento no. Quindi non sono la panacea. Danno gusto e colore, e quindi vanno apprezzati per questo.

Faranno strada i Panificatori Agricoli Urbani. Anche perché non hanno fatto l’errore di rinchiudersi nel recinto di un marchio e di un disciplinare, ma si basano su una sensibilità nuova e sulla condivisione di esperienze e di saperi. Retroinnovatori open source.

 

Panificio Davide Longoni
Via Gerolamo Tiraboschi, 19, 20135 Milano
www.davidelongonipane.com

Forno Brisa
Via Galliera, 34d, 40121 Bologna
www.fornobrisa.it

Panificio Moderno
Via al Ponte, 10, 38060 Isera TN
www.panificiomoderno.net

Forno Biancuccia
Via sangiorgi 12, Catania
www.facebook.com/fornodibiancuccia

Crosta
Via Felice Bellotti, 13, Milano

Mulinum
c.da Torre Del duca,  San Floro (CZ)
www.mulinum.it

 

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Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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