I vini del mese e le libere parole. Giugno 2020: risvegli post isolamento

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Preambolo

La rubrica è stata al palo per quattro lunghi mesi. Non poteva essere altrimenti, vista l’angolazione narrativa assunta (e visti i tempi).

Per capirci meglio, e per riavvolgere il filo, propongo nuovamente la primigenia introduzione, da cui si può intuire il perché di una pausa e il perché di una ripartenza.

“Con cadenza mensile mi piacerebbe riannodare le fila dei tanti vini bevuti e mai raccontati, in quanto non rientranti nella categoria della storia progettata, della rassegna, del viaggio o dell’incontro con il produttore. Attenzione, ho detto bevuti, non degustati. E fa una bella differenza! Sono infatti i vini partecipati, vissuti e onorati secondo il rituale più credibile di sempre. Nel mio caso, i contesti condivisi, obbligatoriamente condivisi, quelli che nutrono i ricordi e smuovono le emozioni.

I vini di cui parleremo non sono per forza di cose il meglio che c’è, ma sono ciò che ho incontrato e che, nel bene o nel male, mi ha condotto alle libere parole. Sono stati –semplicemente- la mia compagnia. Insieme ai volti, agli amici, ai viaggi e agli umori. Insieme ai valori condivisi. Di tutta questa parvenza di socialità sono stati il tramite, molto spesso il motore primo. Mi conforta immaginare che possano esserlo anche per chi ne leggerà.”

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Champagne Violaine 2014 Benoît-Lahaye/ Champagne Cuvéè n.742 Jacquesson

La mia idiosincrasia verso le bolle, altrimenti dette valori bollati, è ormai nota. C’è qualcosa che mi blocca e non so cos’è. O forse sì. Ma non è questo il punto.

C’è che il Violaine 2014 di Benoît -Lahaye è riuscito a scalfire dal didentro le mie granitiche convinzioni, praticando una piccola breccia nel mio insensibile cuore. Non era facile. Non è mai stato facile. Ne devo prendere atto. Forse che sto cambiando? O mi sta cambiando lui?

Invece, di fronte alla 742esima cuvée di Jacquesson ho provato la medesima sensazione di quando, dopo tanto girovagare, ritrovi le cose tue: un tepore quieto,  di quelli che attizzano il conforto senza sforzo di pensiero.
Come il castagnaccio o il budino di semolino di mia madre. Loro stanno lì, conficcati, impressi. Attendono soltanto i miei ritorni. Ve ne saranno certamente di migliori, al mondo, ma io assieme a loro ci sto bene .
Lo stesso i ricordi.

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Pouilly Fumé Le Désert 2018 – Régis Minet

Non ti investe, casomai si infiltra, srotolando la sua trama su di un tappeto di sale.

Dannatamente dinamico e sottile, di lui non mi stanco.

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Alto Adige Valle Isarco Pinot Grigio 2016 – Pacher Hof

Un monumento al pinot grigio, che a tali livelli di espressività e sentimento non avevo apprezzato mai, quanto meno alle nostre latitudini.
Semmai, con gli anni è andato inspessendosi: alla salinità di Bressanone e al dinamismo d’altura ci si aggrappa oggi una tessitura salda, tenace, rocciosa, che amplia a dismisura il sorso creandone una sorta di rimbombo, di eco.
L’eloquenza e la sontuosa grazia non consacrano soltanto il talento di vinificatore di Andreas Huber, quanto il fatto che c’è un di più.

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Alto Adige Müller Thurgau Feldmarschall Von Fenner 2013 – Tiefenbrunner

Dal vino proveniente da uno dei vigneti più alti d’Europa cosa ti aspetteresti se non sussurri e rarefazioni? E invece, immancabilmente, il Feldmarschall, müller thurgau di conclamata fama, si esprime con modalità quasi barocche: densità, spessore, cremosità, intensità.
A suo modo impattante, basta non avere fretta e lasciargli prendere aria e fiato, dopo averlo liberato dalle oppressioni del tappo Stelvin, e lui ti ripagherà con un rimbombo che ti scuote dentro.

Inutile stare a cincischiare, anche per questo 2013 va così: giovane e aitante da non sentire gli anni, di profondità inarrivabile ai più, c’è un alito balsamico di erbe a sorreggerne le sorti aromatiche, con una florealità e una speziatura che se ne escono fuori alla distanza.
La lunghezza è étonnante, più che un vino un fuoco d’artificio.

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Fleurie 2017 – Yvon Métras

La spontaneità al potere.
Disinvolto, scarmigliato, imperfetto, di lui non ti stanchi.
E fra i tanti lo ricorderai.

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UNO 2016 – Tenuta di Carleone

L’ho già scritto e l’ho già detto, ma mi ripeto, ora che ho avuto l’opportunità di una bevuta in tutta calma durata una bottiglia intera. Questo vino è una vetta, e non solo per il sangiovese en pureté, non solo per Radda, non solo per il vino toscano.

La grazia espressiva, il tono e il portamento lo elevano ad autentico portavoce, da qui al futuro, spostando un po’ più in su l’asticella delle potenzialità.

Di pregevole eleganza e radiosa persistenza, la meraviglia beota instillata ad ogni sorso presupporrebbe “canestri di parole nuove” per arrivare a descriverla, perché quelle che conosco già fanno una fatica cane a stargli dietro.

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Brunello di Montalcino 2013 – Le Chiuse

Vanta proporzioni perfette, non una sfrangiatura al tempo, né all’alcol. Tutto si tiene in meraviglioso equilibrio, il sorso è fresco, lungo ed articolato, sotto l’egida di un respiro classico e profondamente balsamico, e di una dinamica sciolta da sangiovese chiantigiano.

Il nostro abbronzante. Questo è. Che fra sdraio e ombrelloni, luminose iridescenze e un mare senza confini, si è trovato maledettamente a proprio agio.
Un figurino fra i bagnanti al sole. E un grande Brunello.

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Riecine di Riecine 2013 – Riecine

Penso che una purezza così non ritorni mai più (mi dipingevo le mani e la faccia di blu).

Oggi sono stato dal vento rapito.

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Immagine di copertina: ” La botella de vino” – Juan Mirò

 

 

 

 

 

FERNANDO PARDINI

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