Diari chiantigiani: Tenuta di Bibbiano, Monte Bernardi, Tenuta La Massa, Le Cinciole

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INTRO

Ogni volta ci lascio un pezzetto di cuore. Lo so, lo prevedo e inesorabilmente accade.
La fitta che sento dentro altri non è se non il dolore provocato da un distacco di organi. E’ quell’attimo lì, può durare a lungo ed è bellissimo, dolorosamente bellissimo.

Ora, dopo “millanta” frequentazioni, i casi sono due: o possiedo un cuore esageratamente ipertrofico, con la pompa infinita di un dinosauro e le dimensioni di uno yak, oppure, finito il cuore, c’è qualcosa d’altro a restare appiccicato a quei luoghi.

Esiste invero una terza ipotesi, da non scartarsi a priori: che si tratti di una sorta di “osmosi inversa”, che sia cioè quella terra a ricucirmi addosso brandelli di cuore. Un’operazione minuziosa, certosina, lunga una vita.
Una rigenerazione con le fattezze di un dono.

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LOWLANDS (Tenuta di Bibbiano)

Tommaso Marrocchesi Marzi

Nei vini di Bibbiano vi ho rintracciato il solito, speciale candore e una fragranza buona prodiga di minuzie, sciorinate amorevolmente attorno ai fondamentali classici della tipologia, che oltre al rigore qui richiamano ai sensi solarità, nitore e morbidezza tattile.

Quando ti avvicini però al Chianti Classico Gran Selezione Vigna del Capannino 2016 (di prossima uscita) ti accorgi che c’è chi nasce con le stimmate del predestinato.

Vibrante, signorile, austero, con il sottobosco più profumato che c’è, finalmente un Gran Selezione che non ammicca a niente e non si atteggia, proponendosi semplicemente a emblema luminoso e identitario delle dolcissime “lowlands” di Castellina.

 

 

 

Listrice 2018 (trebbiano/malvasia)

Senza moine, fresco e piacevole. Così come dev’essere un bianco chiantigiano che intenda onorare il territorio e le sue tipiche uve con umiltà, dedizione, spirito di squadra.

Scappalepre 2018 (rosato da uve sangiovese)

Roselline, melograno, grip e piacevolezza. Ben oltre la precisione esecutiva, con la Provenza nella testa e Castellina nel cuore.

Chianti Classico 2017 (sangiovese)

Violette e amarene per un profilo caldo, morbido, dispiegato, concessivo. Di Bibbiano ne porta l’effige.

Chianti Classico Riserva 2016 (sangiovese)

Generoso temperamento alcolico in un sorso fragrante, ampio, abbracciante, sincero.

Chianti Classico Gran Selezione Montornello 2015 (sangiovese del versante di Montornello, esposto a nord est su suoli argillo-calcarei con presenza di alberese, lame di sabbia, gessi e argilla rossa)

Fondato su un registro stilistico classico, dietro l’affascinante sfumatura fumé svela una affettuosa aromaticità di frutti rossi del bosco, viola e spezie fini. In bocca è morbido, pulito, melodioso, confortevole, senza asperità, dai preziosi risvolti sapidi.

Chianti Classico Gran Selezione Vigna del Capannino 2016 (sangiovese grosso monopolio Bibbiano, da vigna omonima esposta a sud ovest e da suoli scistosi di alberese e argilla celeste)

Bacca selvatica & alloro, profilo silvestre e nobilmente compassato, gusto vibrante e ad alto tasso di personalità. Il contributo alcolico, pur presente, resta inglobato nella maglia fitta dei sapori e nel vigore esaltante di uno sviluppo dinamico.

Bibbianaccio 2015 ( 50% sangiovese; 50% colorino da entrambi i versanti, fermentazione in botti piccole aperte con frequenti batonnage, affinamento parte in tonneaux parte in botti di rovere di Slavonia)

A colpire è la naturalezza, il modo in cui si muove, la nonchalance. Un vino che non si ferma alla superficie ma scava più sotto, a scoprire un carattere fondato su accenti del tutto personali e su una dominante di amarene, prugne e spezie che ci parla di gioventù. E se la vigna deve ancora crescere, il brillio sapido comunica di già tutto il buono di cui c’è bisogno.

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EURITMICO (Monte Bernardi)

Michael Schmelzer

A Monte Bernardi le idee sono chiare. Si avvantaggiano di un linguaggio semplice, esplicativo, e di gesti puliti. Le linee che sono state tracciate hanno scoperchiato limpidi orizzonti espressivi.

I vini, in piena corrispondenza euritmica, sfoggiano l’autenticità delle firme migliori, una purezza che si esalta oggi nell’eleganza profondissima del Chianti Classico Riserva Sa’etta 2016, in uscita da novembre, figlio della pietraforte, figlio legittimo, figlio caro.

Poi c’è lui, Monte Bernardi 2016, una luce tracciante. Grazie all’incanto sospeso, alla dinamica, alla spontaneità e al sentimento di un vero Sangiovese chiantigiano.

E’, né più né meno, un grande Chianti Classico. Oppps, mi direte, ma l’etichetta mica recita che è un Chianti Classico? Non fa niente, so che lo è, così come lo sa il suo talentuoso produttore, che lo ha creato apposta.

Il fatto che non lo sia dipende da altre questioni, sulle quali non voglio infierire, se non per dire che quanto a storture la razza umana sa farsi valere eccome. Nonostante ciò, Monte Bernardi 2016 guarda oltre le storture, rivendicando sommessamente una di quelle “cose” piccole e inestimabili di cui il mondo del vino non dovrebbe privarsi mai: il diritto all’autenticità.

 

Chianti Classico Retromarcia 2017 (sangiovese)

Sussurro lieve, incantesimo di equilibri sottili. Giocato tutto in sottrazione, le dissolvenze qui si fanno evocazione.

Monte Bernardi 2016 (sangiovese)

Acidità viperina, profilo affusolato, andamento dinamico, spedito, nitido, freschissimo, dalle cento sfaccettature. Chianti (Classico) fin nel midollo.

Chianti Classico Riserva Sa’etta 2016 (sangiovese)

Profondità ed eleganza come maritate in un Sa’etta più accessibile del solito. La dolcezza è tutta del frutto, la dote tannica finissima, il futuro dalla sua parte.

Tzinganella 2017 (cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot, colorino)

Gioviale, senza spigolature erbacee, goloso, istintivo, anche se di medio allungo, si beve da dio.

Tzingana 2015 (cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot e petit verdot)

Frutto integro, qualche velatura olfattiva ma finale arioso, sciolto & disinvolto.

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IL VINO BLU (Tenuta La Massa)

Giampaolo Motta

“Un produttore non deve mai mentire a sé stesso”. Mi è piaciuta molto questa affermazione di Giampaolo Motta, vignaiolo in Panzano nella sua Tenuta la Massa. Non perché suoni bene, ma perché ce la ritrovo proprio, dentro questa storia.

Andare per la propria strada anche a dispetto di tutto e tutti, nel nome di una visione stilistico-interpretativa nella quale rispecchiarsi e con la quale sentirsi finalmente a proprio agio, è un proposito che contempla sincerità, determinazione e coraggio, comunque la si pensi, attitudini queste che è bene siano sempre in circolo.

Poi, che Giampaolo Motta coltivi un’autentica infatuazione per l’universo Bordeaux e per i vini bordolesi è cosa ormai risaputa. Lo sanno tutti in Chianti, dall’Impruneta giù giù fino a Monteaperti .

Così come tutti sanno che Giorgio Primo è l’etichetta su cui è andata costruendosi una inossidabile nomea; un ex Chianti Classico trasformatosi nel tempo in un bordolese style a proporzioni variabili di cabernet sauvignon, merlot e petit verdot. Se non è forza di volontà questa, come la vogliamo chiamare?

Lui, il vino intendo, è figlio di un meticoloso puntiglio agronomico, che parte da un importante lavoro di zonazione dei suoli e poi da una altrettanto meticolosa fase di vinificazione, che dire parcellare è dire poco.
Giorgio primo è, a suo modo, figlio delle differenze.

Ecco, di fronte a tutta questa volontà di governo e di indirizzo, Giorgio Primo 2016, frutto della venticinquesima vendemmia, ha risposto con eloquenza di mezzi espressivi, rifuggendo l’impatto materico e la presenza scenica fine a se stessa per scardinare alle fondamenta ogni possibile pregiudizio. Ci è riuscito grazie alla flessuosità e all’eleganza, a un frutto limpido e perfettamente maturo, a una impalcatura tannica da primattore e a una freschezza che è linfa.

“E’ un vino blu”, dice Giampaolo. Io non ho mai assegnato colori al temperamento e alla fisionomia di un vino, ma se un vino avesse un colore, fuori e dentro, Giorgio Primo ’16 sarebbe blu. Profondamente blu.

 

La Massa 2017 (sangiovese 70%, cabernet sauvignon, merlot e alicante 30%)

Frutti rossi maturi e lievi stimoli terrosi, suggestioni floreali e poi una estrazione giudiziosa a sfinare la trama, che chiama a sé bevibilità e spigliatezza.

La Massa 2016 (sangiovese 60%, merlot 30%, cabernet s e alicante 10%)

Più materia, più saldezza e più complessità rispetto al 2017. L’annata ha consentito di spingere maggiormente su livelli di maturazione ed estrazioni, e se il fratello minore appare gioviale e disinvolto, qui c’è una trazione sapido-minerale importante, a far la differenza.

Carla 6 2017 (sangiovese da singola parcella, suoli di sabbie e galestri)

Elegante e sfaccettato, si offre secondo una trama morbida, calda ma reattiva, di una dolcezza accorta e delicatamente boisé, in grado di preservare misura e capacità di dettaglio pur senza possedere l’allungo delle migliori occasioni. Stimoli agrumati e vibrazioni sapide alimentano l’attitudine di concedersi con garbo.

Carla 6 2016 (sangiovese da singola parcella, suoli di sabbie e galestri)

Colore decisamente più profondo e massiccio rispetto al 2017; profilo “scuro” di grafite, china, menta e sottobosco; sembra un Barolo Brunate còlto in piena gioventù, con il suo cipiglio austero, con la sua trama soda e decisa, con quella chiusura in odor di liquirizia che, se da una parte risulta un po’ asciutta, dall’altra richiama fierezza, baldanza, futuro.

Carla 6 2015 (sangiovese da singola parcella, suoli di sabbie e galestri)

Certamente ricco, certamente maturo nella dote di frutto, dei tre Carla 6 assaggiati oggi è il meno equilibrato. L’eloquenza materica tende a comprimerne la dinamica, lì dove a primeggiare è l’impatto più che le sfumature di sapore e la modulazione nei toni.

Giorgio Primo 2016 (merlot 55%, cabernet sauvignon 40%, petit verdot 5%)

Bell’equilibrio espositivo, fondato su un seducente registro balsamico e su una dote di frutto perfettamente matura (more, mirtilli, cassis); la diffusione si fa pervasiva, intessuta di freschezza. C’è misura, sensualità, indirizzo, perfezione di forma e di sostanza.

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LUCI A PANZANO (Le Cinciole)

Luca Orsini e Valeria Viganò

Luca e Valeria SONO Le Cinciole. E anche l’onestà intellettuale fatta mestiere. Ci conosciamo da tanti anni ma per me qui è come se fosse sempre la prima volta. Fluttua nell’aria una strana e confortevole sensazione: tutta quella sincerità, tutto quel trasporto, tutto quel raccontarsi mettendosi a nudo, in un attimo ti proietta nella loro essenza di persone come raramente mi è capitato di poter apprezzare nel corso di incontri, per così dire, professionali.

Un’empatia a pelle dalla quale non scappi più e che non dimentichi, così come non dimentichi i loro vini, provvisti di quelle doti laicamente sante in grado di farli librare, di fargli guardare cioè costantemente all’insù e mai verso il basso.

Il Chianti Classico Riserva Aluigi 2014, se intende essere una dedica, quello è. Un vino dedicato.
Dedicato per esempio a tutti coloro che del Sangiovese amano immaginarne la profondità nei non detto e nelle stratificazioni interiori, qualità che attengono soltanto a una materia viva modellata senza intermediazioni né forzature.

E’ un vino spogliato fin nelle intimità da una annata dialettica, ingenerosamente collocata dai più fra le derelitte. La bellezza in filigrana che emana da lì è lucentezza, lucentezza pura.

E poi c’è il Chianti Classico 2016. Beh, lui più semplicemente è un incanto.

 

 

Rosato 2018 (sangiovese 70%, merlot 15%, syrah 15%)

Floreale e delicato, elegante e lungo. Come un Cote de Provence particolarmente garbato, o più semplicemente delizioso.

Cinciorosso 2017 (sangiovese 70%, merlot 15%, syrah 15%)

Piacevole declinazione del vino quotidiano, di bella integrità fruttata e brillante chiarezza espositiva.

Chianti Classico 2015 (sangiovese)

La generosità, il calore e la pienezza, figlie legittime del millesimo, sono latenze più che asserzioni. E in quell’ abbraccio morbido vi rintracci misura e senso dell’equilibrio.

Chianti Classico 2016 (sangiovese)

Possiede tutto ciò che serve: indirizzo, sentimento, slancio, portamento. E’ Chianti nell’anima. E pure frutto di un’annata coi fiocchi. Buonissimo!

Chianti Classico Riserva Aluigi 2014 (sangiovese, da singola vigna)

Elegante e sussurrato, fondato sul registro sapido-minerale, è arioso, slanciato, ricamato in macramé.

Petresco 2015 (sangiovese, da vigna apicale)

Ne apprezzerai la saldezza, la profondità e la concretezza. Vino ricco dentro e fuori, dai fondamentali eleganti e dal futuro assicurato.

Camalaione 2015 (cabernet sauvignon 70%, syrah 15%, merlot 15%)

Frutti neri, grafite, pepe e spezie per un profilo d’ascendente “moderno”, estrattivo e sicuro di sé. Tratto un po’ asciugato, in attesa di una più armoniosa distensione.

FERNANDO PARDINI

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