I vini del mese e le libere parole. Ottobre 2019

2
11359

A Ottobre rinfresca e a me vien sempre voglia di Nebbiolo. Non so bene perché, ma lo sento nell’aria.

Le occasioni di incontro e di bevuta sono state più di un po’, così la selezione proposta si è privata giocoforza di etichette (e di condivisioni) altrettanto meritevoli di essere ricordate.

Questione di equilibri redazionali, a garanzia di un respiro narrativo che non diventi soffocante o ipertrofico.

Le libere parole me ne vorranno, lo so, perché di fronte a certi vini diverrebbero insopprimibili. In queste 5 bottiglie però c’è racchiuso un di più che va oltre le libere parole: è una precedenza emozionale che chiama a raccolta la memoria, e la memoria a volte non la spieghi con suono di parola, te la immagini da dentro, senza esplicitezze.

___§___

LANGHE NEBBIOLO 2015 – GIUSEPPE RINALDI

Il fatto è che io stasera lo desideravo . E lui si è fatto trovare. Cioè, lui c’era, era lì.

Cercarsi e ritrovarsi – dico io – sopravanza qualsiasi priorità. Addrizza le giornate, per esempio, dandogli un senso.

Ma non è questo, il fatto è che io lo stavo cercando, per cui lui per me, stasera, è il meglio che c’è.

___§___

BAROLO OTIN FIORIN PIE’ RUPESTRIS 2013 – CAPPELLANO

Questa bottiglia ha risuonato come una prova di maturità, quella di un figlio di fronte alla memoria ingombrante di un padre che di nome faceva Teobaldo Cappellano, coscienza critica del vino d’autore piemontese e indimenticato uomo di pensiero. Una memoria che ti rincorre, ti obbliga e ti bracca.

Dopo un vino così puoi ben parlare di affrancamento.

Facendo perno su gesti puliti e su un’incontestabile statura etica, Augusto Cappellano ha disegnato un Barolo Otin Fiorin Pié Rupestris ’13 di straordinaria compiutezza, al cui rigore espressivo va ad unirci una finezza nel tratto finanche inattesa.

La beva è sottile, pervasiva, salata, disinvolta, le distanze finalmente colmate, grazie alla dispiegata eloquenza di un talento nuovo.

___§___

BARBARESCO ALBESANI SANTO STEFANO 2009 – CASTELLO DI NEIVE

Eppure c’è un tarlo che non mi molla e non capisco perché. La sensazione cioè che questo vino, per quanto emblematico e “maestro”, non stia propriamente in cima ai pensieri dei bevitori e degli oenophiles (all’apparenza) più smaliziati.

Non lo vedo cioè alla ribalta fra le predilezioni, non fra i punti fermi, non nel posto in cui dovrebbe stare per diritto acquisito. Così mi domando se stia prendendo un abbaglio o se sia proprio io ad essere sbagliato, io che mi immagino Santo Stefano di Neive fra i vini più carismatici della terra sua, e anche più in là.

Prendi il 2009, ad esempio, che in barba alla circostanza di essere nato in mezzo a due annate epocali come 2008 e 2010 non se ne duole affatto e ci mette del suo per scuoterti dal torpore. La predisposizione al dialogo, la capacità di dettaglio, la profondità e quell’indugiare nella persistenza, assieme a uno straordinario anelito di purezza e all’eleganza espressiva, lo fanno arrivare fin dove per gli altri è impossibile.

Lui sta più su, e forse c’era bisogno di ribadirlo.

___§___

VALTELLINA SASSELLA RISERVA ROCCE ROSSE 2005 – AR.PE.PE.

Naturale dispensatore di aria pulita. Questo è. Vino buono per ricordare un affetto o per immaginarsene di nuovi.

La trama dei sapori è una filigrana di premure sottili dietro un’apparenza crepuscolare, la cui saldezza resta dissimulata nell’incanto di un colore luminosamente tenue e in un gusto nudo di agrume e pietra.

E’ un sorso sospeso, ecco, profondo e leggero al tempo stesso, dal tatto carezzevole e garbato, la cui energia è pura interiorità.

E’ quando la fisicità si scansa da parte per lasciar spazio ad altri orizzonti, altre visioni, assai distanti dagli obblighi delle leggi gravitazionali.

 

___§___

BARBARESCO 1969 – GAJA

Il mio grande amico Vincenzo ha visto bene di onorare la serata condividendo il Barbaresco 1969 Gaja, una delle ultime annate elaborate dal padre di Angelo Gaja prima dell’avvento del figlio, prima cioé della rivoluzione.

Quel vino, evidentemente, conteneva tutto ciò di cui c’era bisogno, perché ancora oggi, a 50 anni suonati, è struggente, infiltrante e salato: sale e acidità, sale e dinamismo, sale della terra.

È la stessa identica sensazione che suscitò in noi sei anni fa, quando ne stappammo un’altra bottiglia a casa mia, e per l’occasione mio padre cucinò un suo piatto-feticcio, i tordi al coccio.
Fu l’ultima volta che lo fece.

Oggi, 18 ottobre di 5 anni fa, mio padre ci lasciava.
Il mio grande amico Vincenzo, che porta lo stesso nome di mio padre, ignaro di questa circostanza, ha pensato a un vino che straordinariamente ci lega alla sua memoria.

Non ho detto niente, l’ho tenuto per me. Certo non c’erano i tordi stavolta, ma soprattutto non c’era mio padre.
O forse sì.

___§___

FERNANDO PARDINI

2 COMMENTS

  1. Grazie Pardini per tutte queste descrizioni da cui oltre alla sua innegabile competenza traspare anche una grande passione. Debbo aggiungere che il commento al Barolo di Gaja mi ha anche commosso.
    Angelo Cantù

  2. A quanto mi risulta, però, la “grande rivoluzione” di Angelo Gaja era già avvenuta nel 1969: bevuta tre anni fa la Riserva 1958, il librettino che l’accompagnava raccontava della sua uscita nel marzo 1965 e di come Angelo Gaja l’avesse creata con doppio passaggio in barrique. Ciò detto, i vecchi Gaja (’64 e ’74 in particolare, per ciò che ho bevuto io) sono vini fantastici.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here