La tecnica del sovescio

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Partiamo da una considerazione preliminare: la produzione di concimi chimici è onerosa per l’ambiente tanto quanto il loro uso. In particolare i concimi azotati hanno come fonte principale l’azoto atmosferico. Esso attraverso un processo produttivo molto dispendioso, sia dal punto di vista energetico che ambientale, viene trasformato in urea e in acido nitrico che, successivamente, reagendo con vari cationi o anioni danno i sali utilizzati in agricoltura. Tale azoto poi deve essere trasportato, incorporato nel terreno e successivamente gestito, dato che molto velocemente si perde nell’atmosfera o nelle falde. Pensate invece ad un sistema biologico che vive accanto alla vostra pianta da concimare, che cattura l’azoto dall’aria senza richiedere energia a voi, che quando è il momento potete rilasciare ai piedi delle piante coltivate senza consumare energia per trasportarlo e distribuirlo; un processo in cui difficilmente l’azoto prodotto potrà disperdersi nelle falde o inquinare l’aria. Un sogno? No il sovescio!

D’altra parte la tecnica del sovescio fa parte dell’agronomia classica da quando ancora non vi era l’apporto di concimazioni chimiche alle colture e quando, soprattuto, la fertilità aziendale veniva gestita tutta attraverso i prodotti derivati dall’azienda stessa. Alla base della tecnica del sovescio stanno le leguminose. Esse, attraverso batteri simbionti delle radici, catturano l’azoto atmosferico e lo rendono disponibile per l’assimilazione della pianta che lo utilizzerà per la propria crescita. Tale azoto, accumulato in tutte le parti della pianta, sarà disponibile alla coltivazione che vogliamo “concimare” interrando le leguminose coltivate, delle “trappole” per l’azoto atmosferico. Ma il sovescio come tecnica generale porta con se altri ed importanti vantaggi, infatti le leguminose:

  • contengono l’erosione mediante la copertura del suolo;
  • migliorano la struttura del suolo;
  • contengono le malerbe e alcune hanno proprietà biocide nei confronti di funghi parassiti, nematodi e alcune malerbe;
  • limitano la perdita per dilavamento dei nitrati non utilizzati dalla coltura precedente.

Ma quanto azoto può essere prodotto da un buon sovescio? Il calcolo va fatto sulla sostanza secca e sul suo contenuto medio di azoto: si calcola il prodotto ad ettaro, la sua sostanza secca e il contenuto medio di azoto attraverso tabelle derivate da lavori sperimentali già presenti negli anni trenta e di nuovo confermanti negli anni ’90. Ecco di seguito un esempio.

Sostanza fresca Sostanza secca Azoto
300 ql/Ha 50,6 ql/Ha 219 kg/Ha

Tabella 1:sostanza fresca, secca e azoto totale per ettaro per un erbaio di Veccia Vellutata.

Ma una obiezione comune e che c’è bisogno di molto tempo per accumulare contenuti di azoto significativi per le colture, e anche questo va sfatato: in prove condotte in periodo autunnale e primaverile si e rilevato che in soli 42 giorni di coltivazione si accumulano, per fare un solo esempio, anche 100 kg di azoto per la veccia vellutata a 10°C.

Specie e temperatura N fissato in 42 gg. kg/Ha

Veccia Vellutata (Vicia Villosa )

10 °C

20 °C

100

46

Favino (Vicia faba L.)

10 °C

20 °C

154

136

Trifoglio bianco (Trifolium repens L.)

10 °C

20 °C

20

39

Trifoglio incarnato (Trifolium incarnatum L.)

10 °C

20 °C

43

54

Tabella 2: azoto fissato in 42 giorni da varie leguminose in funzione della temperatura.

Si vede così che è possibile produrre anche con basse temperature notevoli quantità di azoto in tempi brevi. Ottima cosa ma questo azoto è intrappolato nella pianta: quando arriverà a disposizione della pianta e a quanto letame corrisponde?

Alla prima domanda rispondiamo che la trasformazione della sostanza organica (come spiegato in un nostro precedente articolo) è a carico degli organismi viventi contenuti nel terreno, che hanno nelle proteine e nella parte di carboidrati i loro principali sostentamenti. Dunque, se le temperature lo consentono, la decomposizione della sostanza organica e la sua trasformazione in umus labile si può verificare anche in poche settimane, con un andamento simile a quello schematizzato nei grafici seguenti.

Come si vede dall’ultimo grafico l’azione di miglioramento della struttura del terreno e della sostanza organica nel breve periodo in caso di sovesci è quasi paragonabile a quella di altri sistemi di fertilizzazione organica delle colture, ma si perde velocemente nell’arco di pochi mesi non essendo paragonabile per produzione di umus stabile a quella del letame.

E veniamo così alla seconda domanda: a quanto letame corrisponde un sovescio? Facciamo brevemente due conti: se consideriamo un contenuto medio del 5 ‰ di azoto nel letame avremo che, per avere una equivalenza di azoto nel terreno pari ad un sovescio di Veccia Velluatata ad ettaro (che apporta 219kg di N), dovremmo apportare ben 219 x 2 = 438 ql di letame. Con lo svantaggio che l’azoto disponibile dalla mineralizzazione del letame sarà diluito in molto più tempo ed andrà a rendersi disponibile in periodi, pensiamo alla vite, nei quali la disponibilità eccessiva di azoto potrebbe ridurre la qualità e provocare un allungamento del periodo di maturazione.

Dunque il sovescio, come intelligente pratica agronomica capace di ridurre l’inquinamento, ottimizzare le risorse biologiche e fornire vitalità al terreno, sempre più in affanno per prodotti chimici ed eccessive lavorazioni.

4 febbraio 2008

Lamberto Tosi

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