NOT, la rassegna dei vini franchi. Terzo e ultimo giorno

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Un raggio di sole filtra dai vecchi interstizi delle imposte e mi sveglia. Collego i pochi neuroni attivi e metto lentamente a fuoco guardandomi intorno. Non ho memoria di come ci sia arrivato ma è la mia camera. Vago in cerca di una presenza femminile, qualcosa lasciato sul pavimento o la doccia che va. Niente. Rivolgo il mio sguardo verso il comodino cercando un biglietto d’addio con un’impronta di rossetto. Niente. Accetto la dura realtà e mi alzo con fatica.

La bocca impastata mi ricorda che deve essere stata una serata impegnativa. Ho bisogno di una doccia e di un caffè. Incerto, apro la porta della stanza e mi avvio per la colazione. La signorina che si occupa del mio ristoro mi serve con un senso di disgusto. Non devo avere un bell’aspetto, mi vien da pensare. Raccolgo la borsa con gli appunti e scendo in strada. L’aria fresca del mattino mi prende a schiaffi. La città è in moto già da un pò e io mi faccio trasportare dal flusso della vita degli altri. Non ho le forze per fare il primo della classe, entrerò in ritardo con la giustificazione dei genitori.

Opto per fare due passi, cercando alla meglio di mettere alla prova il mio senso di orientamento. Rimetto la cartina in tasca e indirizzo la bussola interiore verso la Vucciria, da li alla cattedrale per poi prendere la via dei Cantieri della Zisa. Sorprendentemente mi ritrovo proprio nel cuore del mercato. Il mercimonio è avaro di contrattazioni stamattina. Passeggio cogliendo nei gesti di tutti i giorni passione e buonumore. Chissà, oggi gli affari andranno meglio.

Continuo a camminare e le strade mi conducono nei luoghi che avevo precedentemente pensato. Gioisco nel riconoscere il buon senso del mio “viandare”. Mi sento sereno e libero in questa città che vivo per la prima volta. E’ come se le antiche strade del centro avessero fatto parte di me in un trapassato remoto. Svolto qualche angolo e mi ritrovo sotto le guglie della Cattedrale che fanno da ornamento al cielo blu profondo. Il cielo in Sicilia è come una carezza che protegge tutto e tutti. Da turista mi avventuro sui tetti della Cattedrale. Quello che da quassù si respira è la speranza. Una speranza che si autoalimenta e che fa andare avanti  le cose. Si respira una forza enorme che non si è ancora espressa, da quassù si percepisce che le cose stanno già cambiando. Scendo e sprofondo di nuovo nella realtà dell’esistenza. La realtà della vita che vibra e ti tiene all’erta. Per l’ultima volta mi avvio verso i Cantieri della Zisa. Oggi sarà diverso, oggi non cercherò compiti da fare o appunti da prendere. Oggi vale tutto.

Alcuni racconti di vino e umanità.

Vincenzo Rappa cantine Virà. Visto che il banco d’assaggio è animato, decido di mettermi in un angolino per assaggiare senza chiedere informazioni.  Sciuscià ‘18: vino levigato, elegante, animico. Un secondo assaggio mi regala armonia e freschezza. Catarratto  ’18 : grazie alla lieve sapidità la beva è snella e lesta, le note di melata di bosco e sottili speziature colmano gli spazi gustativi.  Catarratto macerato ‘17: frivoli tannini ti sciolgono in bocca aromi di arance, pompelmo rosa, mentuccia, carruba. Una beva che ti riempie il palato ma sempre con garbo. Vincenzo è un giovane sognatore, la sua una famiglia contadina da generazioni. Una persona silenziosa, attenta e mite. Ha un territorio da difendere, incastonato nel parco delle Madonie, un anfiteatro naturale dove vento sole e mare concentrano le loro energie sugli acini. Il regime di conduzione è in naturale e biologico certificato e la propensione di Vincenzo è sull’uso dei sovesci e pochissimi interventi di cantina. Mi rinfresco l’animo sapendo che questo è il futuro.

Luigi Saltieri di Vini Longarico. “Giggi per gli amici, con due g ”. Ci tiene a puntualizzare. Giggi mi racconta dell’amore per una donna emiliana che è diventata sua moglie. Mi racconta che per questo amore si è trasferito sulle colline dell’appennino bolognese. E poi mi parla dell’attaccamento alla sua terra, delle sue vigne che riesce a seguire grazie al cugino Sergio, con cui ha intrapreso quest’avventura. “ Mi occupo della vendita, degli eventi, fiere e dell’amministrazione ma mi trasferisco ad Alcamo per aiutare Sergio durante le potature, la vendemmia ed i lavori importanti. Anche se abito al nord per una buona parte dell’anno sono giù”.

Una persona umile e sincera Giggi, cauto in un primo momento, ma capace, appena ti conosce un po, di solare generosità d’animo.  Una natura garbata e verace la sua. Non ci sono veli che coprono questo ragazzo del sud. Spontaneità e calore ne distinguono i gesti. La stessa cosa trovo nel suo  Catartico, vino da uve Catarratto in versione “ Orange “ affinato in tonneaux di castagno. Un vino amalgamato alla terra, ogni rimando sensoriale ti parla di boschi e dell’aria costiera. Le leggere ossidazioni ne creano un compendio che ti riporta nei campi alla matrice del tutto.

Marilena Barbera. Cantine Barbera. Marilena mi racconta della terra di Menfi dove si faceva vino già 2.500 anni fa. Mi fa viaggiare sensorialmente in una microzona anch’essa unica. “ La composizione dei terreni è piena di sfumature, altopiani con suoli marini, marne calcaree, argillose alluvionali. “ Mi racconta. “ Non solo i terreni sono molto vicini al mare, ma le uve vengono accarezzate da brezze salmastre tutto l’anno.” Gli brillano gli occhi, ed io è come se ci vedessi riflessi quei posti. Non parliamo di vino ma parliamo di territorio. “ E’ la mia terra, non vivrei in nessun’altro posto. Per me territorio vuol dire rispetto, ecco perché mi impegno per un regime di coltivazione naturale. La posizione è fortunata, la brezza marina mantiene le uve sane. Perché invadere quello che la natura mantiene in equilibrio da sola? “ Da uve zibibbo, catarratto e grillo i vini che mi più hanno toccato; vi trovo un’elettricità comune, una dimensione gustativa snella con un’ottima spalla acida. Vini proprio da bere.

Aldo Viola.  I suoi lineamenti mi parlano di un’etnia saudita. Le sue risposte sono sempre piene di pause come a cercare le parole giuste che ti possano far sentire nella pelle il senso di quello che sta facendo. “ Il vino porta con sè delle memorie che vanno più avanti del semplice piacere e quello che cerco è di farle venire fuori. Il vino deve emozionare, il mio compito è quello di potere arrivare a questo. Il vino è un’atto filosofico che si tramuta in un alimento. Non mi metto a tavolino a cercare di interpretare la vendemmia. Vado a istinto e a sensazioni. Questo è il mio modo, cerco di usare il cuore e metterlo nei miei vini, a volte ci riesco”. Misurato Aldo, come se sapesse prima cosa succederà. E’ un viaggiatore, sempre sospeso nella ricerca di un sentire profondo, un approccio leggero e allo stesso tempo saldo alla vita. Ridiamo assieme per le sue visionarie concezioni enoiche che hanno sempre un grande insegnamento, ascoltare. Ascoltare la natura per ascoltare la gente. Dei suoi vini mi rimane impressa una Syrah. Elegante e raffinata, femminile e di sostanza. Ruvida quanto basta ma gentile nell’avvolgerti.

Alessandro Viola. Non è omonimia. Alessandro è il fratello di Aldo. Anche lui è enologo. Avevo già assaggiato i suoi vini ma non ero ancora riuscito a parlargli, il seguito di appassionati non rompeva fila davanti il suo banco d’assaggio. Lo trovo fuori postazione a confrontarsi con Mario Gatta, grande vigneron di Franciacorta, uno che fa uscire le sue bollicine non prima di 6/7 anni e che lascia i suoi vini sui lieviti dai 40 a 120 mesi prima della sboccatura. Comunque, con la scusa di salutare Mario mi fermo ad ascoltare. Colgo, nelle parole di Alessandro, un vivo desiderio di confrontarsi per imparare. La sua esperienza è di tutto rispetto sia in Italia che all’estero, fin alle collaborazioni con Donato Lanati. Osservo la sua tensione, la sua concentrazione nell’ascoltare, la voglia di apprendere.

E’ un “picciotto”, la  sua Sicilia è benevola con lui e lo assiste nell’entrare in empatia con le cose. Ovviamente come metro di discussione con Mario aveva con sè il suo Catarratto metodo classico, una delle tante sorprese di questo evento. La base su cui verte sono le note sapide e iodate che ampliano e snelliscono tutte le altre tonalità. Una tostatura elegante di noci e nocciole impreziosita da uno spettro di spezie dolci; non cerco di identificarne la composizione in quanto rapito da questa interazione di visioni enologiche fra sud e nord.

Ismael Gonzalo di Microbio. Proviene dalla regione di Segovia, Spagna, ospite di Distribuzione Gitana, importatrice dei suoi vini. Fra un po’ di spagnolo e un pò di inglese Ismael mi racconta che fare vino è un atto politico/rivoluzionario, un’auto affermazione di resistenza morale. “ Vedessi il paradiso dove abito e dove ci sono le vigne. Terreni con composizione talmente varia e unica che solo un gesto di educazione civile, un senso di dovere verso la terra ti fa sentire che quello che stai facendo ha un significato. Io imparo dalla terra ogni giorno. Credo che il sapere antico sia la fonte per fare vini che sono la terra su cui nascono. La natura ci lascia in eredità tutto quello che vediamo intorno a noi, è un insegnamento meraviglioso. Io voglio fare vini che mi facciano sentire la vita e che raccontino la terra.” I suoi “liquidi” ti scuotono dentro, vini che ardono di passione e di grazia. Una finezza che non deriva da esperimenti fatti a tavolino, bensì dalla conoscenza del territorio o, per dirla con le parole di Isamel: “ da quello che la natura mi insegna ogni giorno e da cui io tento di imparare”.

Stefano Pescarmona di Podere Magia. Un emiliano con terreni sulle colline di Reggio Emilia. Ragazzotto un pò bohemien, amante del vino e delle donne allo stesso modo. Grande caparbietà nel divulgare il messaggio di una sana terra. Nei suoi vini ci ritrovi l’insolenza e la voglia di vivere. Vini precisi, puliti, concreti, gioviali e con l’uva in primo piano. Ah, dimenticavo: vignaiolo, agronomo, agro-ecologo, docente di Orticoltura Ecologica presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Così, giusto per puntualizzare.

Chiara Vigo di Fattorie Romeo del Castello porta sotto pelle le memorie dell’Etna. Lei è nata lì, proprio dove la colata del 1981 ha cambiato il corso e ha salvato la vigna centenaria distruggendo il resto delle colture. Una donna che porta dentro di sé l’imponderabilità degli eventi. Mi racconta la bellezza e le peculiarità di un territorio eletto. Nelle sue storie vi leggo di una donna abituata ad amare giorno per giorno senza risparmiarsi, perché il futuro non sta scritto.

La lezione che la vita gli ha dato è quella che la natura è più forte di tutto, ma ti vuole bene e tu devi fare altrettanto. Per Chiara non è possibile concepire la terra senza il rispetto che merita, e così tutti i suoi sforzi sono rivolti alla salubrità dei suoli in tutte le forme possibili. I vini si stagliano per originalità, eleganza, mineralità. Il mio preferito è il rosato Vigorosa, da uve nerello mascalese e cappuccio. Volete sapere perché? Perché terminata una bottiglia ne stapperesti un’altra.

La campanella suona, i lavori di NOT 2020 si chiudono qua. E’ arrivata l’ora di prendere la via di casa; anche le cose belle prima o poi finiscono, ma non ancora: prima di andare un ultimo appuntamento, la merenda di saluto. Oramai la carovana dei  produttori, degli organizzatori e degli ultimi indefessi reporter (i più tristi di tutti), si muove compatta. In effetti noi della stampa, che viviamo a volte tutta la manifestazione, siamo i più malinconici. Spesso i produttori, che se ne accorgono, indicono la campagna “adotta un giornalista enogastronomico”. E questo aiuta.

Saluto e ringrazio i fondatori di NOT, Giovanni, Manuela e Franco che vedo stanchi ma contenti. La sostanza dell’evento è andata decisamente oltre le aspettative. Sono riusciti a collegare più coscienze in una comunione di intenti. Donne e uomini uniti verso un obiettivo comune, il rispetto della natura e della terra in cui vivono. Ho respirato in mezzo a loro un fortissimo senso civico e morale. In Sicilia niente è facile, qualsiasi realtà che vada in una direzione innovativa deve fare i conti con il passato e non è uno scherzo. Ma l’evoluzione è più forte di tutti e tutto.

Martedì ore 7:00, aeroporto Falcone e Borsellino di Palermo. Manca un’ora alla partenza. Felicità e nostalgia coabitano in me, mentre ripenso a tutti questi giorni trascorsi a Palermo. Nelle orecchie mi risuonano i canti dei mercati storici e le loro melodie, poi gli odori che mi narrano di notti d’Oriente e Africa. Conservo negli occhi questo meraviglioso coacervo di razze che alberga in un unico individuo, il siciliano, e nel mio cuore una esperienza nuova da raccontare e raccontarmi. Ringrazio questa terra che ha saputo farmi vibrare, che mi ha aiutato a fare ordine dentro di me aprendo le finestre dell’anima e facendoci entrare aria fresca. Ringrazio le vignaiole e i vignaioli che ho conosciuto e che mi hanno trasmesso una forza incredibile, insegnandomi che si può perseguire una via retta, che la fatica è premio di se stessa. Ringrazio i nuovi sorrisi che ho ricevuto, ringrazio le storie che mi hanno raccontato, le loro storie. Ringrazio le strade impregnate di vita che mi hanno raccontato dei drammi e delle gioie di una intera terra .

E infine ringrazio Concetta, nata e cresciuta a Palermo, una signora che ogni tanto incontravo in giro e che la curiosità ha fatto sì che ci parlassimo. La ringrazio per avermi insegnato che questa terra è figlia del vento, e che il vento non lo puoi rinchiudere. Che ogni libera scelta implica un prezzo ma avrà la sua ricompensa.

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Marco Bonanni

Sono cresciuto con i Clash, Bach e Coltrane, quello che so del vino lo devo a loro.

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