Vinitaly 2019: nuovi progetti e alcune conferme

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Terminato il Vinitaly esce la notizia che bere una bottiglia di vino a settimana aumenta la percentuale di rischio del cancro, alla pari che fumare 10 sigarette. Ecco, tu che vuoi parlare di degustazioni effettuate proprio al Vinitaly ti fa sentire come Jack Nicholson in “Qualcosa è cambiato”, quando parlando col barista lo apostrofava dicendo che era uno spacciatore dell’ultima droga legale. O forse peggio. Che poi queste notizie siano “casualmente” rilanciate a ridosso di eventi importanti fa parte del mestiere del giornalista, visto che già nel 2014 l’Airc metteva in guardia dall’abuso di alcool e sul rischio correlato al tumore.

Allora dovremmo essere contenti se le statistiche ci confermano una riduzione, dal 2009 ad oggi, del 10 per cento nel consumo di vino pro capite in Italia (40 litri nel 2009 e 35 litri nel 2018).  Ma anche qui bisogna fare un po’ di chiarezza: se il problema è l’alcol allora si comprende come lo studio inglese sia anche un po’ fuorviante. Il consumo di vino pro capite in Inghilterra si attesta su 20 litri annui ma il consumo di alcol secondo questo sito è di 12,3 litri a testa, pari a una media di 126 bottiglie di vino, ben oltre i nostri 35 litri,  pari a circa 46,5 bottiglie! Dunque per farci tornare la voglia di parlare di vino dobbiamo comprendere come l’attività vitivinicola, per fortuna, sia molto di più della “semplice produzione di vino”.

Durante gli ultimi anni abbiamo visto crescere la consapevolezza nei produttori di essere parte centrale del sistema produttivo agricolo e motori di una maggiore sensibilità verso l’ambiente, ciò che ha consentito la nascita, all’interno del salone, di sezioni dedicate all’agricoltura biologica e biodinamica sempre più popolate. Lo studio quindi del territorio e dell’ambiente, prima dell’avvio della produzione, sono sempre più indispensabili per i prodotti del futuro che vogliano raggiungere l’altissima qualità valorizzando il territorio di origine.

Proprio per scoprire questi nuovi progetti abbiamo partecipato alla degustazione di La Collina dei Ciliegi, cantina produttrice di Amarone che ha presentato la sua nuova filosofia produttiva. La  Collina dei Ciliegi è una azienda nata nel 2005 dalla passione di Massimo Gianolli per il vino, e si evolve velocemente arrivando a 45 ettari di proprietà. Ma anche dal punto di vista stilistico e filosofico l’azienda si è evoluta, radicandosi sul territorio. La degustazione a cui abbiamo partecipato attesta proprio questo passaggio concettuale, prima ancora che tecnico. Infatti ha inteso mettere a confronto un Amarone Riserva 2007 con l’Amarone 2015. Ma la ricerca di altissima qualità non si ferma qui : su suggerimento di Christian Roger l’azienda si è affidata ai coniugi Lydia e Claude Bourguignon, agronomi consulenti per i maggiori cru della Francia, che hanno condotto studi sul sottosuolo della Valpantena per identificare i migliori siti per i nuovi vigneti.

Ma torniamo alla degustazione. Viene proposto, proprio per stimolare un confronto stilistico, prima il 2007 poi il 2015. Il 2007 è figlio di una concezione in qualche modo tradizionale; con oltre 11 anni di invecchiamento evidenzia ancora una struttura importante e una freschezza viva, in qualche sua sfumatura mentolata. Al naso la ciliegia e le note speziate sono dominanti, con sentori più complessi di agrumi. L’Amarone 2015 ha una concezione completamente differente, è un vino più elegante sia nelle note fruttate e che nell’articolazione sul palato, distendendosi in maniera più morbida e lineare rispetto al 2007. Entrambi comunque si confermano dei grandi vini.

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Restando nell’ambito delle aziende del nord Italia, abbiamo incontrato la Tenuta Mazzolino, produttori in Oltrepò pavese di grandi Pinot Noir. Nonostante il territorio dove ricade l’azienda abbia visto crescere la vite da millenni, la Tenuta nasce grazie alla acquisizione della proprietà da parte della famiglia Braggiotti, che dal 1980 coltiva queste terre. Da quel momento, grazie a Sandra Braggiotti, nasce quella che oggi è Tenuta Mazzolino. L’idea del Pinot nero proviene dal ramo francese della famiglia, tanto che dalla Borgogna è arrivato il famoso enologo Kyriakos Kynigopoulos per dare la sua impronta ai vini. Così si costituiscono vigneti con pinot nero, chardonnay e vitigni locali come la bonarda e il moscato. La tecnica agronomica è improntata al rispetto della vite e dell’ambiente e l’azienda si impegna molto nel controllo dei parassiti con l’adesione ai protocolli dell’agricoltura biologica. Importante è anche lo studio del terroir per la migliore collocazione dei vitigni in funzione del microclima.

Abbiamo effettuato la degustazione in presenza della proprietaria Francesca Seralvo, e la degustazione è risultata decisamente convincente. Sia lo Chardonnay Camara’ 18 (affinato in acciaio), fine e varietale, sia il più ” francese” Blanc 2017 (fermentazione e affinamento per 10 mesi in barrique), che sprigiona le potenzialità del territorio attraverso note fruttate e agrumate ben fuse con la struttura ed il rovere, sono vini eleganti e ben fatti.

Ma sicuramente è il Pinot nero “Noir” a rappresentare il vertice della produzione. Di impronta chiaramente borgognona, Noir 2015 , ultima annata presentata al Vinitaly che suggella 30 anni di produzione di questo vino, al naso rivela in sequenza note floreali (violetta), di frutti rossi, spezie e, più lievi, di erbe aromatiche. In bocca mostra una tale freschezza da far presagire ottime potenzialità di invecchiamento e nel finale, oltre all’elegante cifra tannica, ripropone le note fruttate già percepite all’olfatto.

L’assaggio di Noir 2004 ci consente di valutare la capacità di invecchiamento di questa etichetta. Il colore leggermente più granato tiene bene, mentre all’olfatto sprigiona grande complessità: dall’amarena alle spezie passando per una palette di frutti rossi e violetta fino a note leggere di tabacco. In bocca è ampio, dotato di una impalcatura tannica elegante e avvolgente. Un ottimo vino.

Di un anno più vecchio, il 2003 esprime con nostra sorpresa stoffa e freschezza, seppur figlio di una annata calda. La nota olfattiva è più matura ma sempre fine, mentre in bocca sfodera un connubio tra eleganza e sapidità sostenuto da una fresca nota finale. Un bel risultato.

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Spostandoci più a Sud, abbiamo incontrato l’azienda Vitivinicola Guerriero. Accompagnati da Ferdinando Limone , Accademico della Vite e del Vino, che ne ha seguito il progetto, facciamo la conoscenza di questa realtà irpina di Taurasi (AV).  L’esperta mano di Ferdinando guida i processi produttivi con garbo ed eleganza; dalla vigna alla cantina si avverte una stretta aderenza al territorio e una chiara interpretazione dei vitigni, il tutto a concretizzare una gamma di vini di particolare interesse.

A partire dal Fiano di Avellino 2018, vinificato a temperatura controllata e successivamente affinato in botti di rovere da 6 hl fino a inizio primavera, per poi concludere l’affinamento in bottiglia. Al naso l’eleganza fruttata tipica del vitigno si compone di varie sfaccettature: dalla leggera nota di miele d’acacia alla frutta bianca (pera), fino alla frutta tropicale. In bocca assume la freschezza ma anche l’eleganza del vino di rango, pur rimanendo invitante e di facile abbinamento. Un vino che porta con se anche un rapporto qualità/prezzo interessante.

Altro interessante vino, sia per fattura che per caratteristiche, è il Coda di Volpe 2018, ricavato dall’omonimo vitigno autoctono, vinificato in legno e affinato in botti di legno da 6 hl. Dal colore giallo paglierino medio e dal profumo floreale che ricorda l’acacia, l’anice e la frutta bianca, al gusto è sapido, espressivo e minerale.

Nella gamma dei rossi il Taurasi 2015 ci ha colpito per la struttura, l ‘austera compostezza e la profondità del sorso. Di colore rosso granato, possiede profumi complessi che spaziano dal floreale fresco alla frutta di sottobosco, ma sopratutto alla nota balsamica e lievemente speziata. In bocca è ampio, elegante, con retrogusto di ciliegia e prugna matura: un gran bel vino.

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In ultimo, ma non per ordine di importanza, facciamo visita all’azienda San Quirico di San Gimignano (SI). Sotto la guida di Isabella Vecchione e con la consulenza di Fernando Sovali, i vini di San Quirico esprimono al meglio il potenziale espressivo di questa denominazione. Sia nella versione in rosso, dove il Chianti da Sangiovese 100% 2012 affinato in fusti di rovere da 7,5 hl riesce a esprimere un frutto croccante, una bella nota evolutiva e una bocca fresca e tannica da vino ancora giovane, sia ovviamente in bianco, come nel caso della Vernaccia di San Gimignano 2018, dal naso fruttato di pesca, pera e frutti bianchi, floreale di acacia, e dalla bocca sapida, fresca, di lunga persistenza.

Il nostro commiato al Vinitaly ci vede in compagnia della Vernaccia di San Gimignano Riserva Isabella 2008, un bianco affinato in botti di rovere da 23 h per 7  anni, poi 2 anni in cemento e infine un anno di bottiglia prima della commercializzazione. Un vino dai riflessi gialli medi, con un naso fruttato, speziato e balsamico di notevole complessità. In bocca l’avvolgente eleganza del sorso propone sentori minerali e si compone in un finale speziato e ammaliante.

Pezzo scritto con il contributo di Vincenzo Tosi.

 

 

Lamberto Tosi

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