Diari siciliani: da Erice a Palermo, con visita a Firriato

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Riprendiamo il tour della Sicilia nord-occidentale conclusosi nella prima parte a Marsala.

Eolo oggi sfodera il suo repertorio migliore e nel pomeriggio ci si mette pure Giove pluvio. Salire a Erice con questo tempo non è il massimo, ma quando sei in vacanza tutto assume sfumature più piacevoli. Questo piccolo borgo medievale arroccato a 750 metri sull’omonimo monte è un susseguirsi di viuzze lastricate e chiesette con qualche “nota” barocca qua e là. Imperdibile la magnifica vista (ma non oggi…) che si può godere dal Castello di Venere sulla Valderice e sul golfo di Trapani con le sue isole. Un’arancina da “Le Millevoglie” e, soprattutto, un bel cannolo alla ”Antica Pasticceria del Convento” ci riappacificano con il clima.

“Pomeriggio bagnato, pomeriggio fortunato”, vien da parafrasare un noto proverbio popolare. Sì perché l’occasione è propizia per visitare un’altra cantina. Nonostante il giorno festivo, grazie all’aiuto di Veronica Grammatico di Firriato, raggiungo il Baglio Sorìa Resort & Wine Experience per un assaggio dei loro vini.

Nella brulla campagna retrostante Trapani si staglia il complesso architettonico dell’antico baglio risalente al 1600, egregiamente ristrutturato per divenire una attività ricettiva di pregio dove coniugare arte, natura e piaceri della tavola. In questa tenuta, negli anni ’80, è nata la storia di Firriato per poi crescere alle sei tenute di oggi: una a Favignana, una sull’Etna e altre tre sempre nel trapanese.

Nella sala degustazioni, in compagnia di un simpatico gruppo di americani, inizia la prima parte di assaggi conclusasi poi nella sala ristorante solo con il maître-sommelier giusto per aggiungere qualche altra etichetta:

GAUDENSIUS blanc de noir: Metodo Classico da uve nerello mascalese prodotto sull’Etna nella Tenuta Cavanera Etnea. Oltre 32 mesi sui lieviti. Finissimo il perlage, aromi floreali si accompagnano a quelli di brioche seguiti da sentori agrumati e minerali. Al palato è apprezzabile la discreta acidità mentre mi aspettavo qualcosa di più per la persistenza.

JASMIN 2018: zibibbo in purezza dalla Tenuta di Borgo Guarini, nel trapanese. Vino aromatico giocato sui profumi floreali – ovviamente di gelsomino – di agrumi e frutta gialla. In bocca è corrispondente, il giusto mix acido/sapido lo rendono piacevolmente beverino.

FAVINIA LA MUCIARA 2017: dalla Tenuta di Calamoni sull’isola di Favignana un vino che riassume i vitigni autoctoni in un uvaggio di grillo, catarratto e zibibbo. Un vino prodotto a due passi (veri) dal mare su terreni ricchi di fossili marini con vitigni coltivati ad alberello appoggiato e spesso concimati con posidonie. Le uve sono poi vinificate sull’isola maggiore dove giungono con piccole barche caratteristiche. Al naso è armonico ed elegante, profumi floreali si confondono con ricordi di macchia mediterranea e agrumi. Al palato parte morbido e rotondo per poi sfilare sulla vena acida e la sapidità si rivela più marina che minerale. Connubio ideale per un bel pesce arrosto.

CAVANERA ROVO DELLE COTURNIE 2014: ancora sull’Etna per questo rosso costituito da nerello mascalese e nerello cappuccio. Alla vista appare color rubino trasparente tendente al rosso antico. Al naso si spazia dal ribes alle spezie orientali, da spunti floreali a sfumature minerali. In bocca è elegante, i tannini sono esili e risaltano le note vulcaniche. Buona la persistenza sebbene marcata un po’ dal legno.

HARMONIUM 2013: questo nero D’Avola è figlio dei tre migliori cru della Tenuta di Borgo Guarini, ognuno dalle caratteristiche peculiari. Naso intenso di frutta rossa e prugna corredato da erbe aromatiche e terziari di tabacco e cioccolata. In bocca riesce a coniugare potenza ed eleganza, dimostra carattere in guanti di velluto e mantiene un buon dinamismo grazie all’apporto equilibrato di acidità e mineralità. Dodici mesi di passaggio in barrique gli danno un sensibile tocco internazionale.

L’ECRU’: uva zibibbo coltivata a Borgo Guarini. È un passito particolare poiché ottenuto per infusione degli acini appassiti al sole per 40 giorni nel vino d’annata. Una lavorazione volta ad unire le caratteristiche del vino fresco, l’acidità su tutte, al contributo aromatico/glicerinico dell’uva appassita. Al naso sfoggia una bella frutta disidratata di albicocca e dattero, poi fichi, arancia e pesca sciroppata. Non mancano anche un po’ di erbette aromatiche a corollario. Al palato seduce con una beva inaspettata risultando meno dolce e opulento di quanto immaginato all’olfatto, così come era nei propositi.

Della carrellata dei vini che è seguita “in separata sede” segnalo RIBECA 2014, un vino corposo ottenuto da uve perricone, altro vitigno autoctono, e affinato per 12 mesi in barrique di rovere francese. Ai sentori di mora e marasca si affiancano i terziari di cioccolata fondente, caffè tostato, pepe nero e spezie. In bocca l’importante gradazione alcolica è ben sostenuta da un corpo e da una struttura notevoli, la morbidezza è rifinita da tannini di pregevole fattura. Il quadro sensoriale è arricchito da sentori di carrube e da una leggera freschezza balsamica che allunga oltre modo la persistenza.

E’ tempo di partire ma, prima di arrivare a Palermo, è d’obbligo una sosta al parco archeologico di Segesta. L’origine della città è avvolta nel mistero ma pare fondata dagli esuli troiani chiamati Elimi nel IX secolo a.C. Fino al V secolo d.C. ha avuto una storia travagliata da svariate battaglie e passaggi di padroni per poi essere definitivamente distrutta dai Vandali. Oggi le testimonianze meglio conservate sono il tempio dorico e il teatro, luoghi dove è piacevole soffermarsi e provare ad immaginare quella che poteva essere la vita a quel tempo.

Dopo questa “boccata” di storia ci rituffiamo nel presente per passare gli ultimi giorni nel capoluogo siciliano.

Scegliamo Palazzo Brunaccini, storica dimora della nobildonna Lucrezia Brunaccini, trasformato oggi in un moderno ed elegante boutique hotel, come base su Palermo. Ottima scelta data la centralità della location giusto dietro al mercato Ballarò. Come tutti i mercati la sera è frequentato da personaggi “particolari” ma, come assicurato dall’albergo, non abbiamo mai visto o vissuto situazioni strane e pertanto mi sento di consigliarlo vivamente.

Visitare una città ricca di arte e di storia come Palermo può risultare complicato, soprattutto per il rischio di perdersi tesori nascosti e particolarità difficilmente riportate sui testi. Così ci siamo affidati per un’intera mattinata alle sapienti ”gambe” di Mauro per una visita guidata -a piedi- del centro storico. Mai scelta fu più azzeccata! Oltre agli aspetti più strettamente culturali, in quelle poche ore siamo riusciti a vivere un po’ da palermitani grazie alla conoscenza di soggetti e locali veraci del centro.

Giusto per citarne qualcuno: “I segreti del Chiostro”, pasticceria nata nel monastero di clausura di Santa Caterina recentemente dismesso, cannoli e altri dolci tipici tra i migliori in assoluto; “Caffetteria Stagnitta”, una torrefazione dal 1928 dove prendere un caffè buono e potente per ripartire belli carichi alla scoperta della città; “Focacceria San Francesco”, dal 1834 ha sfamato migliaia di visitatori con arancine, panelle, sfinciuni, pani ca’ meusa e tante altre specialità dello street food siciliano (qualcuno ormai la reputa un’attrazione turistica ma a noi è piaciuta molto in tutti i sensi); mercato di Ballarò, come tutti i mercati è un agglomerato di colori, profumi e suoni da cui traspare la vita reale del posto; “Bistrot Bisso”, un recente ristorante ricavato all’interno della vecchia libreria Dante a due passi dai Quattro Canti, frequentato da giovani palermitani dov’è possibile assaporare piatti tradizionali a prezzi modici; “Teatro dei Pupi” della famiglia Argento, nei pressi della cattedrale, spettacolo imperdibile; “Laboratorio d’arte Angela Tripi”, sempre nei pressi della cattedrale, merita la visita alla Maestra della terracotta – famosa in tutto il mondo – per l’acquisto di un souvenir d’autore e/o per chiedere di vedere il presepe dentro il laboratorio.

Per l’ultima cena siamo stati “da Carlo”, il ristorante annesso al nostro albergo. Lo chef è un simpatico personaggio cresciuto nelle strade del mercato, e pertanto votato alla freschezza e alla stagionalità dei prodotti locali.

Antipasto misto di affettati e formaggi tipici, pasta ai gamberi e novellame, caponata rivisitata con cioccolato al peperoncino e fichi secchi, filetto alla Norma e un parfait di mandorle ci hanno lasciato un bel ricordo e un buon sapore di questa terra magnifica.

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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