Diario di una quarantena: 15-28 aprile

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Mercoledì 15 aprile

Chiuso dentro casa sento il tempo rintanarsi in una bolla di silenzio interrotto solo dai rumori domestici. Nell’assenza del traffico cittadino fuori tutto sembra immoto. Si alternano le giornate con il loro meteo ondivago e lo spazio dove vivo assume sempre più i connotati di un sogno o di una vacanza dalla vita. La mente galleggia e non bastano i quotidiani o i telegiornali per accertare il disastro reale che sta succedendo nella città dove abito, nella regione cui appartiene la mia anagrafe, nello stato di cui sono cittadino, nell’Europa di cui faccio ancora parte, nel mondo che mi circonda. Staccato ormai dalla vita comune, dalla realtà ordinaria, tutto appare come un’astrazione. A riportarmi a contatto con la cronaca è la gravità di un lutto esposto all’ingresso del condominio. Il coronavirus sta uccidendo delle persone.

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Giovedì 16 aprile

Cucino il rognone, facendolo saltare in padella con erbe aromatiche (rosmarino, alloro), vino passito, una piccola scorza di limone. Apro il Taurasi Riserva Poliphemo 2014 Luigi Tecce. Fascino irpino: succoso e caratteriale, vulcanico e piccante, saporito e persistente. L’illustrazione in etichetta è di Vinicio Capossela. Nella retro etichetta leggo che non sono stati usati lieviti selezionati, enzimi, batteri malolattici, tannini aggiunti, disacidificazione, chiarifica, filtrazione, gomma arabica.

Il Covid-19 si è portato via lo scrittore cileno Luis Sepúlveda.

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Venerdì 17 aprile

Leggo Tristia di Ovidio, le strazianti elegie che il poeta scrisse durante il suo esilio a Tomi, sulle coste del Mar Nero, ai confini dell’Impero (oggi Costanza, attuale Romania). Al di là delle ipotesi formulate dagli storici, i motivi dell’ostracismo voluto dall’imperatore Augusto sono tuttora avvolti nel mistero. Ovidio confessa che «Sono due le ragioni che mi persero, un carme e un errore» e di quest’ultimo non parla, per non riaprire vecchie ferite all’imperatore: preferisce concentrarsi sulle colpe imputate al suo Ars amatoria, messo al bando e ingiustamente tacciato di essere «poema infame».

Il poeta delle Metamorfosi non farà più ritorno a Roma: morirà proprio a Tomi, terra selvaggia ed estranea, una decina d’anni dopo la sua relegatio. Il 14 dicembre 2017 il Comune di Roma ha riabilitato la figura di Ovidio: «Sulmona, per rendere giustizia al suo figlio più illustre, si è fatta promotrice di due processi. In entrambi i giudizi Ovidio è stato assolto dai capi di imputazione a lui contestati. L’ultima sentenza di assoluzione è stata recepita all’unanimità dal Consiglio Comunale di Sulmona che nel 2012 l’ha trasmessa all’assemblea di Roma affinché venisse recepita e ne fosse data attuazione» (comunicato Ansa).

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Sabato 18 aprile

Sui social mi coinvolgono in alcune liste. Quella, ad esempio, sulle locandine dei dieci film del cuore. Pubblico solo quelli che ho visto in sala, in cinema che ormai non esistono più (Ambasciatori, Cavour, De Amicis, Excelsior, Manzoni, Obraz di Milano; Rondò e Apollo di Sesto San Giovanni). Un dollaro d’onore di Hawks, Arancia meccanica di Kubrick, Videodrome di Cronenberg, Ran di Kurosawa, Metropolis di Lang, Nosferatu di Murnau, Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco, Strade perdute di Lynch, Kill Bill di Tarantino, Il cavaliere oscuro di Nolan

Le cronache dicono che ci sono 355 malati in più e 575 decessi. Il 4 maggio non ripartiranno bar e ristoranti. La Lombardia rimarrà chiusa per il rischio della seconda ondata.

Stappo uno dei vini del mio cuore, il Vin Santo Giusto di San Giusto a Rentennano, un Vin Santo del Chianti Classico orfano di denominazione da ormai un po’ di tempo e sempre impressionante per complessità aromatica e concentrazione gustativa. Annata 2009. Ne sorseggio solo un paio di bicchieri, voglio godermelo anche nei prossimi giorni come toccasana serale: l’ossigeno lo farà ulteriormente librare. Frutta secca, fico imbottito, funghi champignon, terriccio, note balsamiche, liquirizia, caramello al sale e una viscosità senza fine…

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Domenica 19 aprile

Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Saul Bass, tra i più importanti art director e title designer della storia del cinema. In una carriera che va da Otto Preminger a Martin Scorsese, vorrei ricordare il lungo sodalizio con Alfred Hitchcock. In La donna che visse due volte i titoli partono dal dettaglio di una bocca femminile per spostarsi sul suo occhio sbarrato e poi dentro la pupilla a elaborare una serie di variazioni grafiche sul tema della spirale e della vertigine (il titolo originale è Vertigo, quello italiano è una splendida invenzione) fino a tornare a quella d’inizio, uscendo dall’occhio come un eterno ritorno.

Il cinema non è mai stato così vicino alla struttura delle Variazioni Goldberg di Bach. In Intrigo internazionale un reticolo di linee viene disegnato su una superficie verde che si rivelerà essere quella riflettente di un grattacielo. In Psyco, scanditi dall’aguzza, ansiogena partitura per soli archi di Bernard Herrmann, i titoli sono composti e scomposti da una serie di barre grigie e nere che entrano indifferentemente da destra e da sinistra, dall’alto e dal basso, visualizzando la geometria della scissione, tema centrale del film. Bass disegnò anche lo story board della celebre scena della doccia (dopo la quale il cinema non sarebbe stato più lo stesso), ma contrariamente a quanto si mormora non diresse nessun ciak.

Il Barolo Riserva S. Bernardo 2012 della famiglia Palladino ha un che di stupefacente e non esito a considerarlo uno dei più buoni usciti da questa cantina di Serralunga d’Alba. Profumi di razza, vigore gustativo e stoffa tannica si fondono mirabilmente.

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Lunedì 20 aprile

Prima pioggia dopo una serie di giornate soleggiate.

La notte del 20 aprile di cinquant’anni fa Paul Celan, uno dei più grandi poeti del Novecento, si gettò nelle acque della Senna dal ponte Mirabeau. Il caso vuole che quest’anno ricorra anche il centenario della nascita, avvenuta il 23 novembre 1920 a Czernowitz, in Bucovina, attuale Ucraina, da una famiglia ebrea trucidata nel lager di Michailovka. Di questa esperienza si trova traccia in una delle sue poesie più belle e terribili, Todesfuge, “Fuga di morte”, del 1948, con una prima versione composta in rumeno dal titolo Tangul mortii (1945). L’orrore di una notte senza fine, la notte dell’essere, è un canto a metà via tra il movimento di un tango tzigano e l’astrazione di una fuga bachiana. Una metrica musicale che sarebbe tornata una decina d’anni dopo in Engführung, componimento che fa parte della raccolta Grata di parole (Sprachgitter) e che letteralmente significa “Stretta”, nome con cui si indica il momento culminante di una fuga. La poesia di Celan è un continuo, aguzzo contrappunto.

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Martedì 21 aprile

Piove ancora. Giornata grigia, uggiosa.

«Per la prima volta dopo due mesi calano i malati, ma resta l’emergenza Milano. Sulla app i dubbi di Google e Apple. Timmermans, Ue: dite sì al Mes, serve ai vostri medici eroi. Conte frena la Lombardia. Il 4 maggio riaperture parziali, il 18 i negozi» (la Repubblica).

In tv danno Blue Steel – Bersaglio mortale, poliziesco muscolare di Kathryn Bigelow. In una scena Jamie Lee Curtis, aggredita, scivola di schiena sulla parete come sua madre trent’anni prima nella doccia di un certo motel…

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Mercoledì 22 aprile

I giorni trascorrono indolenti.

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Giovedì 23 aprile

«Dal 4 maggio via libera all’apertura di bar e ristoranti, anche se con la metà dei clienti. Si alzano le saracinesche dei negozi e ok agli allenamenti. Restano chiusi, invece, i centri commerciali e le scuole. Divisione tra Conte e Colao sulle limitazioni ai sessantenni» (Corriere della Sera).

Vedo nottetempo un film dall’impressionante forza d’urto, Warrior di Gavin O’Connor. Due fratelli ex lottatori di MMA (Mixed Martial Arts) – un eroe di guerra che ha disertato, un professore di fisica che per arrotondare partecipa a incontri clandestini – si ritrovano a combattere sul ring e a fare i conti con un padre ex alcolista (Nick Nolte) che ne ha combinate di tutti i colori. Prova di straordinaria aderenza fisica per i due attori protagonisti: il britannico Tom Hardy, noto per il suo trasformismo (Bronson di Refn, Il cavaliere oscuro – Il ritorno di Nolan, Locke di Knight, Revenant di Iñarritu), e l’australiano Joel Edgerton.

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Venerdì 24 aprile

Rivedo dopo molti anni Wyatt Earp. Non sono mai stato un fan di Kevin Costner, soprattutto quando ero al liceo (lo trovavo insopportabile perfino in Gli intoccabili di De Palma, e adoravo De Palma), ma in questo western fluviale (195 minuti!) il suo volto marmoreo, spesso inespressivo, è funzionale alla rudezza e all’insensibilità del protagonista, un uomo incapace di amare dopo aver perso la moglie, uno sceriffo che entra nel mito dopo essere diventato uno sbandato. Costner ha dato il meglio di sé nel western. L’esuberante interpretazione giovanile in Silverado, sempre di Lawrence Kasdan, la gloria di Balla coi lupi, da lui anche diretto come Terra di confineOpen Range, il film della maturità.

Certi attori danno il meglio in tarda età. Così, superata la sessantina, Costner è John Dutton, il proprietario di un ranch-latifondo nella serie televisiva Yellowstone: un uomo autoritario che lotta contro tutti, un padre-padrone che non tollera disobbedienze, quel tipo di personaggio che lo stesso Costner combatteva in Terra di confine. Vicino a lui Kelley Reilly, che interpreta la figlia Beth, business woman di ghiaccio dal passato traumatico, è una vera forza. Yellowstone è la Valle dell’Eden del nostro tempo?

Lo Chambave Muscat Attente 2017 La Crotta di Vegneron è un arioso bianco aromatico che rappresenta tutte le virtù di un Moscato lasciato per quaranta mesi sui propri lieviti: spazia dalle erbe aromatiche alla menta, dalla pesca bianca alla zesta d’agrume. In bocca è succoso, ampio, contrastato, irresistibile.

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Sabato 25 aprile

Accuso la monotonia. Sento, quasi improrogabile, l’esigenza di sciogliere i muscoli, di riavviare le articolazioni, insomma di fare una lunga camminata all’aperto invece che i soliti quattro piani di scale dall’appartamento alla cantina, dalla cantina all’appartamento.

Anniversario della Liberazione.

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Domenica 26 aprile

«Riaperture, ecco il piano. Le misure dal 4 maggio: passeggiate anche distanti da casa, corse, accesso ai parchi, chi vive al mare può fare il bagno. Appello di Conte agli italiani: verso la normalità, ma ci aspettano ancora sacrifici» (Corriere della Sera).

Leggo Concupiscenza libraria di Giorgio Manganelli. Su giornali e riviste sono piovute tante comprensibili recensioni: il Manganelli “saggista” è perfino più brillante del Manganelli narratore. Ma in passato nessuno ha letto le Laboriose inezie pubblicate da Garzanti e La letteratura come menzogna uscito sempre da Adelphi?

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Lunedì 27 aprile

Guardo il mondo dalla finestra di casa, scrivo al computer, indosso la mascherina, esco a fare la spesa. La giornata è nuvolosa, grigia. Mi aggiro per la città come il personaggio di un film distopico. Guardo gli altri come un potenziale pericolo, così come gli altri guardano me. Una signora anziana attende il proprio turno per entrare in edicola sostando sulle strisce pedonali. Ce ne sono altri intorno a lei. Faccio loro presente che è pericoloso stare in mezzo a una strada, poco dopo una curva, potrebbe sempre passare un’auto o un’ambulanza, ed è la volta gusta che la prendono stretta, ci sono i marciapiedi per fare le code. Devo ripeterlo due volte, sottolineando che la pandemia non annulla le regole del codice stradale anche per i pedoni. Mi guardano storto. Una donna alza gli occhi al cielo. Ho sempre più l’impressione essere un estraneo, di vivere in un sogno.

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Martedì 28 aprile

Meeting di degustazione (smart tasting?) con Marco Parusso su Zoom. Non nascondo sulle prime un certo imbarazzo nel vedermi sullo schermo mentre annuisco, agisco, assaggio. Ho il timore, infondato, che i rumori della mia degustazione arrivino ai miei interlocutori come arrivavano a me, diffusi dagli altoparlanti della chiesa, quelli del sacerdote mentre officiava al rito dell’eucarestia. Marco Parusso è sempre un fiume in piena. Parla con fervore – un fervore autentico, passionale, non quello di un guru del vino – delle diete personalizzate che applica alle viti, del riposo in cantina delle uve per tre/quattro giorni con cui le rende più mature e rilassate (Marco confessa di riservare lo stesso trattamento alla frutta di casa, mangiandola solo quando è stramatura), della breve macerazione a freddo senza aggiunta di anidride solforosa per l’estrazione di profumi e tannini, della fermentazione e della lunga macerazione con i raspi che contribuiscono a stabilizzare il mosto, rivestendo una funzione antiossidante, dell’affinamento in legno piccolo e nuovo, dell’uso del bâtonnage e della “madre” (il deposito enzimatico lasciato sulle doghe delle botti), concetti questi ultimi due di cui in genere parlano solo i produttori di vini bianchi e i produttori di Vin Santo.

I Barolo di Marco sono vocati alla concentrazione del frutto (che spesso elargisce note esotiche) e alla potenza della struttura, senza che questo ne prevarichi il carattere. Non fanno eccezione i 2016, anzi, considerando la perfezione dell’annata, ne sono l’emblema. Ho una preferenza per la scioltezza del Mariondino (cru di Castiglione Falletto) rispetto alle fodere vellutate del Bussia e del Mosconi (cru di Monforte d’Alba), giusto per una questione di terroir, ma non trascurerei le virtù del base o “classico”, che è sintesi di ambedue. C’è un nuovo nato in casa Parusso, l’Alba Vegliamonte 2016, da una doc di recente fondazione, che propone lo stile della casa in un classico taglio albese (nebbiolo più saldo di barbera) da uve che provengono dalla Cascina Baconotta in località Santa Rosalia. Vedo che ho scritto un pezzo che si avvicina più a una recensione che a una pagina di diario. Riprenderò quest’ultimo nella prossima puntata. Nel frattempo, chiudo con il fragore di piccoli frutti rossi, di peonie e di rose canine del sorprendente Brut Parusso 2015, un metodo classico rifermentato in bottiglia con l’uso del mosto.

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Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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