Diario di una quarantena: 1 – 14 aprile

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Fuori uno scenario da film distopico: strade deserte come in 28 giorni dopo; persone mascherate come in Chernobyl; file di gente davanti ai supermercati, alle farmacie, alle poste come ai tempi della guerra; uno strano silenzio che aleggia nell’aria, l’aria che diventa quasi un fardello, il respiro che si fa pesante sotto la mascherina; la paura del contatto, il terrore del contagio: l’amico, il vicino, il passante che potrebbero essere portatori di un virus come nell’Invasione degli ultracorpi.

Dentro, il perimetro domiciliare, una specie di bolla sospesa dalla realtà interrotta solo dalle sirene delle ambulanze; un’isola solitaria con uno spaziotempo differente dentro cui misurare la propria esistenza di reclusi; un contenitore di letture, visioni, assaggi, ricordi, pensieri.

Mercoledì 1 aprile

Rileggo i Pensieri di Pascal.

«Tutto questo mondo visibile non è che un segmento impercettibile nell’ampio grembo della natura. Nessuna idea vi si avvicina. Possiamo pur espandere le nostre concezioni al di là degli spazi immaginabili, produciamo soltanto atomi a paragone con la realtà delle cose, sfera infinita il cui centro è in ogni dove e la circonferenza in nessun luogo».

«Perché infine, cos’è l’uomo nella natura? Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, un medio tra il nulla e tutto. Infinitamente lontano dalla comprensione degli estremi, il termine delle cose e il loro principio restano per lui invincibilmente celati in un segreto impenetrabile; ugualmente incapace d’intravedere il nulla donde è tratto e l’infinito dov’è inghiottito».

«L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per stritolarlo: un vapore, una goccia d’acqua basta per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo stritolasse, l’uomo sarebbe anche allora più nobile di ciò che l’uccide, poiché egli sa di morire e la superiorità che l’universo ha su di lui. L’universo non ne sa nulla».

«Le silence éternel de ces espaces infinis m’effraie». Ho sempre sentito nel suono di “m’effraie” qualcosa che va oltre il terrore, qualcosa che si rompe, che si disgrega, che va in frantumi. Che è poi ciò che la paura provoca dentro di noi. Carlo Carena, nell’edizione Pléiade Einaudi da lui mirabilmente curata e annotata, la traduce con “atterrisce”: «Il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi atterrisce».

Ci sono diversi riverberi di tutto questo in Leopardi, e non solo nell’Infinito.

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Giovedì 2 aprile

«600 euro attendere prego. Bonus per le partite Iva. Crolla subito il sito dell’Inps. Tridico cerca una difesa: “Colpa degli hacker”. Tutti a casa almeno fino a Pasquetta. Conte: no all’ora di passeggio con i bambini» (la Repubblica).

«Bonus, Caporetto Inps. Il governo: fondi sufficienti. Presentate 300 domande al secondo. Il Presidente dell’Inps: attacco hacker. L’esecutivo: corse inutili, disponibili oltre 10 miliari a tutela di lavoro e famiglie» (Il Sole 24 Ore).

«Conte: convivenza col virus nella “fase 2”. Ripartenza a macchia di leopardo dopo Pasqua per le attività a minor rischio. Gualtieri: 500 miliardi di garanzie alle imprese. Intervista al vicesegretario Pd Orlando: “La Sanità deve tornare nelle mani dello Stato, sarò la prima riforma dopo la crisi”» (La Stampa).

Il torneo di Wimbledon viene cancellato. Era accaduto solo durante le guerre mondiali.

Apro il Lambrusco di Sorbara di Vincenzo Venturelli, per tutti semplicemente “il prof”. È una bottiglia nuda, senza etichetta, fuori commercio, che il prof produce ormai da decenni. È un apologo del Sorbara, il Lambrusco più raro e rarefatto che madre natura abbia concepito, l’antitesi del Lambrusco comunemente inteso: colore rosato brillante, non rosso-porpora; profumi minerali, non fruttati; palato dal tannino gentile, quasi impalpabile, non ingente e fitto. Questo 2016 ha sentori di fragoline di bosco, note balsamiche, un’effervescenza sottile, celestiale, e una coda clamorosa di sapore.

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Venerdì 3 aprile

Non si distinguono più i giorni l’uno dall’altro. Sembra sempre domenica, quando all’ora di pranzo il rumore delle auto si fa piccolo piccolo, lontano, quasi un ronzio, la gente mangia a casa, c’è un’aria sonnolenta in giro per i condomini. Mancano però i rumori dei bambini che giocano. Il silenzio è astratto, compresso, ovattato, quasi artificiale.

A tarda ora finisco di vedere la terza stagione del Trono di spade, che si chiude in modo drammatico, cruento, elisabettiano. Tre omicidi terribili che lasciano sgomenti. Non aggiungerò altro per non rovinare la sorpresa a chi non avesse ancora visto questo serial e intendesse farlo. Era dal 2010, dal finale della quarta stagione di Dexter, che non provavo un simile orrore, una simile emozione, davanti allo schermo del televisore. Scene che si installano nella memoria per giorni.

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Sabato 4 aprile

Esco per comprare i giornali, scatto una foto in bianco e nero alle rotaie della ferrovia. Spesso ripenso all’Uomo che guardava passare i treni di Simenon, uno dei capolavori di uno dei più grandi scrittori del Novecento, specie nella sua produzione extra Maigret. Ho sempre amato i treni: la loro corsa, il loro sferragliare, che ogni tanto sento da casa. Le linee orizzontali, parallele dei binari. Talvolta s’incrociano, ogni tanto confliggono causando tragedie.

«Uscire solo con la mascherina, esperti divisi. Riapertura non prima di metà maggio, il governo ora ci pensa. Anche Milano ha fame. Viaggio con i volontari che portano cibo ai nuovi poveri della città più ricca. Morti altri nove medici. Il racconto di una rianimatrice in prima linea: “Non siamo eroi, ma neppure kamikaze”» (la Repubblica).

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Domenica 5 aprile

«Il governatore vieta la corsa lontano da casa, sì alla vendita di fiori (a domicilio) e quaderni. Calano i decessi e i malati in terapia intensiva in tutto il Paese. Lombardia, obbligo di mascherina. Nuova ordinanza di Fontana. Borrelli: io non la uso» (Corriere della Sera).

Apro il Riesling Jesuitengarten 2013 Dr. Von Basserman-Jordan. È uno dei Grosse Lage del “giardino dei grand cru” di Forst insieme al Kirchenstück e al Freundstück. Non è piccolo come il Kirchenstück, né esteso come l’Ungeheuer. Ha terreno argilloso, con inserti di arenaria e detriti basaltici. Ricordo di averlo visto, percorso, fotografato esattamente dieci anni fa.

Guardo Fuori orario di Martin Scorsese. Il più bello tra i film meno conosciuti di Scorsese. Notturno, bizzarro, vagamente sinistro. In Italia è forse più nota l’omonima trasmissione televisiva di Rai 3, un «contenitore anarchico di immagini» che ha messo in onda alcuni dei più rari, strani e affascinanti film d’essai della cinematografia mondiale. Diversi suoi contenuti sono ora disponibili gratuitamente sulla piattaforma Raiplay.

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Lunedì 6 aprile

«Sentirsi vivere» (Pirandello, Il fu Mattia Pascal). Nel suo Alfabeto Pirandelliano, Leonardo Sciascia suggerisce che il cognome Pascal arrivi intenzionalmente da quello del «sublime misantropo» Blaise, mentre Mattia – nel senso di «follia blanda, ghiribizzante», ovvero, aggiungo io, “mattezza”: «condizione dell’essere matto, follia, pazzia; stoltezza, sciocchezza, stravaganza» (Treccani) – ne sarebbe stato il controcanto umoristico.

I capelli che crescono, disordinati, senza forbici disponibili che li possano accorciare, disciplinare. È vero, non ne ho più tanti in testa, soprattutto al centro, ma quelli sui lati che sono rimasti si gonfiano con effetti un po’ grotteschi, e quelli dietro spingono fino a formare un improprio codino.

In questi giorni si sono susseguite una serie di belle giornate, terse, soleggiate.

«Morti al minimo. Calo dei ricoverati: non era mai accaduto. Anche in Toscana mascherine obbligatorie ma gratis. Pio Albergo Trivulzio di Milano, il sottosegretario alla Salute: pronti all’ispezione. L’infermiera: lì dentro un incubo. La prima cosa bella. L’Istituto superiore di sanità: “È iniziata la discesa, pensare alla fase 2”» (la Repubblica).

Viene ricoverato il premier inglese Boris Johnson.

A cena mi fa compagnia il Torrette Superieur 2015 Di Barrò con tutto il suo consueto fascino di rosso montano dal carattere speziato e sanguigno.

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Martedì 7 aprile

«La battaglia delle mascherine. Polemiche e ritardi. Prezzi alle stelle, sequestri online. Vertice in Procura sulle Rsa. Gli ispettori al Trivulzio» (Corriere della Sera Milano).

«Frenano ancora i positivi, ma Conte: “Impossibile stabilire la data della fase due”. Alle imprese 400 miliardi. Scuola, rischio di lezioni online anche a settembre. Poveri morti nascosti. Si allarga la vergogna del Trivulzio. Sala: una ferita per Milano. Indagine del governo. Boris Johnson in terapia intensiva. È grave, paura a Londra» (la Repubblica).

Il Gelsaia 2013 di Giorgio Cecchetto, talvolta erroneamente dipinto come un Amarone del Piave per il ricorso all’appassimento delle uve, è invece un Raboso puro e trasfigurato, territoriale e stilistico: nel suo frutto c’è la quintessenza dell’amarena come tutto il lato selvatico del suo carattere, con quella ferocia acido-tannica che solo lui ha e che si riesce a temperare solo così, ricorrendo all’appassimento, senza tuttavia normalizzarla.

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Mercoledì 8 aprile

Ho finito di vedere la quinta stagione del Trono di spade (ormai è una dipendenza). Non posso più tacere. Sì, non posso più tacere di fronte alla morte di Shireen, la figlia dal volto deturpato di Stannis Baratheon. Il re, suo padre, decide, dietro consiglio di Melisandre, la Donna Rossa, di sacrificarla sull’altare della profezia e della vittoria. Viene arsa viva mentre implora pietà e aiuto: il padre rimane impassibile a guardare, la madre si ravvede troppo tardi dell’atrocità che stanno compiendo. È una scena gelida, rarefatta, terribile.

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Giovedì 9 aprile

«Il calendario della Fase 2 dal 15 aprile. Record di guariti, più di 2000 in un giorno. Arriva la app per tracciare gli spostamenti. Ripresa diversa in ogni regione. Gli industriali del Nord: riaprire in fretta. Conte: più flessibilità o faremo senza la Ue» (Corriere della Sera).

«Negli Usa duemila morti in un giorno per coronavirus. Bernie Sanders lascia e lancia la volata di Biden contro Trump. Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia vogliono tornare in fabbrica dopo Pasqua. John Elkann: ripartiamo ma con giudizio. La febbre del Nord. Conte frena. Vertice con i sindacati. Europa, Italia verso il sì al Mes» (la Repubblica).

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Venerdì 10 aprile

Un mese fa veniva giocata l’ultima partita di calcio di una squadra italiana: era Valencia-Atalanta. L’andata a San Siro del 19 febbraio sarebbe stata, nelle ipotesi di alcuni inquirenti, il focolaio del virus reo di aver scatenato il contagio lombardo.

«Il premier agli industriali sulla ripresa: la priorità è la salute. Tornano ad aumentare le vittime. Lombardia oltre quota 10 mila. Italia chiusa fino al 3 maggio. Conte: possibile allentare alcune misure. Lamorgese: più controlli per la Pasqua» (Corriere della Sera).

«Caso Trivulzio. Quei colpevoli ritardi. Caos e contraddizioni: “Non solo le mascherine non c’erano, ma rimproveri a chi le portava da casa”. Medici contro Gallera: “Il guaio? Depotenziare la sanità pubblica e la medicina generale. Cambiare subito”. Covid, quota 10 mila morti in Lombardia. “Milano sorvegliata speciale”» (la Repubblica Milano).

Nel Rosso d’Asia 2016 di Andrea Picchioni ritrovo quella sensazione di polpa d’uva e di mora selvatica che si sente nel Barbacarlo. La croatina di questo vino nasce nelle aride terre bianche della Val Solinga, nell’aspro terroir di Canneto Pavese. Siamo in Oltrepò, se non si fosse capito, lungo colline fortemente inerpicate. C’è un irresistibile succo in questo 2016, dolcissimo di frutto, con un tannino naturale di grande fittezza e grana. Dedicato alla figlia Asia: in etichetta c’è un suo disegno, fatto quando era ancora una bambina.

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Sabato 11 aprile

«Il tragico primato dei morti. Così si è superata quota 10 mila. Densità abitativa, relazioni commerciali e industriali, gli errori: ecco perché la Lombardia ha da sola il 10 per cento delle vittime globali stando ai numeri ufficiali. Caso Trivulzio, una raccolta di firme tra i parenti: “Vogliamo sapere”» (la Repubblica Milano).

Leggo che Jonathan Safran Foer, lo scrittore newyorkese di Ogni cosa è illuminata e Molto forte, incredibilmente vicino, sceglie ogni giorno una poesia da attaccare su una lavagna fuori dalla porta di casa. «Le autorità americane hanno paragonato il virus a Pearl Harbour e all’11 settembre, ma non sono d’accordo, quelli erano episodi finiti nel tempo, questa pandemia è un processo che non sappiamo dove ci condurrà. Le propongo un’analogia curiosa. Io non leggo gli ebook, non uso Kindle, perché non ho il peso delle pagine, non so a che punto del libro mi trovo. Anche ora non ho la consapevolezza di dove mi trovo, mi sento alienato».

Lunghe file al supermercato per tutto il giorno. La gente si prepara per il pranzo di Pasqua. Tutti in coda, ordinati, mascherati, in mezzo a un silenzio irreale. Sul bordo dei marciapiedi file dormienti di auto parcheggiate.

Finisco di guardare la settima stagione del Trono di spade.

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Domenica 12 aprile

Pasqua di Resurrezione.

«Pasqua di sofferenza. Continuano a morire gli anziani nelle case di riposo e si allarga il fronte delle inchieste. Il cappellano del Trivulzio: “Che strazio benedire quelle bare, ci sentiamo impotenti. Ritornano a salire i contagi. Si allunga la quarantena dei positivi» (la Repubblica Milano).

Verso le dieci riempio la pentola d’acqua con due gambi di sedano, due carote, una cipolla picchettata da quattro chiodi di garofano sui punti cardinali, un rametto di rosmarino, due foglie di alloro, quattro grani di pepe nero, una manciata di sale grosso. Quando l’acqua bolle inserisco un grosso pezzo di polpa di bovino piemontese, un biancostato e mezza gallina. Tengo il fuoco lento, dolce. Preparare il bollito ha il sapore di un rito. Cucino il risotto alla milanese, che non è quello con l’ossobuco, ma con il midollo. E naturalmente lo zafferano. Il mio risotto ha il colore giallo-arancione di un tramonto. La colomba della pasticceria Camozzi è davvero buona. E non sono un fan della colomba.

Il risotto alla milanese sta da dio con un bianco aromatico. E non c’è nulla di meglio al mondo di un grande Riesling tedesco. Ecco l’aura minerale-rocciosa, il metallo risonante, la freschezza agrumata, la vibrazione acida, la perentorietà del Rheingau Hochheim Kirchenstück 2016 di Gunter Künstler. Dal canto suo, il Trentino Vino Santo 1985 di Marco e Stefano Pisoni (perfetto per la Pasqua e rigoglioso di squisiti sentori terziari) ha l’invitante consistenza di una Trockenbeerenauslese. A cena mi fa invece compagnia la selvatica rustichezza, la verace artigianalità del gagliardo Lambruscaun di Claudio Plessi.

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Lunedì 13 aprile

Ho concluso la visione di Il trono di spade: 73 puntate lungo 8 appassionanti stagioni. È il grande racconto epico del nostro tempo, è probabilmente la serie più importante del nuovo millennio, è il serial del mio cuore accanto a 24. Vi si mescolano senza soluzione di continuità generi disparati (avventuroso, epico, horror, western), disparate citazioni cinematografiche (Il signore degli anelli, Jurassic Park, Carrie, Il gladiatore, Kill Bill, Il samurai, Guerre stellari) e letterarie (Shakespeare, Seneca), senza ostentazione, senza pasticci postmoderni, senza intaccare lo scenario da medioevo fantastico.

Imponenti scenografie e spettacolari scene di massa, con le battaglie più impressionanti mai viste in tv (quella “dei Bastardi” su tutte). Una recitazione impeccabile (è tutta da gustare in lingua originale la dizione anglosassone). Un racconto corale, fluviale, polifonico scandito da inganni e massacri dove i colpi di scena si susseguono senza pietà e dove si mescolano il sangue e la carne, il magico e l’orrorifico, la stregoneria e l’araldica, la bibliofilia e l’avventura esotica, il nord e il sud, il freddo e il caldo, la ragione e l’istinto, l’onore e la crudeltà.

Sono decine i personaggi di spicco, ma altrettanti e forse più i comprimari ugualmente riusciti, i cui volti, soprattutto, sono difficili da dimenticare. Il disincantato Tyrion Lannister, l’intrepido Jon Snow, la regale Daenerys Targaryen, la spietata Cercei Lannister, l’impavida Arya Stark, la testarda Brienne di Tarth, l’affascinante Ser Jorah Mormont, il brutale Sandor “Il Mastino” Clegane, il cinico Tywin Lannister, il retto Davos Seaworth, il quale proferisce una delle battute più brillanti della serie: «Non fate caso a me. Tutto quello che ho fatto è solo arrivare a questa età». Dentro questo universo c’è spazio anche per il vino: quello che si beve nel regno scorre a fiumi e ha un delizioso colore cerasuolo. Si dice che il rosso di Dorn sia il migliore al mondo (stagione sei, episodio due). L’epicureo Tyrion confessa che vorrebbe una propria vigna per fare il suo vino: si chiamerà “Delizia del Folletto” e sarà destinato solo ai migliori amici (sesta stagione, ottavo episodio). Ma il vino ospita anche il veleno che dovrebbe uccidere Khaleesi e che ucciderà Joffrey Baratheon e Olenna Tyrell.

«Night is dark and full of terrors».

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Martedì 14 aprile

Oggi ricorre il quarantennale della morte di Gianni Rodari. È anche il centenario della nascita. Tutti quelli della mia generazione hanno almeno un Rodari nel cuore. Chi non ha sognato o riso con le sue filastrocche, con le sue rime? Da sempre considerato – erroneamente – uno scrittore per bambini, senza però che i suoi libri siano obbligatori nelle scuole, come invece dovrebbe essere. Come si fa a non leggere ai ragazzi La grammatica della fantasia? È addirittura il sesto scrittore italiano più tradotto nel mondo (in ben 47 lingue!) dopo Dante, Collodi, Calvino, Moravia, Eco. Il libro degli errori e C’era due volte il barone Lamberto, il mio preferito, sono dei capolavori. Si trovano, insieme alle Filastrocche in cielo e in terra, alle Favole al telefono, a Il gioco dei quattro cantoni e ai disegni di Bruno Munari, nel Millennio Einaudi I cinque libri. Storie fantastiche, favole, filastrocche, uno dei più belli, in compagnia della migliore letteratura italiana e mondiale, classica e moderna. Leggo con piacere che in autunno uscirà un Meridiano dedicato alle sue opere.

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Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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