L’ N.P.U 2004 e gli altri Champagne di Bruno e Alice Paillard

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È il 1981 quando Bruno Paillard, discendente da una famiglia di vignaioli e mediatori, fonda la sua maison di Champagne a Reims, la città dove è nato. Ha 27 anni, è senza vigneti (comincerà ad acquistarli nel 1984, con i primi tre ettari nel grand cru di Oger) e senza capitali (venderà la sua Jaguar d’epoca per i primi investimenti), ma con un’idea fissa in testa: produrre uno Champagne senza compromessi che esprima la sua personale visione – idea e stile – di questo celebre vino. Nel 1994 concepisce una cantina controcorrente, costruita tutta in superficie, rinunciando all’interramento come da tradizione locale: nel 1990 chiede all’architetto Jacques Bléhaut di concepirne un’altra in acciaio, vetro e legno, i tre materiali che rappresentano la genesi e la vita di una bottiglia di Champagne.

Oggi l’estensione vitata raggiunge i 34 ettari, di cui 12 classificati “Grand Cru”, menzione che spetta solo a 17 villaggi dei 320 della denominazione. Dal 2007 Bruno è affiancato dalla giovane figlia Alice nella gestione aziendale. L’elaborazione di cuvée rigorose sul piano stilistico quanto armoniche su quello espressivo – la maison ha compiuto negli ultimi anni considerevoli progressi qualitativi – si basa su principi produttivi molto ferrei e su un’evidente precisione tecnica: accanto alla qualità indiscutibile della materia prima, l’utilizzo esclusivo di prime spremiture; le vinificazioni separate per cru, talvolta addirittura per parcella, in acciaio o botte; l’uso di vini di riserva per i non millesimati, la cui proporzione può variare dal 25% al 50%; una lunga sosta sui lieviti, che nei millesimati parte dai sette anni per arrivare ai dodici del Nec Plus Ultra; un dosaggio da Extra Brut, dunque minimo, che tende a valorizzare la purezza del terroir; un affinamento in cantina dopo la sboccatura che può arrivare fino ai diciotto mesi.

La bontà di questi protocolli produttivi e dei loro risultati in bottiglia sono emersi in occasione della degustazione in anteprima della nuova annata del N.P.U. (Nec Plus Ultra) 2004, avvenuta presso il Langosteria Café di Milano. Un’occasione per affiancare altri due millesimati del 2004 con sboccatura datate e fascinose (è da ricordare che Bruno Paillard è stato nel 1983 tra i primi a indicare la data del dégorgement e non c’è bottiglia di un suo Champagne che non la riporti fedelmente in retro etichetta).

La “trilogia 2004” è stata introdotta da una godibile, impeccabile versione di Champagne Blanc de Blancs Grand Cru in formato magnum (chardonnay in purezza, 25 annate assemblate a partire dal 1985, 4 anni sui lieviti, dosaggio 5 grammi/litro di zucchero) che si è rivelato qualcosa di più di un perfetto aperitivo, ma uno Champagne de garde: preciso nel colore, fine ai profumi, fresco, di irresistibile beva al gusto, scandito da una carbonica carezzevole, con un lascito sapido non indifferente. In abbinamento: crostino al salmone Sockeye; pane, burro e acciughe del Cantabrico; tempura di calamari con maionese al pepe di Sechuan.

Alice Paillard, presente all’evento, descrive il 2004 come «un’annata che è stata fredda e calda a momenti alternati, con una lunga fase di maturazione e una vendemmia che è partita a settembre per arrivare fino a ottobre. Non è stata un’annata molto chiacchierata: per apprezzare l’armonia di questo millesimo ci vogliono silenzio e distanza. È stata una vendemmia ideale. Niente a che vedere con quella del 2019, la più precoce degli ultimi venticinque anni: entro il 20 di settembre abbiamo raccolto tutto».

Lo Champagne Blanc de Blancs 2004 (chardonnay in purezza; otto anni sui lieviti; sboccatura 2013; dosaggio 5 grammi/litri di zucchero) ha colore paglierino acceso e definito, un naso di spiccata, invitante evoluzione di burro, pane grigliato, nocciola tostata cui si oppone un palato fresco, ricco di agrume, di buccia di agrume, succoso e tonico, pieno di sapore, con accensioni balsamiche finali. Carbonica sottilmente crepitante, persistenza modulata, sottile, infiltrante. L’etichetta riproduce un’illustrazione di Jiang Hong, artista cinese, dal titolo “Sogni d’infanzia…” (inchiostro di china su carta di riso). Doppio abbinamento: sashimi di ricciola e carpaccio di tonno rosso; tiepido di crostacei.

Frutto dell’uvaggio alla pari (o quasi) di chardonnay e pinot nero provenienti da ben nove cru, con nove anni di affinamento sui lieviti (sboccatura marzo 2012) e un dosaggio di 5 grammi/litro di zucchero, lo Champagne Assemblage 2004 sfoggia un bel colore paglierino brillante intinto nel lingotto-beige, un naso molto fresco, meno evoluto del precedente, sobrio e rigoroso, e un palato tonico-agrumato, polposo, più morbido di quello del Blanc de Blancs senza che questi ne intacchi l’equilibrio o l’allungo, sia in termini di gusto che di effervescenza (che è anzi, come da stile maison, di bella sottigliezza). In etichetta la riproduzione dell’opera “Armonia, Sinfonia” dell’artista georgiano Arthur Djoroukhian. Abbinamento: orecchiette, cicerchie e frutti di mare.

Per avere un’idea del significativo grado di evoluzione di questo vino, basterà assaggiare, al netto delle differenze in termini di millesimo (soprattutto di un millesimo decisamente più caldo come il 2009), l’ultima annata. Lo Champagne Assemblage 2009, frutto della medesima unione di chardonnay e pinot nero con sette anni di contatto sui lieviti (sboccatura: settembre 2017) e ulteriori diciotto mesi di affinamento in bottiglia prima della commercializzazione (il vino è appena uscito sul mercato), ha un carattere decisamente più gagliardo sia nei movimenti della carbonica, sia nelle declinazioni sensoriali, che qui giocano sulla scorza d’arancia, sulle note speziate e su un lato marino-ossidativo di notevole presa. È uno Champagne pieno al gusto che non smarrisce la propria tonicità, più strutturato che in souplesse, il cui invecchiamento non potrà che giovargli in termini di sfumature (come dimostra il suo riassaggio dopo 24 ore). Di rilievo la coda sapido-gessosa, punteggiata dall’ossidazione nobile (i toni nocciolati e tostati) e dal ricordo della scorza d’agrume. L’etichetta riproduce l’opera dell’artista svedese Anna-Lisa Unkuri “Invitation au Voyage”.

Lo Champagne N.P.U. 2004 – che fin dal nome, Nec Plus Ultra (“non più oltre”, locuzione latina più nota nella versione non plus ultra), tradisce la volontà del suo artefice di voler produrre «il più grande Champagne possibile» – è il trionfo della complessità. È il settimo millesimo prodotto dopo l’esordio del 1990, il «generoso» 1995, il «fantasioso» 1996, il «grande classico» 1999, l’«ampiamente celebrato» 2002 e «l’audace» 2003, come li definiscono i Paillard.

Uvaggio alla pari di chardonnay e pinot nero provenienti da sei “Grand Cru” (Oger, Le Mesnil-sur-Oger, Chouilly, Verzenay, Mailly, Bouzy), l’N.P.U. 2004 compie un lento passaggio fermentativo e preparatorio di dieci mesi in piccole e vecchie botti di quercia («solo per farlo respirare, non per le cessioni», commenta Alice in perfetto italiano), trascorre dodici anni sui lieviti (sboccatura: settembre 2017) e due di riposo in bottiglia prima dell’immissione sul mercato, ha un dosaggio zuccherino minimo di 3 grammi/litro. Colore dorato brillante, profumi agrumato-nocciolati di grande respiro e ampiezza, con sottofondo di piccoli frutti rossi. Palato che, dentro la cornice di una carbonica sussurrata, esplode: succo d’agrume colorato di rosso (arancia sanguinella, mandarino), sviluppo tonico, dritto, incessante, verticale, con allungo di fragole e lamponi, e clamorosa persistenza di ciliegia, matura, croccante, tonica. Lievito di grande classe, riflessi di sottobosco, rifrangenze balsamiche, finezze tostate. Dice Alice: «Tensione verso l’assoluto di tutti gli elementi organolettici, senza sacrificare l’equilibrio». Ed è sintesi perfetta. In abbinamento: un carnoso King Crab al naturale come è raro trovarne sul desco di un ristorante.

Contributi fotografici dell’autore

La foto di Bruno e Alice Paillard è stata estratta dal sito aziendale

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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