L’abbuoto di Monti Cecubi: una verticale nella storia per scoprire l’autoctono degli antichi Romani

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Una verticale davvero interessante quella tenuta lo scorso 17 febbraio al Park Hotel di Latina, una degustazione che mi ha aperto gli occhi, ma anche il naso e il palato, su un vitigno autoctono che ho scoperto in questa occasione, ma che esiste da sempre, confinato nello storico Ager Caecubus, dal console Appio Claudio Cieco (caecus) che in quelle terre sostava e beveva (bibendum), il quale portò il vino da quelle terre nell’impero romano.

Devo dire che ho esitato ad approcciare questo racconto, perché la storia di questo vitigno e di queste terre è talmente ampia da incutere rispetto, competenza e spazio. Volendo quindi porre al centro dell’attenzione il prodotto, preferirei la degustazione alla narrazione storica, introducendo solo velocemente il contesto e la materia prima.

Parliamo dell’abbuoto, un vitigno a bacca rossa originario delle campagne sud pontine tra i comuni di Fondi, Itri e Sperlonga, racchiuse fra i Monti Ausoni e Aurunci (appunto Monti Cecubi), ma affacciate sul Tirreno. Il grappolo è medio grande, di forma cilindrico-conica e piuttosto serrato; gli acini sono grandi è presentano una buccia violacea, spessa e pruinosa. Regolarmente censito nel Registro Nazionale delle Varietà di vite dal 1970, già Orazio e Plinio ne elogiavano le qualità, classificandolo quest’ultimo come “antea coecubum, postea falernum“, ponendolo quindi a un livello superiore rispetto al falerno, il vino offerto da Trimalcione nella famosa cena del Satyricon.

Molti testi e documenti certificano dunque questa varietà fin dai tempi remoti, ma fino ad oggi solo la Masseria della famiglia Schettino (proprietaria dagli ani ’90 della tenuta Monti Cecubi) la vinificava, seppure in diversi assemblaggi come uva da taglio. In realtà questo avveniva fino al 2013, anno in cui ci fu una svolta, dettata da un evento cruento di cronaca, svolta che ancora oggi ha un nome e un cognome: Chiara Fabietti. E’ infatti in quell’anno che l’azienda si vede costretta a scegliere un nuovo enologo, optando per questa giovane professionista che veniva da studi condotti anche in Francia ed esperienze in grandi aziende.

È proprio Chiara che, nell’approfondire la conoscenza delle uve locali, sperimentando diverse vinificazioni, giunge al coraggioso intento di vinificare l’abbuoto in purezza. Questo coraggio viene ripagato da prodotti di assoluto spessore, grazie anzitutto all’individuazione del più idoneo terreno di impianto, all’attento utilizzo di lieviti indigeni e al sapiente (leggasi moderato) utilizzo del legno.

Per entrare nel dettaglio e capire meglio l’ottimo lavoro della Fabietti, approfondiamo questi tre aspetti della vinificazione.

La scelta delle vigne della contrada San Raffaele è frutto delle sperimentazioni anche su altri crinali, come quello itrano, che hanno condotto l’enologa a concentrarsi nel territorio fonadano per la sua ricchezza organica e le sue sabbie fertili, che prediligono le stagioni asciutte. I tentativi di replicarne la produzione in aree diverse, seppure limitrofe, ma più argillose, hanno prodotto uve non all’altezza, che infatti verranno usate per un prossimo rosato.

All’utilizzo di lieviti autoctoni si è arrivati osservando la facilità con cui prendeva spunto la fermentazione alcolica, operata in acciaio sotto controllo termico, dopo una premacerazione a freddo delle bucce, molto curata per il loro particolare spessore. Con lieviti indigeni si è trovato il giusto timing per una vinificazione più controllata.

Infine si è scelto di usare botti grandi (da 20 hl) di rovere francese, dove il mosto svolge spontaneamente la malolattica e dove poi affina per circa sei mesi, limitando così l’intervento del legno e bilanciandone eventuali eccessi organolettici in favore di un equilibrio ottimale fra tannini e acidità.

Tutto questo lavoro, tra filari e cantina, ci regala un vino di indubbia qualità, solido e composito, ricco di nerbo acido, mineralità, gusto, profondità e spessore, che nel corso delle quattro annate prodotte è stato in grado di offrire diversi aspetti delle sue peculiarità. A condurre la verticale è stata la delegata AIS Annamaria Iaccarino che con indiscutibile affabilità ha condotto il parterre in un terroir davvero poco conosciuto, rendendolo attrattivo e interessante.

 

Abbuoto 2018

Da un’annata piuttosto piovosa, che ha faticato a far maturare le uve, riscontriamo un vino chiaramente giovane, dal colore porpora scuro e unghia violacea, con profumi piuttosto serrati, ancora trattenuti dalla materia, ma che evidenziano note vegetali di rovo e mirto; nessun accenno fruttato, solo una leggera vena balsamica all’ossigenazione. L’assaggio restituisce invece un morso di frutta croccante, una prugna un po’ acerba dalla consistenza ruvida, terrosa; deglutendo il respiro si fa vagamente tostato, la bocca saliva copiosamente e resta una sapidità piacevole che bilancia la spinta tannica insieme a una vena acida che rinfresca. Decisamente in evoluzione. Muscoloso.

Abbuoto 2017

Questa stagione dall’andamento climatico regolare, si distingue per una gelata primaverile che rischia di compromettere la gemmazione, ma l’abbuoto è tardivo sotto questo aspetto e non ne risente. Il vino appare rubino carico, un bel colore vivo e impenetrabile con appena qualche riflesso violaceo. L’approccio olfattivo è nettamente più aperto, definito, con sentori netti dapprima terziari, radice di cola o liquirizia, poi vagamente floreali e infine con limpide note fruttate di bacca e quindi leggere spezie dolci. Al palato è succoso, sanguigno, il frutto è polposo e il sorso è agile, con nerbo acido e tannini educati, restituendo al naso aromi di pepe verde, liquirizia e tabacco da pipa, insieme a una lunga scia iodata e sapida. Intenso.

Abbuoto 2016

Ancora una stagione regolare, ma con una concentrazione di piogge nel periodo di vendemmia che ha ritardato la raccolta delle uve. Il calice si presenta ancora rubino, fitto, appena scarico nell’unghia. Il naso rivela profumi meno lineari rispetto al 2017, ma per via di una complessità maggiore, che si manifesta subito con un bouquet floreale ben percepibile, accompagnato da note di frutta matura e velature speziate che richiamano ancora il tabacco, il pepe e il cacao. In bocca entra succulento e polposo, ben bilanciato fra la freschezza acida e lo spessore tannico, ancora sapido e lievemente terroso, ma piacevole. Il respiro è balsamico, la persistenza ancora discreta e ricca di spunti varietali, dove spicca la liquirizia, con pepe rosa e caffè, e una chiusura minerale. Gustoso.

Abbuoto 2015

Annata mite, poco piovosa, con fioritura anticipata e un’estate torrida che però non ha mandato in sofferenza le uve. Il vino appare giustamente meno carico, tendente al granato, ma sempre vivido. Al naso si percepisce una strana chiusura, non propria rispetto all’età, ma si individuano prima le note terziarie, che ricordano la cannella, poi si percepisce la frutta, quasi sotto spirito, e infine la nota floreale dal timbro appassito. L’assaggio mi sorprende, il vino si apre al palato con una spalla acida ancora integra, con un gusto pieno dalla consistenza oleosa ma vellutata, dal registro ancora sapido dove la frutta è in confettura e il sorso torna al retronasale con aromi di cuoio, vaniglia e un tocco officinale. Elegante, aggraziato, docile, avvolgente, in una parola: Godibile.

L’azienda agricola Monti Cecubi detiene una tenuta di circa 150 ettari di cui 20 ettari vitati (di cui due dedicati all’abbuoto), 6 ettari coltivati a ulivo, da cui la nota varietà itrana, e poi svariati ettari di sughereta, per un’esperienza anche turistica di piacevole gradimento. La produzione di vino si attiene ai dettami biologici già dal 2016, ma l’ufficialità della denominazione BIO si avrà solo con l’uscita della vendemmia 2019. Le etichette prodotte sono ben otto, fra cui quattro rossi, tre bianchi e un passito. L’azienda si è riunita con altre sei piccole realtà pontine produttrici di vitigni autoctoni nella collettiva “Piccoli Vignaioli Pontini” che verrà presentata al prossimo Vinitaly.

Riferimenti:

Az. Agr. MONTI CECUBI – Strada Provinciale Itri – Sperlonga, km 4,800 – 04020 – Itri (LT)

Tel: 0771.729177 – 328.5550198

mail: monticecubi@gmail.com

web: www.monticecubi.it

Riccardo Brandi

Riccardo Brandi (brandi@acquabuona.it), romano, laureato in Scienze della Comunicazione, affronta con rigore un lavoro votato ai calcoli ed alla tecnologia avanzata nel mondo della comunicazione. Valvola di sfogo a tanta austerità sono le emozioni che trae dalla passione per il vino di qualità e da ogni aspetto del mondo enogastronomico. Ha frequentato corsi di degustazione (AIS), di abbinamento (vino/cibo), di approfondimento (sigari e distillati) e gastronomia (Gambero Rosso). Enoturista e gourmet a tutto campo, oggi ha un credo profondo: degustare, scrivere e condividere esperienze sensoriali.

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