Anteprime Consorzi toscani 2008: Chianti Classico Collection 2008, commenti, anticipazioni e suggestioni

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Qualche giorno fa, con la solenne ed evocativa Stazione Leopolda di Firenze a far da culla e cornice, si è tenuto il tradizionale appuntamento con il Chianti Classico, organizzato dall’omonimo Consorzio di Tutela nell’ambito della consueta maratona annuale che quattro fra le principali denominazioni d’origine toscane (in stretto ordine di apparizione Vernaccia di San Gimignano, Chianti Classico, Nobile di Montepulciano e Brunello di Montalcino) sono solite prevedere in febbraio al fine di presentare a stampa ed operatori le nuove annate che andranno in commercio.
Sia pur con un nome cambiato (Chianti Classico Collection stavolta, una anglofonia quasi contro tendenza, se stiamo alle intenzioni dei tanti produttori chiantigiani orientate oramai verso la valorizzazione piena e convinta del patrimonio viticolo autoctono), non cambia però la sostanza: offrire una ampia selezione di vini del territorio che in questa occasione hanno spaziato dalle annate 2006 e 2005 – da cui principalmente ci proverranno i nuovi arrivi sul mercato- per “toccare” annate meno recenti come 2004 e 2003, in cui non si escludono casi, specialmente per l’annata 2004, di vini che entreranno di fatto in commercio quest’anno.

Ebbene, sulla via del ritorno, ho elaborato tre o quattro cose che mi piace condividere coi lettori:

1) scorrendo in dettaglio le 130 e passa aziende partecipanti (a proposito, diverse new entry di recente costituzione ad ingrandire il parterre), colpisce piacevolmente la litania del catalogo ufficiale secondo la quale moltissimi Chianti Classico e Riserva vengono dichiarati oramai a base esclusiva di sangiovese o tutt’al più di sangiovese + vitigni radicati (leggi canaiolo, colorino, malvasia nera..). Relativamente pochi, molto pochi, i vini nei quali si dichiara la presenza (legittima eh, come disciplinare vuole!) di vitigni alloctoni quali merlot, cabernet sauvignon e compagnia cantante, e quasi sempre con percentuali inferiori al 10%, tanto che mi verrebbe da pensare che forse tutto questo urlare allo scandalo da parte nostra (della stampa) per via dell’indefesso uso dei vitigni cosiddetti migliorativi, o internazionali, dentro i vini DOCG chiantigiani non avrebbe più ragione di esistere. I più maliziosi però non si lasciano sfuggire un particolare: che stiamo parlando di dichiarazioni sulla carta! Ma si tratta di maliziosi. Altri invece sostengono che non sia momento storico propizio per reclamizzare eventuali presenze “foreste” (pur legittime) negli uvaggi chiantigiani, argomento che pian piano sta andando in disuso, come “incensare” la barricaia interrata. Ma anche qui la malizia non manca. Bando agli scherzi e alla ironia, quelle cose scritte sul catalogo sono dichiarazioni d’intenti forti, che alla luce degli assaggi saranno sicuramente foriere di approfondimento, discussione e dibattito.

2) Venendo ai bicchieri, tenendo conto delle dichiarazioni di cui al punto 1, la mia consapevolezza attuale in diversi casi non trova così chiara rispondenza fra quanto dichiarato nel catalogo e quanto poi degustato. E questo senza voler essere malizioso! A detrimento di questa constatazione, oltre ovviamente alla capacità presunta del sottoscritto nel “sentire” i vitigni (attitudine che potrebbe anche non essere tale, ci mancherebbe), facciamoci pure entrare la sostanziale gioventù del parco vigneti e l’introduzione di cloni nuovi di sangiovese (!) a confondere le acque, però la sensazione che qualche vitigno internazionale, ben oltre il dichiarato, entri nella composizione di certi Chianti non me la toglie dalla mente nessuno. Detto questo, non sono di certo fra quelli che si scandalizzano per l’impiego di tali vitigni (d’altronde se è stato consentito c’è poco da fare, l’errore casomai è a monte), in special modo quando l’anima e le ragioni di un territorio se ne infischiano del merlot o del cabernet eventualmente aggiunti, e anche perché in genere ritengo che una minima percentuale di questi vitigni (entro il 5-6 %) non contribuisca in modo sensibile a modificare il “sentimento” dell’uva principe e/o del territorio da cui proviene. Certo però che un po’ di prurito me lo provoca il pensiero che fra il dire e il fare ci sia sempre qualcosa di scomodo in mezzo (e non mi riferisco certamente al mare).

3) Stando ancora ai bicchieri, e ai 2006 in particolare, annoto con piacere l’allargata consapevolezza ed unità d’intenti da parte dei produttori (e dei tecnici) se parliamo di “estri cantinieri”: insomma, si è capito che forse non è più il caso di calcare la mano in cantina se si intende rinnovare interessi, scoprire meglio carte e virtù della propria produzione e donare nuova linfa a vini che hanno l’ambizione di presentarsi al mondo quali indefessi traduttori delle ragioni legittime di una terra. Ecco così che assistiamo progressivamente ad una salutare messa a punto stilistica sia nelle estrazioni (colori meno saturi, tannini meglio dosati), sia nell’uso dei legni, per ricercare maggiori equilibrio e trasparenza espressiva, e con essi una godibilità meno cerebrale e più istintiva.

4) Desiderando allargare il tiro all’insieme delle proposte, scandagliate in oltre 60 esemplari dell’annata 2006, la sensazione che l’annata sia buona (buona ma generosa) non è una novità e c’era da attenderselo, e ritengo che le zone che hanno potuto godere di salutari escursioni termiche e quindi di cicli vegetativi più lenti e meditati per il sangiovese, specialmente nella fase di maturazione, siano state in grado di regalare vini di maggiore equilibrio e complessità aromatica. Detto questo, il panorama offre una buona compattezza qualitativa, con una decina di vini che ben si staccano dal resto della compagnia, ma tutto sommato, e non è una novità nemmeno questa, non vi sono bottiglie memorabili, come spesso (purtroppo?) accade in corrispondenza di annate qualitativamente importanti (e il 2006 può essere senz’altro annoverata fra queste): vuoi vedere che sforzi, attenzioni e soprattutto uve (quelle migliori) sono state “riservate alle riserve” che verranno?

Concentrate così le mie considerazioni di carattere generale in 4 punti, mi permetto di fissare alcune delle suggestioni ricavate dalla lettura dei bicchieri, non senza sottolineare che erano presenti diversi campioni di botte (spesso e volentieri in uno stato di forma approssimativo) dai quali non è stato affatto facile tirar fuori giudizi definitivi e per i quali gli assaggi, più meditati, della prossima estate potranno condurre ad analisi più centrate.

UN OCCHIO, EN PASSANT, SUI 2006….

Fermandomi alle predilezioni, e partendo per una volta dai volti nuovi (o meno chiacchierati), mi piace ricordare la prova espressiva e confortante di Villa di Geggiano, piccola azienda dell’areale di Castenuovo Berardenga che già aveva destato profondo interesse con vini di bella dolcezza tannica e modulazione gustativa, nei quali l’anima sapida del territorio riesce ad emergere con convinzione (fra tutti, l’eccellente Riserva 2004, a cui si va oggi ad aggiungere un buonissimo 2006). Mi piace poi rammentare il rinnovato estro di Massanera, azienda di sponda fiorentina (San Casciano Val di Pesa) i cui vini (soprattutto il 2006) hanno offerto brillantezza, contrasto ed un esprit “sangioveso” manifesto, ribadendo lo stile emerso anche dagli ultimi imbottigliamenti (Prelato di Massanera 2004 su tutti); oppure l’impronta tradizionale, schietta e sincera dei vini di Monteraponi (realtà recente che ci arriva dalle alture di Radda), od ancora il tratto rotondo e fascinoso dei Chianti di Bibbiano, sul versante di Castellina, al quale è difficile resistere.
Fra le altre conferme dell’annata 2006, parlando stavolta di nomi noti, ottima prova per il Chianti Classico di San Giusto a Rentennano (teso, sapido, deciso, sicuro di sé e con un legno per niente ingombrante), per il Chianti Classico di Casa Emma (roccioso, forte e minerale), per quello di Isole e Olena (classicamente elegante, raffinato, sinuoso) e per quello di Tenuta di Lilliano (sussurrato, sapido, sottile), che conferma le buone nuove già annunciateci lo scorso anno dalla meravigliosa Riserva 2004.

Di buon conforto le prove di Fontodi e Felsina, la cui affidabilità a livello di vini “annata” non trova qui che la consacrazione, mentre, sia pur nel segno di una (calibrata) modernità, ci sono apparsi godibili e ben fatti sia il Chianti Classico di Poggiopiano che quello di San Fabiano Calcinaia. Niente male inoltre Castello di Volpaia, che quantomeno ritrova nel 2006 l’anima “aerea” e sfumata che gli ricordavamo, e niente male il Chianti Classico RS di Badia a Coltibuono, del quale mi attrae il carattere austero ed ombroso. Infine, ancora “battiti” d’altura, rarefazioni e conseguenti immedesimazioni mi arrivano dalla piccola realtà de I Fabbri, i cui vigneti dimorano in alto sulle colline a sud di Greve, e tutto questo grazie soprattutto al Chianti Classico Terra di Lamole.

LAMPI D’AUTORE NEI 2005….

Nella piccola escursione – mirata – fra le selezioni 2005 si distinguono senza ombra di dubbio Castello di Ama, con il vino (omonimo) dalla finissima trama e dal melodico componimento, di cui ovviamente sentiremo riparlare; Il Borghetto, una piccola, nuova realtà (area San Casciano in Val di Pesa) da tenere bene a mente, che con il suo Chianti Classico Bilaccio ci offre un ragguardevole esempio di vino sfumato, caleidoscopico ed elegante (ribadendo gli asserti del fulgido Riserva 2004); San Fabiano Calcinaia con la nuova Riserva Cellole, che non è così distante dalla prova autorevole della annata precedente. Un po’ sotto le aspettative Castello di Fonterutoli, dove la celebre selezione resta per adesso marcata stretta dal rovere al punto da non disvelare appieno il potenziale di cui spesso è dotata. Infine, buono ma non eccezionale il Riserva 2005 di Lilliano, più introverso rispetto al lirico e compiuto Riserva 2004, e come sempre caratteriale e rigoroso il Chianti Classico 2005 di Ormanni, al quale dovremo concedere tempo per meglio rintuzzare le proverbiali (e passeggere) riduzioni giovanili.

…….E RISERVE 2004 DA RICORDARE

Una ventina di assaggi -orientati perlopiù verso quei vini che non avevo ancora assaggiato nel corso del 2007, visto che la loro immissione in commercio è stata posticipata rispetto alla media-, mi hanno fatto apprezzare un paio di vini eclatanti per compiutezza ed espressività, che più di altri mi pare abbiano raccolto i frutti di una annata propizia: Castello di Cacchiano realizza forse nel 2004 uno dei più grandi Riserva di sempre, con una focalizzazione e un disegno da grand vin, e non è da meno Riecine, che con il suo Riserva 2004 ci regala l’ennesima prova d’autore, tutta carattere e mineralità. Promette bene (anzi benissimo) il Chianti Classico Riserva 2004 di Ormanni, ancora in affinamento, in cui il sentimento del vino tradizionale, coi suoi raffinati fraseggi floreali, la tempra acida e la timbrica speziata non attende che i tempi giusti per manifestarsi appieno.

Il Chianti Classico Riserva Vigna del Sorbo 2004 di Fontodi deve ancora armonizzarsi, e non è una novità visto il carattere deciso dei vini della casa se colti in prima gioventù; conferme ci arrivano invece da Nittardi, il cui Chianti Classico Riserva 2004 conserva una delle materie più belle e “ben tessute” dell’anno a fronte di una fase evolutiva nella quale il timbro aromatico del rovere nuovo si affaccia con una certa decisione al naso, rendendolo meno sfaccettato che non qualche mese fa. Niente male il Chianti Classico Riserva Vigna del Capannino 2004 di Bibbiano, in cui tenerezza ed austerità trovano un punto d’incontro stimolante, e niente male il Chianti Classico Riserva 2004 di Castello di San Sano, per via della beva e dell’equilibrio. Infine, vino atteso, il Riserva Monna Lisa 2004 di Vignamaggio offre un’anima “sangiovesa” conclamata e una purezza manifesta nel tratto espressivo, anche se mi è parso ancora timido in fatto di espansione.

FERNANDO PARDINI

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