Attendendo mediTERRAnea. Sicilia, l’isola che c’è

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Attraversato idealmente lo stretto di Messina, incuranti e affascinati dal pericolo mitologico e romantico di Scilla e Cariddi, approdiamo sull’isola che, con tutta la sua storia, le sue tradizioni e la sua cultura, davvero c’è.

La vocazione alla coltura della vite in questa regione, trova conforto nello storico ritrovamento di “ampelidi” fra Agrigento e l’Etna, che testimoniano la presenza di vite selvatica già nell’Era Terziaria.
Ma la storia enologica siciliana ripercorre esattamente quella di tutte le regioni fin qui presentate, quelle dell’antica Magna Grecia: introdotto nel Mediterraneo dai Fenici, il vino conobbe il grande sviluppo con la colonizzazione greca fin dall’VIII sec. a.C. e fu poi protagonista sui triclini dell’Impero Romano dal III sec. a.C. Il cristianesimo, che seguì nei secoli successivi, consentì un’ulteriore affinamento delle produzioni, grazie al lavoro di tanti monaci ed alla spinta della Chiesa; successivamente, la dominazione musulmana dell’800 azzerò la produzione del vino, favorendo comunque la coltivazione dell’uva da tavola.

In seguito, con la dominazione Angioìna ed il successivo controllo da parte della corona Aragonese, la cultura enoica ritrovò propulsione e arrivò a conoscere un momento di grande diffusione dal 1773 grazie al lavoro di una figura emblematica e determinante come quella dell’inglese John Woodhouse, il quale diffuse il vino Marsala, sostenendone la commercializzazione su vasta scala e rendendolo il prodotto più famoso e diffuso. L’arrivo della fillossera, un secolo dopo, sconvolse le colture dimezzandole di fatto, poi, nella prima metà del ‘900, il fenomeno della migrazione di manodopera oltreoceano acuì l’impoverimento della forza lavoro che, solo grazie alla costituzione delle cantine sociali, si salvò dalla totale scomparsa.

Oggi la Sicilia può vantare una superficie vitata ai vertici nazionali per estensione ed è una delle regioni con la più alta produzione vinicola. Come spesso accaduto nelle realtà del mezzogiorno, il movimento del comparto si è sostenuto a lungo con la produzione massiccia di vini da taglio, ma anche in questa regione, da almeno quindici anni, si è avuta la svolta qualitativa verso prodotti più curati e raffinati, che stanno conquistando posizioni di prestigio nelle varie fasce di mercato in Italia e all’estero. In ordine a questa positiva evoluzione, certamente ha contribuito l’introduzione di vitigni internazionali che, adattatisi mirabilmente alle favorevoli condizioni pedo-climatiche, hanno stimolato il confronto con i vitigni autoctoni, favorendone la rivalutazione e palesando così la bontà ed il potenziale del territorio.

Ben ventidue le DOC riconosciute, con uno sviluppo normativo in continuo mutamento, di quest’anno è la modifica al protocollo che regola la DOC Noto (ex Moscato di Noto) perseguita dai produttori del siracusano. Non ultimo invece, il riconoscimento della prima DOCG della Sicilia: il Cerasuolo di Vittoria, naturale evoluzione della DOC Vittoria, fortemente voluto dai numerosi produttori del ragusano, che hanno visto così nel 2005 l’adeguamento del disciplinare, volto all’assegnazione di questo riconoscimento che sancisce la grande proiezione del comparto siciliano verso traguardi sempre più meritori.

La vastità dello scenario enologico siciliano è figlia di un territorio vitato altrettanto ampio, che si sviluppa lungo l’intero perimetro della Trinacria, a dire vero concentrandosi più negli angoli dell’ideale triangolo formato dall’isola. Le colture godono qui del clima mediterraneo secco che, sulle colline digradanti verso il mare, beneficiano inoltre della proverbiale ventilazione cui sono soggette proprio le isole. Poche le incursioni verso l’interno, se così possiamo dire, come quella della DOC Contea di Sclafani nel palermitano, come pure la nicchia della citata Noto, o quella della più celebre Contessa Entellina, resa ormai illustre dall’opera dell’azienda Donnafugata.

La DOC Santa Margherita di Belice è invece l’espressione di una piccola area vocata dell’agrigentano, di fatto confinante con la dirimpettaia e recente Salaparuta a sua volta nel trapanese.

La denominazione più conosciuta rimane comunque ancora quella del Marsala, un vino noto in tutto il mondo che si pone in una fascia di mercato prestigiosamente agguerrita e nobile, che l’accomuna ad altri vini speciali come il Porto, lo Sherry e o il Madeira. La cantina Florio rappresenta un’icona per questa tipologia di prodotto.

Altri vini dolci o passiti, unitamente al Marsala, rappresentano una percentuale decisamente incisiva nel panorama vinicolo regionale: nel messinese (dove risiedono anche le DOC Faro e la recente Mamertino) troviamo l’arcipelago delle Eolie, con la DOC Malvasia delle Lipari in grado di regalare pregevoli bianchi da dessert o da meditazione, che vedono in Hauner un produttore storico. Allo stesso modo e con altrettanto prestigio, l’isola di Pantelleria è la culla di un’altra vera perla enologica, sia per la grande cura e pazienza necessarie per la particolare coltura e la faticosa vendemmia dello zibibbo, sia per l’applicazione di tecniche di vinificazione dalla tradizione antichissima, che rendono possibile la produzione del Passito di Pantelleria. Da anni Donnafugata produce il pluridecorato Ben Ryè, ma non vanno trascurate realtà più piccole come Solidea, capaci di grande passione e qualità. Altra espressione del moscato la troviamo con la DOC Moscato di Siracusa, ennesimo esempio di ottimo vino dolce.

Per completare la panoramica sulle denominazioni riconosciute in Sicilia, troviamo in provincia di Caltanissetta la Riesi, la DOC Etna nel catanese, poi l’Alcamo, la più estesa nel palermitano. Quindi DOC meno estese, ma anch’esse rappresentate da belle realtà aziendali, come la Sciacca, la Sambuca di Sicilia e la Menfi; ma anche Delia Nivolelli, Eloro, Erice e Monreale.

Alla base di questo enorme patrimonio enoico, l’ampia gamma di vitigni coltivati che concorrono a questa variegata produzione. Fra i vitigni autoctoni, peso decisivo nei rossi assume il nero d’Avola, alla base della DOCG Cerasuolo coadiuvato da frappato, e poi perricone e pignatello, i nerello, ma anche il sangiovese. E certo non mancano i vitigni internazionli, con gran successo per syrah, cabernet e merlot. Per i bianchi, oltre alle citate uve da appassimento, troviamo il cataratto, l’insolia (o ansonica) e il grillo, specialmente ad ovest, ma anche trebbiano toscano, grecanico e carricante. E poi, naturalmente, chardonnay, sauvignon, viognier, persino müller thurgau.

Insomma, uno scenario estremamente composito e ricco di realtà interessanti, grazie a produttori incredibilmente bravi e coscienziosi che sempre più stanno scalando le vette della vitivinicoltura di qualità. Donnafugata, Solidea e Florio le abbiamo citate, ma come non aggiungere Calatasi, Planeta, Rapitalà, Duca di Salaparuta, Tasca D’Almerita, Settesoli? Solo per iniziare dalle più “grandi” e poi, in ordine sparso, Alessandro di Camporeale, Cantine Barbera, Morgante, Cottanera, Caruso e Minini, Gulfi, Fondo Antico, Terre Nere, e tanti altri. Tutti protagonisti di questa immensa tavolozza di aromi e sapori, di colori ed emozioni, produttori che ci onoreranno della loro presenza a mediTERRAnea, dove ci regaleranno veri “sorsi di Sicilia”.

La mappa delle doniminazioni della Sicilia è tratta dal sito www.lavinium.com; immagine satellitare durante l’eruzione dell’Etna nel 2002, da commons.wikimedia.org

Riccardo Brandi

Riccardo Brandi (brandi@acquabuona.it), romano, laureato in Scienze della Comunicazione, affronta con rigore un lavoro votato ai calcoli ed alla tecnologia avanzata nel mondo della comunicazione. Valvola di sfogo a tanta austerità sono le emozioni che trae dalla passione per il vino di qualità e da ogni aspetto del mondo enogastronomico. Ha frequentato corsi di degustazione (AIS), di abbinamento (vino/cibo), di approfondimento (sigari e distillati) e gastronomia (Gambero Rosso). Enoturista e gourmet a tutto campo, oggi ha un credo profondo: degustare, scrivere e condividere esperienze sensoriali.

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