Terre di confine. Il Fornaccio di Ville di Montetiffi

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Da piccolo la mia favola preferita era quella di Hansel e Gretel. La cosa che mi affascinava di più, passato lo spavento per l’immaginifica figura della strega che voleva mangiare i bambini, erano i sassolini che i due fratelli lasciavano cadere sulla via per ritrovare la strada di casa. Metafora di qualcosa che al momento mi sfugge?

Come nella favola, mi sono imbattuto in un piccolissimo cartello, invisibile ai più, posto ai piedi di un segnaletica lungo una strada sconosciutissima e poco frequentata. “Il Fornaccio“, recitava. Decisi di seguirne l’indicazione. Ne trovai un altro, poi un altro ancora: puntava una valle stretta e una collina selvatica fatta di calanchi, la strada costeggiata da macchia, bosco e sterpi. Una bicicletta arrugginita sul ciglio della strada ne sorreggeva l’insegna. Alla fine sono arrivato in questo piccolo borgo di case disperso nel bel mezzo del niente: Ville di Montetiffi, comune di Sogliano al Rubicone (FC).

Il furgone delle consegne era nell’aia, nessuno nei paraggi. Trascrissi il numero e chiamai. Mi rispose una voce femminile e presi appuntamento per il giorno successivo in un orario più consono ad un panettiere. Come da accordi bussai alla porta del “Fornaccio “. Ad attendermi, con mio piacevole stupore, tre donne: Giorgia, la titolare che stava preparando le consegne, Beatrice e Michelle intente a terminare la cottura di pani, delle crostate e di certe brioche grandi come federe di cuscino. Giorgia Rovelli è l’anima e l’artefice di questa storia.

“Il borgo risale ai primi dell’Ottocento”, ci racconta, “ci vivevano circa sessanta famiglie. Le campagne attorno erano molto lavorate, c’era vita. Si spopolò verso gli anni 50-60 dello scorso secolo a favore della riviera e del turismo.”

Alle mie orecchie arriva l’inflessione di un accento romano. Chiedo. Lei sorride e mi dice:

“Io e mia madre siamo nate a Roma, in Trastevere, ma i miei nonni erano di Bellariva di Rimini. Ci siamo trasferite in Romagna, nuovamente a Rimini, nei primi anni Novanta, forse per richiamo delle radici. Fu mentre cercavamo un posticino tranquillo dove riposare la domenica che ci siamo innamorati di questo borghetto. Abbiamo acquistato e ristrutturato un rudere, che in seguito ci ha permesso di ricavarne il forno nella parte disotto. Inoltre abbiamo comprato un piccolo pezzo di terra dove coltiviamo grani antichi per ricavarne la farina che ci serve.”

La sua energia ed il temperamento suggeriscono una donna dall’indole gitana, con un fascino a metà strada fra Anna Magnani e Sophia Loren.

“C’era un forno -le anziane del borgo me lo raccontavano- che produceva teglie di terracotta; alla domenica, quando non cuoceva gli stampi, loro -e prima ancora le loro madri e le loro nonne- andavano lì a cuocere il pane per la settimana. Questa storia toccò il mio immaginario, una sorta di film in bianco e nero. Ho rivisto la vita di questo paese. Immaginavo gli incontri, le gioie e le fatiche vissuti in una sorta di simbiosi collettiva. Mi innamorai di tutto questo al punto tale che decisi di ritornare e fare la mia parte per riportarlo in vita.”

Quindi vi hai visto la possibilità di realizzare un sogno?

“Vi ho visto di più. La valle del fiume Uso è sconosciuta rispetto a tante altre valli dell’entroterra riminese. Nasconde e conserva dei luoghi selvaggi, abbandonati ma bellissimi, luoghi ricchi di storia e custodi di antiche tradizioni. Ecco, nel mio piccolo vorrei ridar vita a tutto questo.”

Vengo rapito da questo vulcano di emozioni, tanto da rimanere in silenzio, senza fare domande.

“L’idea fin da subito è stata quella di ricreare un attività virtuosa, una piccola economia, e coinvolgere i pochi giovani che sono ancora qui ricostruendo il forno. Beatrice e Michelle sono parte attiva di questa avventura, hanno tanta passione e questa è una virtù impagabile.”

C’è stato un aiuto per la valorizzazione di questo piccolo “villaggio”?

“Si, nei primi anni Duemila il comune ha ristrutturato con lungimiranza tutto quello che gli competeva, restituendo fascino a questo luogo. Va da sé che in seguito persone da fuori ci sono tornate.”

Mi dicevi che produci anche il grano che ti serve per la farina….

“Sì, siamo produttori di grani antichi, un progetto che coinvolge altri agricoltori della zona. Qui c’è il laboratorio ma non la vendita. Quella la faccio durante la settimana nei mercati della terra, assieme ad altri produttori.”

Mi dicono che non è così semplice lavorare farine antiche e farne un buon pane.

“È vero. Anche per questo mi sono fatta raccontare dalle anziane del posto. Volevo fare il pane come una volta, quello che durava una settimana. Assieme a loro abbiamo fatto le prime prove perfezionando la ricetta volta per volta. Uso carpino come legna da forno. È un tipo di legno che rilascia particolari aromi, inoltre i fumi non sono tossici. Il segreto, oltre alla bontà della farina, è il lievito. E qui devo ringraziare una persona speciale, un mago degli impasti, che mi ha donato la pasta madre fatta usando le vinacce.”

Non indago.

Sempre di più viene associata la salubrità dei grani antichi e delle cotture a legna.

“Il pane fatto bene non fa male, le lunghe lievitazioni non ti fanno gonfiare lo stomaco, non si creano intolleranze. La cottura a legna non è dannosa, aiuta la digeribilità. Questo è un pane che ci deve riportare ad un nuovo modo di mangiare.”

Qual è il modo migliore per comunicare tutto questo?

“Stando sempre di più a contatto con la gente. In questo mi aiuta il mio animo romano. Io parlo con tutti e ad ognuno gli racconto del mio pane e cosa succede nel paese. Organizzo feste durante l’anno che coinvolgono il borgo, quelle dove si mangia solo pane, salame o cacio, e dove c’è musica; invito tutti i miei clienti e i loro famigliari. Con un amica guida CAI, esperta di botanica, organizziamo passeggiate sulle colline attorno che finiscono qui con la merenda. Il cellulare da queste parti non prende, entrando in paese sembra che il tempo si fermi e così le persone iniziano a socializzare. Parlano con la gente del paese, si innamorano delle nonnine di cui anche io mi innamorai, una dimensione sana e naturale. Sempre con il desiderio e la speranza che tutto avvenga anche a beneficio del paese.”

Mi stai insegnando che si può fare impresa senza bisogno di quell’ansia da business?

“Beh, non ho studiato marketing, faccio semplicemente i conti della serva e ti assicuro che non puoi fare business con il pane così come ho scelto io. Il pane costa poco, a volte ne comprano anche per un euro e cinquanta. La mia “ansia” è quella di fidelizzare il cliente. Vorrei che la signora che compra il mio pane, i biscotti, le crostate.. poi magari faccia venire anche il figlio. Questo è quello che cerco di fare tutti i giorni.”

Quanto animo romagnolo e quanto animo romano c’è in questo progetto?

“Il 50 per cento è spirito di Romagna. Quel saper faticare e resistere per raggiungere un obiettivo, che il romagnolo ha nel proprio Dna. C’è altrettanto di romano. E’ la parte comunicativa, il saper raccontare – a volte un pò teatrale- che il romano ha, quell’apertura verso la gente, quella voglia di far festa, quella sorniona leggerezza.”

Terminate le domande, adesso le lascio libere di curiosare nella mia vita. Finiamo per raccontare un po’ di noi seduti sui gradini in pietra, fra timidi sorrisi e sguardi pieni di sogni, gustandoci gli ultimi tepori di un ottobre ancora generosamente accogliente. Saluto Giorgia, Beatrice e Michelle. Ringrazio queste tre donne. Le ringrazio per aver condiviso con me piccoli pezzi della loro vita. Le ringrazio per avermi ricordato la capacità di saper “generare “ che solo “ l’altra metà del cielo “ possiede. Le ringrazio per avermi dimostrato, una volta ancora, quanta forza (silenziosa) vi sia dentro ogni donna. E, ripensando ad Hansel e Gretel, ringrazio mia madre.

Il Fornaccio – Via di Ville di Montetiffi, 77 – Sogliano al Rubicone (FC) – www.ilfornaccio.com

Marco Bonanni

Sono cresciuto con i Clash, Bach e Coltrane, quello che so del vino lo devo a loro.

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