Il gioco del Porer

0
9708

Di questi tempi ammollati in quarantena ricevere a casa un libro o un pacco assume valori che vanno ben oltre la gioia della sorpresa. Così, essere stato coinvolto dall’azienda altoatesina Alois Lageder in un divertente esperimento enologico a distanza mi ha non solo onorato della loro attenzione ma anche scaldato, e non poco, il cuore. Questa, non c’è che dire, è una piccola fortuna di chi fa questo mestiere.

Forte di una lunga storia enologica, Alois Lageder è una delle realtà viticole più interessanti da raccontare – e da bere – del panorama nazionale. Da qualche anno l’azienda ha investito molto sulla sostenibilità diventando un punto di riferimento per la viticoltura biodinamica. Tale visione si concretizza oggi in progetti di assoluta avanguardia che vedono affiancarsi alla produzione di vino da circa 50 ettari sparsi in diverse zone dell’Alto Adige, l’allevamento e l’orticoltura, per una sorta di ciclo chiuso aziendale così importante per i principi di biodiversità sui quali si fondano le discipline agronomiche messe in pratica con dovizia e attenzione.

L’elegante confezione arrivata a domicilio ha a che fare con una delle tante attività agricole aziendali: l’osservazione del cambiamento climatico e le azioni praticabili in viticoltura per mantenere armonia e finezza nei vini imbottigliati. Già un paio di anni fa partecipai a una bella degustazione organizzata da Lageder a Firenze, nell’ottica di un confronto con i vini al tempo del cambiamento climatico. In quell’occasione, il giovane proprietario Clemens Lageder declinò la “lotta” all’eccesso di calore attraverso il concetto di terroir:

1.      Azione sulla vigna. Degustazione di vini ottenuti da vigne da diversa altitudine.

2.      Azioni di cantina. Degustazione di vini ottenuti secondo diverse metodologie.

3.      Azione sui vitigni. Degustazione di varietà autoctone e valutazione in termine di finezza espressiva

Di questa giornata ne parlai su www.slowine.it e potete leggere il resoconto QUI . Il mio regalo è un kit di degustazione composto da tre piccole boccette da 120 ml contenenti tre differenti vinificazioni di Porer 2019, il pinot grigio coltivato sulle colline di Magrè, sede dei vigneti più vecchi a disposizione della cantina. Insieme alle boccette c’è una bottiglia, evviva, di Alto Adige Porer 2018 che servirà per un confronto, come vi dirò tra poco. Lo scopo del gioco è quello di trovare un assemblaggio che esalti i caratteri gustativi di acidità e sapidità, le direttrici della finezza di ogni vino.

Prima di entrare nel vivo del gioco voglio però spendere due battute sulla bellezza formale del contenuto, che mi ricorda l’eleganza di certe composizioni giapponesi; un peccato disfare tale precisione armonica per dare inizio a questo divertente gioco. Il mio compito è assaggiare 60 cl di ogni vino, segnare le impressioni e provare una sorta di taglio paragonandolo al vino in bottiglia. Così procedo, facendo attenzione alle quantità da lasciare nelle boccette.

Fase 1

Assaggio delle tre componenti

Componente numero 1

Pressato direttamente. L’attacco è salino e viscoso, molto piacevole. Gli aromi sono delicati e fragranti con note evidenti e definite di frutta bianca. Manca di incisività e il sorso si disperde troppo presto.

Componente numero 2

Breve contatto con le bucce. Ingresso deciso e scomposto. La dimensione tattile sottolinea una certa dolcezza che ricorda il marzapane. Calore alcolico in eredità e lieve cenno volatile.

Componente numero 3

Vinificazione a grappolo intero (più di 6 mesi sulle bucce). Il timbro gustativo è energico e slanciato di freschezza acida e sapidità in misura abbondante, che rimandano sensazioni balsamiche di frutta gialla. Il tannino dona una tattilità decisa e rustica che non guasta.

Fase 2

Taglio delle componenti e assaggio di Alto Adige Porer 2018

Mentre penso ai possibili tagli , l’occhio mi cade sulla cartolina che accompagna la scatola: una foto di un paio di buoi altoatesini con stampato un autografo di Clemens Lageder  che incita alla creatività. Be creative ! dunque. Farò del mio meglio e non dimentico l’obiettivo finale: quello di esaltare acidità e sapore. Dagli assaggi dei componenti mi pare che l’acidità debba essere più evocata attraverso la sfera tattile piuttosto che evidenziata da uno dei tre campioni. In effetti il terzo è quello che ne esprime di più ma ciò potrebbe portare a un disequilibrio generale; il mio timore, a questo punto, è celare la grazia espressiva davvero notevole del primo assaggio. Il secondo campioncino è quello che mi ha convinto meno e comincio a pensare di privarmene. Decido quindi di provare due tipi di blend. Il primo con 50 % del primo campione e 50 % del terzo. Il secondo con 45 % del primo campione, 45 % del terzo e 10% del secondo, al quale evidentemente non voglio dare fiducia.

Scommetto sulla perfetta riuscita del taglio perfettamente a metà tra il primo e il terzo: invece l’assaggio si rivela un disastro totale. Ci rimango male. Il vino è troppo aggressivo e privo di grazia, esalta la rusticità ma opprime il sorso; le caratteristiche del primo vino sono scomparse. Assaggio il secondo miscuglio nel quale avevo dosato una parte del breve macerato. Meglio, devo dire, per una certa armonia fra le parti. Sapidità e tattilità ci sono al giusto punto ma ‘sta benedetta grazia ancora latita. Sono sorpreso della mia inettitudine enologica. Una specie di contrappasso per chi, come il sottoscritto, sferza non poco la categoria dei “dottori del vino”.

Fase 3

Assaggio dell’Alto Adige Porer 2018 e di nuovo a testa bassa a cercare la quadra

Mi rimbocco le maniche e stappo la bottiglia dell’Alto Adige Porer 2018. Il vino mostra un equilibrio enologico magistrale; ha proporzione nella dimensione tattile, con la lunghezza affidata alla consistenza viscosa del sorso che si distende più per il volume della struttura che per freschezza acida. Il corredo aromatico è affidato a deliziose note primarie di frutta fresca. Un filo di alcol in esubero non incide sulla riuscita del vino.

L’assaggio della bottiglia in confronto ai diversi componenti o ai miei goffi esperimenti enologici stimola molte riflessioni. Io sto cercando di fare con il mio kit un vino che piaccia a me e basta. In poche parole il vino che intendo creare deve rispecchiare le mie inclinazioni e la mia interpretazione di freschezza e sapidità. Per questo motivo il vino in bottiglia non può avere quelle caratteristiche irregolari, dal punto di vista formale, che ho apprezzato nel terzo campione. Le lunghe macerazioni sono focalizzate alla ricerca di sapidità e freschezza in chiave di armonia complessiva e al servizio di un quadro stilistico comprensivo che le intenzioni aziendali, almeno per questa tipologia, prevedono nel canone della potenziale ortodossia stilistica.

Giro la pagina del piccolo manuale di istruzioni allegato al kit. Vedo che le proporzioni del primo componente sono maggioritarie: 65% con il 20% del secondo e “solo” il 15% dell’ultimo. Faccio un ultimo tentativo: in un terzo bicchiere metto 80% del primo vino, 10% del secondo e 10% del terzo. Rivedo in pratica le mie proporzioni iniziali. Ottengo un vino davvero nelle mie corde, meno centrato senza dubbio di quello in bottiglia ma, mi permetto di dirlo, più vibrante negli spigoli gustativi, vale a dire in termini di tannini e sapidità.

Tirare le somme

Sono grato a Lageder per il gioco del Porer. Io poi con il vino non riesco a giocare e la leggerezza iniziale si è trasformata in una riflessione molto personale sul gusto e sul modo di interpretare le proprie sensazioni. Ho scoperto di avere un gusto “egoista”, che negli anni trae godimento muovendosi in bilico sul sottile crinale che esiste tra il rustico e l’eccellenza, perché crede che il vino sublime risieda in quello stretto margine. Ho avuto ulteriore conferma, poi, che fare l’enologo è un mestiere difficile perché si ha che fare non solo con se stessi ma con un mercato, e il contrasto tra i propri gusti e quelli degli altri deve acuire le capacità intellettuali e tecniche. Ho scoperto poi che i vini definitivi sono la risultante di un sacco di variabili, enologiche e umane.

Insomma, non male per un semplice gioco!

 

Fabio Pracchia

Vive sulle colline lucchesi. È uno dei principali collaboratori di Slow Wine, la guida annuale del vino pubblicata da Slow Food Editore. Si occupa da circa quindici anni di vino e cultura cercando di intrecciare il lavoro alcolico con quello narrativo.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here