Fondo Antico, ovvero dell’evoluzione siciliana

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Siamo a Marsala, per l’edizione 2008 di Sicilia en primeur. Marzo è all’inizio ma la pioggia e il vento freddo non ci fanno ancora godere della primavera mediterranea. A Fondo Antico arriviamo di prima mattina, ad accoglierci il proprietario Giuseppe Polizzotti e Agostino Adragna che anima l’immagine commerciale dell’azienda dopo essersi, in passato, anche occupato della campagna, “ma ora siamo cresciuti e per fortuna abbiamo Lorenza che si alza la mattina presto per andare a vedere come sta l’uva.” Lorenza è Lorenza Scianna, 31enne enoagronoma dell’azienda, coadiuvata da Vincenzo Bàmbina, ispiratore di molti dei nuovi vini isolani.

Un gruppo piccolo, giovane e coeso (ci “scusi” Polizzotti se lo abbiamo messo tra i giovani pur non conoscendo la sua età anagrafica, questa è l’impressione che ci ha dato) alla guida di una azienda che potremmo definire paradigmatica dell’evoluzione della vitivinicoltura siciliana degli ultimi quindici anni. Si parte infatti dall’inizio degli anni ’90 (come riferimento possiamo ricordare che il progetto Planeta, pensato a metà anni ’80, arrivò sul mercato con l’annata ’95), quando l’azienda coltivava a tendone e vendeva l’uva alle cooperative. E il primo passo è quello che va per la maggiore all’epoca, si impiantano vitigni internazionali, ma la cosa non dura molto e “osservando territorio e mercato,” spiega Adragna, ” si torna indietro e, finalmente, nel 2002 si conclude la costruzione della nuova cantina e iniziamo a fare i vini come meglio credevamo.” Nel frattempo ci si innesta su un’altra moda del momento, un altro passaggio obbligato, l’utilizzo del legno, possibilmente piccolo e nuovo, ma anche questo è un passo momentaneo perché poi “torniamo a credere nell’uva e ci concentriamo sulla vigna con la passione che Lorenza saprà sicuramente trasmettervi.”

“La cosa più importante è l’igiene.” Così attacca Lorenza accompagnandoci in cantina, il suo regno, una cantina “semplice, che non pensa all’immagine, ma che è costruita secondo criteri di linearità per valorizzare il lavoro, molto più complesso, che facciamo in vigna, sui quasi cento ettari attualmente in produzione.” Un esordio positivista, da fede in una scienza esatta di trasformazione dall’uva al vino, ci infonde una iniziale diffidenza che però dura poco, il tempo di percepire la foga, il coinvolgimento, il pathos con cui Lorenza ci parla dei vini di Fondo Antico, dei vini che Bàmbina immagina, ma che lei <fa>!

La cantina mostra in effetti una disposizione molto razionale e pulita, e anche una dimensione considerevole, che può sopportare anche più delle 300.000 bottiglie attualmente prodotte. Si parte dalle due grandi presse pneumatiche, due linee separate per vini bianchi e vini rossi, e poi si prosegue con tutta una serie di vasi in acciaio, completamente integrati in una catena del freddo che parte dall’utilizzo di ghiaccio secco per l’abbattimento di temperatura dell’uva bianca, che viene poi pressata e macerata per due/tre ore sulle bucce a circa 5 gradi centigradi. Diversa naturalmente la sorte dei rossi, che possono macerare fino a 50 giorni, a seconda del vitigno e delle condizioni dell’uva, ma che comunque vengono tenuti anch’essi sotto controllo termico.

Due grandi secchi pieni di una mucillagine giallognola attirano l’attenzione dei presenti e questo fa la felicità di Lorenza, che prende subito un bicchiere e rompe la pellicola che sigilla i secchi per farci odorare le fecce che sono appena state separate dal vino, e che saranno portate in distilleria per recuperare l’alcol residuo. “Sentitene il profumo! Noi manteniamo il vino a lungo sulle fecce, ma tenendole in sospensione e non lasciando che si depositino sul fondo, per evitare un ambiente asfittico. Sono cristalli di tartarato e le spoglie dei batteri, dei lieviti, sostanze azotate e proteiche che ingrassano il vino e che fungono da conservante proteggendolo dall’ossidazione. Ci sono già naturalmente e così non dobbiamo aggiungere nulla e il vino si chiarifica da solo.” “E sì,” risponde alla mia domanda, “i lieviti sono selezionati perchè il processo di fermentazione deve avvenire più linearmente possibile.”

La razionalità di Lorenza e quella della cantina sembrano duali, quasi fredde, ma, man mano che il discorso prosegue, la retorica diventa più calda, coinvolta, affirmativa. Lasciamola parlare anche se, sottovalutando la sua forza comunicativa, riprende schernendosi: “fare marketing con le mie parole è difficile, io posso raccontarvi come è andata l’annata e spero che quello che dico possa essere ritrovato nei vini. E’ stata una vendemmia difficile che ci ha fatto trepidare, abbiamo avuto muffe, peronospora, ma posso serenamente dire che nonostance ciò abbiamo raccolto tutto e raccolto bene, per l’attenzione che abbiamo avuto nei confronti della pianta. Vinificare le proprie uve e avere confidenza con i vigneti significa poter dare uno stile aziendale ai vini e vogliamo per quanto possibile mantenere invariate le tecniche di vinificazione perché solo l’annata faccia la differenza. Ci dobbiamo avvicinare di più al mondo vero del vino.” e qui Lorenza si infiamma, si scioglie i capelli, ora le sue frasi, rallentate dalla traduzione per gli ospiti stranieri presenti, sono proclami, scandite con incantevole accento palermitano, vere dichiarazioni di fede.

Fede nell’uva ora, non nella scienza come ci era sembrato di capire, perchè “non vogliamo stressare i lieviti, è facile ottenere aromi estremi, abbassando la temperatura o aumentando la riduzione, ma non vogliamo farlo, vogliamo mantenere il più possibile la natura dell’uva. Abbiamo deciso di vivere di più la Sicilia, concentrandoci sulle nostre varietà, e abbiamo ottenuto una risposta bellissima, specialmente in condizioni difficili, quando le varietà tipiche rispondono meglio delle altre, ed è ovvio visto che sono compenetrate col territorio, lo conoscono geneticamente.”

Arrivano i vini, e si parte dal campione di botte del Grillo Parlante, annata 2007. Un vino “inventato” da Bàmbina, quando decide di fare un vino “nuovo” dal grillo, fino ad allora utilizzato per il Marsala, raccogliendo a 19/20 babo (non troppo maturo) e vinificandolo come un vino vivo, innervato, fresco. Ecco quindi il Grillo Parlante, che “parla del vitigno” e che, in questo momento, con i lieviti ancora in sospensione, offre una laccatura evidente e note di confettura di limone, albicocca acerba e tanta freschezza. La bocca è grassa, ma qui i lieviti confondono ancora troppo il quadro e passiamo quindi all’annata 2006, di colore paglierino limpido e 13,5%. Minerale, idrocarburico, si apre su note penetranti di buccia di pesca, sfuma in afflati marini. In bocca è sapido, forse la sua caratteristica migliore, ma anche teso e persistente, molto piacevole.

Il secondo vino ci offre un tentativo di maggiore complessità, il Coro 2007, sempre grillo ma fermentato e affinato in botte grande d’acacia. Un procedimento che esalta le note fruttate, aggiungendo una leggera mieliatura, tipica di questi legni. Al gusto ci pare più grasso del precedente, ma il vero confronto avviene col Coro 2006, il vino pronto che ha passato sei mesi in botte, fermentazione compresa, e oltrepassa i 14,5 gradi alcolici. I profumi sono di confettura di limone, ginestra, miele e all’assaggio il contrasto tra gli aromi dolci e il palato asciutto, che sempre accompagna i vini secchi affinati in acacia, è qui appena percepibile, subito assorbito da una bella sapidità che invade il campo e regge la sensazione gustativa affiancando la spiccata vena acida.

Il passaggio ai rossi è graduale, con un rosato che troviamo particolarmente piacevole, anch’esso un campione di vasca, di 13 gradi alcolici, da nero d’Avola. Una nottata di macerazione sulle bucce a 5 ºC dà al vino un colore carminio tenue e vivo, e una freschissima aromaticità. Rosa canina e fragola si associano a note verdi e minerali e si ritrovano in una bocca assai in linea, che non mostra cedimento alcuno e regala un frutto bellamente nitido.

Siamo ai rossi, all’unico che assaggiamo, è un syrah ma Lorenza parla in generale dello stile che preferisce “non vogliamo marmellate o vini piacioni. ogni Nero d’Avola è giusto che parli del proprio territorio, la Sicilia è eterogena.” Detto fatto, il Syrah 2007, 13 gradi e mezzo, sta già per essere commercializzato e sfodera profumi elegantemente delineati in cui la nota pepata e verde, di rovo, tipica del vitigno, si associa a una fresca caramella di ribes. Un vino teso, come gli altri del resto, con una persistente sapidità, una beva piacevolmente semplice, un tannino scintillante.

Chiude la veloce rassegna il Bocca d’Oro 2007, ancora dalla vasca, grillo e moscato surmaturi. Sa di buccia di cedro candita, menta e idrocarburi. Il colore è giallo, ottone diremmo, e in bocca piace il contrasto vivo tra la freschezza del frutto e la dolcezza moderata ma zuccherosa, sembra di mangiare un confetto: mandorla e zucchero vaniglia.

Salutiamo, altre aziende ci attendono, un lungo tour che durerà dodici ore complessive, ma questi vini non li dimenticheremo presto, per il messaggio che portano, quello del raggiungimento di una stile che vorremmo diventasse quello dell’intera isola, per la prosa e i gesti di Lorenza Scianna, che credendo di non saper comunicare si è impressa indelebilmente nella mente di tutti i presenti.

Fondo Antico
Via Fiorame 54/a
91020 Rilievo (TP)
Tel. 0923864339
www.fondoantico.it

Immagini: Agostino Adragna e Giuseppe Polizzotti, vinificatori in acciaio, Lorenza Scianna, il Coro, i vini

Luca Bonci

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