Un nuovo appello ai ristoranti italici

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Un mio caro amico, gastronomo raffinato, viaggiatore indefesso (e sottolineo inde), “batte” decine di ristoranti – stellati e non – ogni anno, in Italia e all’estero. Ha quindi il cosiddetto polso della situazione delle carte dei vini attuali. A differenza di me, che prediligo le osterie, le trattoriacce di periferia, e talvolta addirittura le pizzerie gestite da cinesi o giapponesi. Anche se, a onor del vero, non mi sono mai spinto fino all’estrema perversione della pizza-sushi.

Ebbene, il mio caro amico ha una critica fra tutte: “rispetto solo a dieci, quindici anni fa, la profondità di annate si è ridotta al lumicino, anche nei tristellati: una volta del – che so – Barbaresco Etichetta Bianca di Giacosa, o del Meursault di Jobard*, trovavi almeno quattro o cinque vendemmie diverse. Oggi una sola, se va bene. A parte la ‘verticale’ di un singolo vino, quello che è peggio è che in media non si trovano più annate mature, ma solo le annate più recenti. A meno che ovviamente uno non vada da Pinchiorri.

Non è la lamentazione di un ricco enosnob; o almeno, non lo è soltanto. Perché anche senza andare in ristoranti di lusso il fenomeno è percettibile: non si trovano in carta vini davvero maturi nemmeno nel winebar sotto casa; nell’enoteca/piadineria/churrascheria alla moda; figuriamoci nel locale tradizionale (“da Checco”, “al Casalone”, “Al girarrosto toscano” et similia).

Pure nelle Americhe il fenomeno è sentito. Se non si è facoltosi, come fare per provare almeno una volta nella vita un Lafite, un Latour, un cru di Guigal, un rarefatto Grand Cru borgognone? Afferma assai opportunamente David Gibbs, Wine Director del Sushi Note di Los Angeles:

I think wine directors putting a few vintage wines on their by-the-glass lists is great. A lot of people never get a chance to try a fully mature wine, as they are usually only offered by the bottle and the cost of entry can be frighteningly high. Offering a few selections of older wines by the glass allows people to taste wines when they are mature, without the commitment and expense of buying a full bottle. I hope to see more of that.”

Il che, tradotto con l’accetta, significa più o meno: “Penso sia una gran cosa che i sommelier inseriscano nelle loro carte un po’ di vini vecchi al bicchiere. Molte persone non hanno mai la possibilità di provare un vino pienamente maturo, poiché di solito possono accedere casomai all’intera bottiglia, il cui costo può essere spaventevolmente elevato. Offrire una piccola selezione di vini più vecchi al bicchiere permette alle persone di assaggiare vini quando sono maturi, senza l’impegno e la spesa di acquistare l’intera bottiglia. Spero di vedere più iniziative di questo genere.”

Quindi una soluzione ci sarebbe, per il ristoratore illuminato. Chiedere magari diverse decine di euro a bicchiere, ma permettere a un appassionato di gustare vini giunti al loro plateau di maturità. Perché un conto è bere un Verdicchio, un Soave, un Barolo, un Brunello appena usciti; un altro è berli con il congruo affinamento di cantina. Il che, come sappiamo, significa attenderli – al netto delle infinite variabili in termini di annata, longevità potenziale, mano del produttore, eccetera – almeno cinque o sei anni. A dire poco, per i rossi.

Quindi, come ho perorato in questo spazio virtuale dell’Acquabuona, mesi fa, la diffusione della possibilità di portarsi il vino da casa al ristorante (LEGGI QUI),  così promuovo oggi il varo del CIPOVAM, Comitato Italiano per la Promozione dell’Offerta di Vini Arrivati a Maturità.

Spero in numerose adesioni convinte.

___§___

* François, oggi Antoine, non Rémi  (che pure è un produttore assai rispettabile)

Nella foto: ritratto di Bruno Giacosa

Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

3 COMMENTS

  1. Da piccolo produttore (ex) posso confermare che i vini i distributori e i ristoratori li vogliono al massimo dell’annata precedente. Penso che regalero’ al Banco Alimentare il mio “vecchio” passito 2013, e alla Caritas le sopravvissute Magnum 2014. Meglio cosi’, andare a pietire non e’ il mio forte

  2. Se mi consentite il tema non è quello di bere un bicchiere maturo – in effetti coravin ha quasi risolto i problemi legati all’ossidazione da mescita – quanto la ridotta enocultura di buona parte dei ristoratori, che anziché smazzarsi alla ricerca di buone bottiglie da custodire in cantina per poi proporre al picco raccontandone la storia, preferisce liquidare l’argomento chiamando il suo fornitore che lo rifornirà delle sole etichette presenti nel suo listino. Abbiamo bisogno di divulgatori sapienti e di ristoratori appassionati. Merce rara, che il più delle volte confligge con le dinamiche del mercato.

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