Tenuta di Artimino. Tra Carmignano, Chianti e Barco Reale … tanta storia

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E’ una storia molto lunga quella della Tenuta di Artimino, una storia che mi ha davvero coinvolto e affascinato, una storia che si svolge in una terra su cui le vicende del passato si spingono fino agli albori della civiltà etrusca; un territorio attraversato quindi da epoche diverse, ma sempre caratterizzato, in un modo o nell’altro, dalla produzione del vino, dall’arte e dall’ospitalità.

Dopo la caduta dell’impero Romano qui sorge un borgo medievale, che attraversa con le sue torri l’arco plurisecolare del periodo; nell’età moderna, verso la fine del XVI secolo, diviene meta molto apprezzata dai Medici, tanto che Ferdinando I vi edificò la sua dimora di caccia, La Ferdinanda, una Villa Medicea oggi patrimonio dell’UNESCO con i suoi “cento” camini. In seguito, fu Cosimo III (succeduto a Ferdinando II alla guida del Granducato) a impiantare le prime vigne strutturate per rendere la produzione vinicola, già avviata dagli etruschi stessi per il consumo, una vera e propria merce di qualità, al punto che nel 1716 venne proclamato il bando che porta il suo nome e che rappresenta un po’ il primo disciplinare conosciuto. Con quell’atto venivano fissati i confini di produzione del vino e se ne certificava longevità e qualità.

Arrivando al XX secolo, subentra la famiglia Olmo, quando Giuseppe (Gepin), uno sportivo vero, cronoman del ciclismo, poi imprenditore di successo, acquista la tenuta e infonde la sua grinta nella valorizzazione di questa terra già naturalmente vocata al vino.

Parliamo di 70 ettari distribuiti sul versante settentrionale dell’Arno, dove i vigneti si sviluppano su due versanti dalla grande tradizione: da un lato le colline del Carmignano e dall’altro il Chianti Montalbano. Due terroir che godono del benefico influsso del fiume, il quale contribuisce a creare condizioni pedoclimatiche ideali per le uve, messe scrupolosamente a dimora secondo attente valutazioni della composizione del terreno e del microclima nelle varie parcelle, distribuite fra i 200 e i 400 metri di altitudine.

Le coltivazioni utilizzano sistemi a guyot o cordone speronato, a seconda dell’età delle vigne o delle condizioni pedoclimatiche puntuali, rispettando criteri di sostenibilità ambientale e biodiversità, per preservare quello che è il bene più prezioso, ossia l’ambiente che ospita le materie prime. A curare il tutto è l’agronomo Alessandro Matteoli, mentre in cantina è l’enologo Filippo Paoletti a muovere le fila di una produzione che vede alla guida Francesco Spotorno Olmo (terza generazione) e Annabella Pascale.

Sono diverse le etichette prodotte, principalmente da uve sangiovese, cabernet e merlot a bacca nera e trebbiano, malvasia o chardonnay a bacca bianca. Spiccano ovviamente le docg di Carmignano, che in questo terroir trova una culla ancestrale, e di Chianti, ma ci sono anche le doc Barco Reale, anche in versione rosato, e Vin Santo, sia di Carmignano che di Chianti. Ci sono poi alcune Igt interessanti, fra cui troviamo l’unico bianco Artumes e, infine, un’ottima produzione oleica che si avvale della coltivazione di ben 18000 piante di ulivo.

Abbiamo degustato tre di questi gioielli nell’intimità di casa, forzati dal lockdown, ma tanta storia spinge a programmare appena possibile una visita per godere delle molteplici attrattive disponibili. Anticipo subito che sono tre gioielli, perché la curiosità che alimentava il mio tasting è stata assolutamente soddisfatta.

Grumarello 2015 – Carmignano Riserva

Questa Riserva di Carmignano rappresenta certamente il vino di punta dell’azienda, un vino importante che nasce nel cuore del terroir di Carmignano e che si basa sulle migliori rese di sangiovese, cabernet sauvignon, merlot e syrah coltivate su terreni ricchi di calcare e calcari marnosi (con argilla), e ottimo scheletro. Le uve, raccolte a piena maturazione e selezionate manualmente, dopo la diraspatura e pigiatura fermentano in vasche di acciaio inox a temperatura controllata (25/26 °C), restando a macerare sulle bucce per ben tre settimane, operando regolari follature e delestàge. Dopo la svinatura, segue un periodo di affinamento in botti di rovere da 30 e 50 hl per due anni e, dopo l’imbottigliamento, il vino riposa per un altro anno in cantina.

Nel calice si presenta di colore rubino intenso ma non cupo, con leggeri riflessi granati. L’approccio olfattivo, dopo una buona ossigenazione, rivela subito una complessità invidiabile e accattivante, con aromi di frutta rossa matura, ciliegie e amarene, appena sfumati da un velo floreale di rosa, con un respiro ampio e speziato che rimanda a sentori di cuoio, chiodi di garofano e pepe nero. Al palato si presenta solido, corposo, con fragranze fruttate carnose e tannini ben levigati sorretti da una spalla acida adeguata, in tutto in perfetta armonia. Avverto un po’ il calore alcolico, ma la deglutizione restituisce un profondo bouquet aromatico in cui si distinguono note di cacao, ancora tabacco, caffè e un cenno vegetale, quasi balsamico. Dopo una lunga persistenza, è piacevole la sensazione minerale che resta. Appagante.

Chianti Montalbano 2018

Il classico uvaggio a base di sangiovese, con piccole e dosate parti di canaiolo e colorino, compone questo Chianti che gode delle particolari condizioni pedoclimatiche proprie del Monte Albano da cui deriva la denominazione. Il mosto fermenta in vasche di acciaio inox a temperatura controllata per un periodo compreso fra le due e le tre settimane, con regolari follature e delestàge. Nella fase successiva, dopo il primo travaso, il vino matura altri sei mesi sempre in inox, affinandolo per gli ultimi due ancora sulle fecce. Prima della commercializzazione riposa tre mesi in bottiglia. Nel bicchiere si presenta di un bel rosso rubino intenso, cupo ma vivido; al naso offre profumi tipici del sangiovese di questa zona, delicato, tra note floreali di viola e sentori di bacche rosse. In bocca entra corposo, solido, con fragranze di prugna polposa, poi emerge l’acidità, una freschezza che bilancia una leggera pungenza tannica. Una chiusura vagamente speziata lascia una piacevole sensazione post-beva, con ricordi di cannella e liquirizia. Equilibrato.

Vin Ruspo 2019 – Barco Reale di  Carmignano Rosato

Nutro un particolare interesse per i vini rosati, spesso sottovalutati o ritenuti essenzialmente femminili, ma a mio giudizio forieri di incredibili sfumature aromatiche e intriganti contrasti gustativi. Questo vino, che mi incuriosiva particolarmente, è realizzato dal sapiente amalgama di sangiovese, cabernet sauvignon e merlot, allevati con attenzione e vinificati in acciaio con evidente contatto con le bucce, a seguire viene praticato un affinamento di almeno tre mesi sulle fecce, un tocco un po’ provenzale (ma senza legno) che conferisce al vino caratteristiche davvero intriganti. Il colore è rosa cerasuolo, ricorda molto i nostri abruzzesi, con piacevoli riflessi cangianti. I profumi rivelano un bel complesso fruttato, dove si intrecciano ciliegia e melograno, che si accompagna a un bouquet floreale molto primaverile, con sentori di biancospino e di rosa. In bocca è godibilissimo, un sorso fresco e fedele, assolutamente agile e ben bilanciato, tra acidità e corpo, con una briosa scia minerale che accompagna la chiusura. Versatile

Riccardo Brandi

Riccardo Brandi (brandi@acquabuona.it), romano, laureato in Scienze della Comunicazione, affronta con rigore un lavoro votato ai calcoli ed alla tecnologia avanzata nel mondo della comunicazione. Valvola di sfogo a tanta austerità sono le emozioni che trae dalla passione per il vino di qualità e da ogni aspetto del mondo enogastronomico. Ha frequentato corsi di degustazione (AIS), di abbinamento (vino/cibo), di approfondimento (sigari e distillati) e gastronomia (Gambero Rosso). Enoturista e gourmet a tutto campo, oggi ha un credo profondo: degustare, scrivere e condividere esperienze sensoriali.

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