Diaro di una quarantena: 29 aprile – 12 maggio

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Mercoledì 29 aprile

Tutto tace. Il tempo sembra essersi fermato. I giorni si susseguono identici. La routine dello stesso risveglio, degli stessi movimenti del corpo, delle stesse cose che si affacciano fuori dalla finestra, degli stessi rumori che si sentono provenire dal mondo, delle stesse azioni, quasi degli stessi pensieri, che agiscono all’interno del perimetro domestico. È una specie di detenzione.

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Giovedì 30 aprile

Non appena leggo che Alessandro Borghese sarà il testimonial dell’Asti e del Moscato d’Asti, mi fiondo in cantina per esorcizzare la notizia stappando una bottiglia del Vite Vecchia di Ca’ d’Gal. Quello di Alessandro Boido è un Moscato d’Asti che non assomiglia a nessun altro: le sfumature accese del suo colore dorato, i profumi di pasticceria, di agrume, di foglie autunnali, la polpa succosa, la carbonica finissima, quasi soffiata.

Guardo in tv Il rompiballe di Édouard Molinaro con Lino Ventura e Jacques Brel. È considerato un piccolo classico della commedia, ma è invecchiato piuttosto male.

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Venerdì 1 maggio

Festa del lavoro e dei lavoratori. Una ricorrenza che oggi ha un sapore beffardo. Tutto è ancora fermo, congelato. Il lavoro, la libertà dei movimenti, perfino i pensieri.

Guardo Saxofone, esordio alla regia di Renato Pozzetto, che scrive la sceneggiatura insieme a Cochi Ponzoni, Beppe Viola, Enzo Jannacci. Film stralunato, di comicità surreale, con il sapore dell’apologo. Pozzetto incontra personaggi bizzarri in una Milano d’estate suonando il sassofono. Diversi cameo per i giovani comici del Derby Club: Massimo Boldi, Diego Abatantuono, Giorgio Porcaro, Ernst Thole. E Teo Teocoli, che dice a Mariangela Melato per riconquistarla: «Ma se vuoi posso mettermi gli zoccoli, vestirmi come te, mangio macrobiotico, faccio l’agopuntura, mi metto l’orecchino, studio filosofia, andiamo a coltivare la terra, andiamo a vivere in una comune, andiamo a vivere a Ibiza» (siamo nel 1978). Lei si è invaghita di Sax, che però non è lo spiantato che sembra. «Bisogna cambiare la testa. E non la vogliono capire. È la testa che bisogna cambiare», dice nel finale.

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Sabato 2 maggio

Mi capitano tra le mani alcune fotografie della mia infanzia e della mia giovinezza. Sembra la vita di un’altra persona, ma non posso fare a meno di riconoscermi e di far risalire le emozioni. Incatenata dalla detenzione, la mente è asserragliata dai ricordi. La vita sembra sempre di più un sogno.

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Domenica 3 maggio

“Storia del grembiule della nonna”

Il primo scopo del grembiule della nonna era di proteggere i vestiti, ma serviva anche per ritirare la padella bruciante dal forno, per asciugare le lacrime dei bambini, per pulire le loro faccine sporche, per proteggerli dalla timidezza quando arrivavano persone sconosciute a trovarli; per prendere le uova dal pollaio, talvolta perfino i pulcini; per trasportare le patate e la legna secca in cucina; per raccogliere le verdure dell’orto e le mele cadute dagli alberi; per posare sul davanzale la torta appena uscita dal forno; per agitare il fuoco a legna del camino, come fosse un soffietto; per proteggersi dal freddo, imbacuccandosi le braccia; per levare velocemente la polvere quando c’erano dei visitatori inaspettati; per segnalare agli uomini nei campi che era ora di andare a tavola. Ci vorranno molti anni prima che qualche invenzione possa rimpiazzare questo vecchio buon grembiule. (Ricevuta via WhatsApp e rielaborata)

Voglar 2014 Dipoli. L’essenza di un Sauvignon giocato sulle sottrazioni aromatiche, sulle nuance olfattive, sull’eleganza del sapore, senza che tutto questo impedisca un’apertura a ventaglio: menta, basilico, pesca, pompelmo. Scaglia rocciosa, acidità minerale, sapidità infiltrante.

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Lunedì 4 maggio

Il mondo timidamente riparte. Il Sassuolo, dopo lo stop al mondo del calcio del 9 marzo, torna perfino ad allenarsi. I ristoranti, invece, devono ancora aspettare.

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Martedì 5 maggio

Interrompo la lettura dei classici sfogliando le pagine di Tutte le opere di Aldo Buzzi (introduzione di Antonio Gnoli, disegni di Saul Steinberg), un corposo tomo color rosa che contiene molte cose preziose, tra cui l’impagabile L’uovo alla kok (1979, poi nuova edizione ampliata 2002). «Quelli che fanno andare a tutto volume radio e televisori, che mangiano solo i formaggini più reclamizzati, usano la vaniglina al posto dei baccelli di vaniglia, buttano le cicche sui binari della metropolitana, non sanno mettersi in coda, hanno voluto che secondini, spazzini, pompieri, ciechi e sordi si chiamassero agenti di custodia, netturbini o, peggio, operatori ecologici, vigili del fuoco, non vedenti e non udenti, dicono zola invece di gorgonzola e sisma invece di terremoto, augurano ai colleghi d’ufficio “buon lavoro”, sono ancora quelli che nelle gite aziendali sul lago di Como si raccolgono in circolo compatto intorno a una chitarra scordata, magari sottoponte, e fanno il percorso Como Bellagio e ritorno senza dare una sola occhiata all’acqua, alle rive, alle ville, alle montagne, al cielo. Il mondo, purtroppo, è di chi ha torto. Non avendo la forza di Ralph Nader, non ci resta che bere per dimenticare».

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Mercoledì 6 maggio

Mi lascio inebriare dal Donna Daria 2016 del Conte Giordano Emo Capodilista. È un Fior d’Arancio Passito dei Colli Euganei le cui uve (moscato giallo) arrivano da Baone, a sud del territorio, zona calda, quasi mediterranea. E mediterraneo è anche il profilo di questo squisito vino aromatico che ha il colore del tramonto, i profumi della zagara, del rosmarino, dell’albicocca secca, dell’eucalipto, la densità viscosa e voluttuosa di un passito che permea, ammalia, si diffonde e sembra non avere fine.

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Giovedì 7 maggio

Accosto due vini agli antipodi ampelografici, cromatici, territoriali, stilistici. L’unica cosa in comune che hanno è l’annata 2016: il valdostano Le Prisonnier di Maison Anselmet e il piemontese Barolo Villero di Giacomo Fenocchio. Il primo è un uvaggio autoctono di petite rouge, cornalin, fumin più un piccolo contributo di mayolet, da uve provenienti dal massiccio del Torrette di Saint-Pierre fatte lievemente appassire in pianta, con un anno in barrique di rovere francese di più passaggi. Il secondo è nebbiolo in purezza di Langa dal celebre cru Villero di Castiglione Falletto con affinamento per 30 mesi in grandi botti di rovere di Slavonia. Il primo conserva il côté sanguigno dei rossi di montagna in un profilo di confettura e carnosità. Il secondo è un sorso punteggiato dai tratteggi tannici e dalle sfumature gustative così tipici del Barolo classico. Il primo è una tavolozza di colori, il secondo un disegno stilizzato e penetrante.

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Venerdì 8 maggio

Aria 2008 di Leonardo Beconcini è un Occhio di Pernice, ovvero un Vin Santo prodotto da uve sangiovese in purezza. Il suo colore non è rosso, ma un mogano rossastro come certi parquet che si accendono con la luce del sole. L’ho aperto qualche giorno addietro e non smette di conversare, di concedersi, anzi l’ossigeno permette la diffusione di tutto il suo ampio contenuto aromatico: granai e soffitte, tabacco, gheriglio di noci, frutta secca, caffè, dattero, note balsamiche. Grande densità senza mai risultare statico.

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Sabato 9 maggio

Domino di Brian De Palma, film irrisolto, film sconfessato, forse il canto del cigno di un grande regista che negli anni Duemila non ha azzeccato un film, con la sola eccezione, forse, di Redacted: Mission to Mars, Femme fatale, Black Dahlia, Passion e ora Domino. Ha senso essere ancora hitchcockiani nel 2019?

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Domenica 10 maggio

Giornata grigia, rischiarata da qualche apparizione di luce.

Leggo, come una ventata d’aria fresca, Radiogol di Riccardo Cucchi, per trentacinque anni voce radiofonica di Tutto il calcio minuto per minuto, trasmissione che per molto tempo, almeno prima dell’avvento delle pay tv, degli anticipi, dei posticipi e del calcio-spezzatino, ha rappresentato il nostro immaginario calcistico della domenica. Con la sagacia del narratore Cucchi ci porta dentro l’attentato terroristico, vissuto in diretta, al Centennial Olympic Park di Atlanta, durante le Olimpiadi del 1996; la maledetta domenica in cui la Juventus perse lo scudetto a Perugia («Sono le 18 e 4 minuti del 14 maggio del 2000, la Lazio è campione d’Italia!», un’emozione unica per un radiocronista biancoceleste) in una giornata di maggio a dir poco bizzarra, iniziata con un sole caldissimo e finita sotto un nubifragio; le notti insonni del Mondiale 2006, vinto dalla nazionale italiana di calcio in Germania nell’anno di Calciopoli; i disordini di Genova e la bagarre sugli spalti dello Stadio Ferraris dei tifosi serbi capeggiati da «un oscuro personaggio di cui più tardi avremmo conosciuto il nome: Ivan. Arrampicato sulle transenne che dividono il campo, dopo aver tranciato con le tronchesine la rete di copertura, Ivan invitava i suoi a urlare e cantare, spavaldo, impunito, sprezzante. E, protetto da un passamontagna, protagonista involontario nelle tv di tutto il mondo», fatto che portò alla mancata disputa dell’incontro tra Italia-Serbia del 12 ottobre 2010.

Poi un aneddoto. La prima volta che Riccardo Cucchi affianca Enrico Ameri, “la” voce di Tutto il calcio insieme a quella di Sandro Ciotti, viene convocato alle 9.30 per andare alla messa delle 10 e mangiare un boccone in una trattoria toscana alle 11.30 prima di recarsi con largo anticipo allo stadio di San Siro (c’è Milan-Juventus). Ameri ordina riso in bianco e verdure lesse, Cucchi un piatto di prosciutto tagliato al coltello. «Ameri non approvò: “Ti verrà sete durante la partita. Meglio evitare il prosciutto la domenica”». Le uniche volte in cui ho mangiato il prosciutto a cena prima delle lezioni serali me ne sono sempre pentito, dovendo lottare contro una sete che mi faceva bere più di una bottiglietta d’acqua: aveva ragione Ameri (anche se gli ho sempre preferito Ciotti).

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Lunedì 11 maggio

Giornata bigia, uggiosa.

Una trilogia di Sagrantino prodotta dalla cantina Fratelli Pardi. Il Montefalco Sagrantino 2015 sfugge ai cliché di questo vino: ha limpido cuore fruttato, note di erbe mediterranee, un tannino importante quanto elegante, è un vino di sostanza e di ricamo. Il Sacrantino 2015, anch’esso Doc, ancora di più: amplifica questo profilo sul piano della densità (ma non della potenza fine a se stessa) senza mai perdere per strada l’equilibrio. Ricorda L’Amarone La Fabriseria dei Fratelli Tedeschi: la qualità, la ricchezza e la definizione di un frutto vellutato e flessuoso, guarnito da tannini di bella naturalezza e aderenza, e da un finale di erbe e fiori e cacao. Il Montefalco Sagrantino Passito 2014 ha notevole consistenza, anzi è proprio viscoso, senza che questo ne intacchi la bevibilità. Sfodera note di cioccolato, prugna e un tannino cremoso, dolce.

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Martedì 12 maggio

Il tempo si è rinfrescato, la giornata è luminosa.

Muore Michel Piccoli, l’attore francese che forse più di ogni altro ha incarnato la nonchalance della recitazione, che c’era ma non appariva. Non si contano i grandi film da lui interpretati: Il disprezzo di Jean-Luc Godard, Dillinger è morto e La grande abbuffata di Marco Ferreri e poi tanto Buñuel, anche solo con delle comparsate: Diario di una cameriera, Bella di giorno, Il fascino discreto della borghesia, Il fantasma della libertà. Sempre con quell’aria di essere capitato sul set per caso, lasciando però un segno indelebile.

Nel frattempo il mondo è ripartito dopo il lockdown, apparentemente liberato dal giogo del Covid-19. La gente si riversa per le strade, si siede al bar senza mascherina, non rispetta le distanze, festeggia e si dà alla pazza gioia, incurante delle conseguenze.

Viene in mente il finale di El Dorado.

«Ehi, Bull che succede là fuori?».

«Il paese sta impazzendo dalla gioia. C’è festa grande stasera. Hanno tutti voglia di strillare».

Ma non è la fine di una guerra dove si dichiara il cessate il fuoco e non si spara più. Il virus è ancora qui fuori, attivo, desideroso di attecchire, ancora potenzialmente nocivo. E noi, la generazione che ha vissuto la distopia del tempo presente, non dovremmo distrarci, ma essere vigili: ora, domani, sempre.

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Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

1 COMMENT

  1. Un pezzo di cronaca personale e intima coinvolgente , un racconto che va oltre il vissuto personale.Mi ha emozionato.Complimenti

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