Senza compromessi. Kurni, la verticale completa (1997-2005)

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La lunga sterrata che si incunea decisa in quella valle verdissima e stretta, lasciando dietro sé la litoranea che separa (o forse no) Cupra Marittima dal mar Adriatico, ti offre uno spaccato sincero e senza filtri della terra picena. Non ne avrai di rimando le visioni estatiche -ma a volte fin troppo educate – tipiche di una certa Toscana, perché qui spesso i vecchi casolari portano addosso le ferite di una incuria malcelata o di forzati abbandoni (ma quanto fascino in quelle linee semplici, in quella materia sbrecciata piena di senso) o in altri casi soffrono maledettamente il restyling poco ispirato di chi ispirato evidentemente non lo è. Eppure hai il conforto di una natura amica, che è riuscita a preservare molte delle sue originarie peculiarità: piante, insetti, biodiversità. La valle è chiusa a ovest dalla collina di Ripatransone (500 metri slm), a est si apre generosa al mare. Le escursioni termiche qui non sono uno scherzo. Nel frattempo ti accorgi che la strada se ne sale dolcemente con continuità fin sopra i 300 metri per proseguire poi in altipiano, o en corniche, come ci direbbero i francesi. Da lì il panorama che si gode sul Piceno campagnolo crea vertigini e felici turbamenti. Da lì capisci come l’agricoltura non sia mai stata intesa come monocoltura (che è anche monocultura); da lì capisci anche come il passato non sia affatto distante. Sei certo che in questi luoghi il tempo abbia sofferto (o goduto) le sue belle aritmie, concedendosi ogni tanto meritati riposi. Da tutto questo la natura sembra esserne uscita rinfrancata. Ti guardi attorno ed è proprio un bel vedere.

Accade così che in questo angolo di terra marchigiana nature e senza fronzoli abbiano scelto di esprimersi l’estro e la passione di Marco Casolanetti e della sua compagna Eleonora Rossi. Marco proviene da San Benedetto del Tronto, che sta a un passo, Eleonora è nata proprio lì. Studi di ingegneria alle spalle per lui, accademia di arte drammatica per lei, strade presto disattese per amor di terra: sono stati infatti l’amore incondizionato per il vino e per certe vigne novantenni di montepulciano appartenenti alla genia dei Curnì (questo il nomignolo affibbiato dalla gente del posto alla famiglia di Eleonora) che li ha fatti approdare ad una vita nuova. E fa un po’ strano pensare che, a distanza di una decina di vendemmie da quella svolta esistenziale, il solo nominare Oasi degli Angeli, il nome della loro azienda agricola/agrituristica, faccia sdilinquire di passione parecchi wine lovers di casa nostra e anche oltre. Fa un po’ strano finché non rifletti un attimo sulla concausa che ha dato una piega insolita a questa storia contadina, finché cioé non pensi a Kurni, al loro vino simbolo, un Montepulciano in purezza talmente individuo e viscerale che fin dalla sua prima uscita non ha ancora smesso di spaginare e (s)travolgere cuori e convinzioni.

Eh sì, proprio lui: Kurni, ovvero il montepulciano senza peli sulla lingua, tradotto con tutta la forza e l’irruenza del vino senza compromessi, che sposi in campo una agricoltura naturale fatta di scelte agronomiche decise (densità altissime d’impianto per bassissime rese, peraltro non forzate ma semmai instradate da potature a secco tese a conservare soltanto due gemme a pianta) ed in cantina una vinificazione senza interventismi (solo lieviti indigeni, non la solforosa aggiunta, non gli enzimi, non le chiarifiche o le filtrazioni) da effettuarsi in barriques nuove di rovere francese. Il tutto governato da una idea di ruralità consapevole che i proprietari incarnano con sincerità e trasporto, al punto che il proverbiale pragmatismo di Marco, assieme alla vocazione “olistica” e pasionaria di Eleonora, sembrano trovare inusuali quanto illuminanti sintonie.

Il montepulciano, si sa, è un vitigno rustico ma con tanti attributi: colore, zuccheri, estratti. La viticoltura estrema di Marco, con le rese da Sauternes da un lato (tanto per essere chiari, da 9 ettari di vigneto ne ricava mediamente circa 6000 bottiglie di vino l’anno!) e una vinificazione “ossidativa” dall’altro (il 200% di legno nuovo, ossia un doppio passaggio della massa in legni piccoli per 9 mesi) portano in bottiglia un vino di oltre 15 gradi, con una magniloquente dote fruttata, una inevitabile densità e una cospicua carica tannica. C’è però il conforto di una acidità totale elevata, grazie a quella valle e a quel microclima, grazie al calcare attivo presente in quelle terre povere e sabbiose, capaci però di arricchirsi di limo e scheletro se sali fino ai 300 metri, dove ci stanno le vigne più vecchie.

Intendiamoci subito, Kurni non è un vino propriamente concessivo. Specialmente in giovane età. E se c’è un caso in cui l’apparenza inganna questo è il caso. Perché la presenza scenica da primattore non si adagia di certo su comodi cliché, e men che meno avrai la sensazione di trovarti di fronte ad un prodotto da “chirurgia enologica”. Perché – lo senti – hai materia viva sotto ai denti, e uva e calore ed energia, una energia realmente difficile da imbrigliare. Per questo Kurni chiede tempo e riposo. Per affinarsi e distendersi. L’impatto dolce del frutto – che è frutto rosso e distillato-, l’innata generosità e la potenza alcolica, la voluttà a tratti stordente del suo abbraccio così come la solida impalcatura tannica di cui dispone chiedono tempo per fondersi e concedersi più amichevolmente. A ben vedere però dimorano in quella straordinaria sua freschezza acida la spina dorsale ed il senso tutto, perché pur dichiarando senza pentimento i suoi naturali attributi non scade mai nell’eccesso fine a se stesso. E ti accorgi così che in fondo la dolce ossessione di Marco, ovvero la sua idea di montepulciano, corre funambola su un filo a mezz’aria, per cercare di instillare anno via anno la piccola scintilla miracolosa che attiene all’equilibrio nelle forme di un vino spregiudicato, che non rinunci ad una personalità “liberata” e senza filtri, selvatica e poco addomesticabile. Questa ricerca di equilibrio, giocando però su parametri alti (struttura, alcol, tannini,acidità), ha il suo contrappasso: il tempo. Solo nel tempo infatti i profumi si profileranno e il “muro” aromatico della prima ora si stempererà in un caleidoscopio fitto di sensazioni mutevoli. Solo nel tempo avrai circuizioni più sottili e cangianti, meno d’impatto ma più seducenti, in cui amarena sotto spirito, prugna, cioccolato, erbe selvatiche, humus, iodio, chicco di caffè, terra e spezie nobili sapranno fondersi e compenetrarsi. Solo nel tempo si smorzerà la pungente forza alcolica tipica della tenera età e si faranno più carezzevoli le trame. Ebbene, ecco che sulle benevolenze del tempo veglia matrona quella freschezza altisonante, ciò che ne consente l’attesa. Un consiglio amichevole perciò, comunque e sempre, è quello di non avere fretta. Tanto per essere chiari: Marco ha già commercializzato (e terminato) Kurni 2005, anche se mi vien difficile pensare di poterne godere appieno prima che siano passati 5 anni dalla vendemmia. Insomma, Kurni è uno di quei casi in cui vedrei salvifico un affinamento pluriennale come per un Amarone, un Brunello o un Barolo Riserva, ma è anche vero che spesso le esigenze di una piccola realtà agricola devono fare i conti con le altre, severe e irrinunciabili, del mercato. Se poi mi parli di vin de garage, di vino culto, allora purtroppo dovrò farmene una ragione: 5 anni di affinamento in cantina Kurni, forse, non li vedrà mai.

E comunque la verticale completa offertaci qualche giorno fa in azienda non ha fatto che confermare queste intuizioni. Di più, è stata molto utile per chiarirci da quali segni giovanili si possa “leggere” una evoluzione. L’assenza di aromi surmaturi, un alcol non prevaricante e tannini “coperti” dal frutto ci pare possano essere considerati i grimaldelli sensoriali di un giovane Kurni per intuirne un futuro radioso. Nel frattempo, da un ’97 compiuto, tonico ma non troppo profondo, dalla struggente malinconica bellezza di un ’98, dal portamento austero di un ’99, dalla beva invitante di un 2000 aperto e colloquiale, dalla splendente caratterizzazione del 2001 e dalla bella performance del 2002 siamo riusciti ad apprezzare la reale presa evocativa di quel vino, mutuata dal tempo, dall’affinamento in bottiglia e dalle variabili vendemmiali. Dal 2003 al 2005 non puoi che parlare -oggi- di materia viva e fremente, di costrizioni e spigoli, slanci e ritrosie. Di una selva cioé di sensazioni profonde quanto “pressurizzate” da cui emergono pur tuttavia la voluttuosa carnosità del 2004, l’equilibrio incerto di un calorico 2003 e la scalpitante energia del futuribile 2005.

Per concludere, direttamente dagli assaggi di botte, ho la sensazione che le annate a venire, 2006 e soprattutto 2007, non deluderanno affatto gli appassionati del genere. Infine, mi è apparso tutto da scoprire il raro grenache della casa, che sembra affidare alla leggiadria aromatica e ad una silhouette semmai più sfumata le “magnifiche sorti e progressive” di una seduzione di stampo nuovo. Ah, dimenticavo: i 9 Kurni della verticale, successivamente, hanno soggiornato nei bicchieri tutta notte. All’indomani nessuna incrinatura, solo e soltanto una presenza fiera e ribadita, indomita e orgogliosa. Da vero Piceno.

Kurni 1997

Dal rubino fascinoso e intenso, di buona tenuta cromatica (qui la tenacità della veste lascia spazio a qualche bella trasparenza), si offre in un assetto aromatico ampio ed etereo, fatto di amarena, prugna, fumo e distillato di ciliegia. La bocca è definita e di stoffa buona, morbida e accogliente, profilata e mentolata. Gli manca solo un pizzico di profondità in più. In altre parole, è bocca compiuta ma frenata nella caratterizzazione.

Kurni 1998

Naso magnetico, cangiante, ricco e caldo: sono terra e cacao, erbe, linfa e spezie. Fin da subito, nonostante gli ammiccamenti carbonici (passeggeri), ne comprendi il carattere e il senso. E’ vino verace, nobilmente speziato, sapido e contrastato, dotato di un lungo finale cremoso in odor di terriccio e allo stesso tempo fresco e incalzante. Con l’aria non smette di convincere: se ne escono la clorofilla e il profumo del finocchietto selvatico, e l’esprit quasi rodaniano dei sapori si fa ancor più seducente. Difficile dimenticarlo.

Kurni 1999

Colore profondo e deciso su profumi di corteccia, menta, china, Kirsch; bocca che fila via diritta, impettita e altera, pregnante e bellamente alcolica, tutta dignità e portamento. Forse non la profondità delle migliori edizioni ma riconoscibilità e fierezza ne marcano il passaggio.

Kurni 2000

Ampio, terroso, alcolico: qui hai – immancabili – confettura di ciliegia, visciole e menta. Bocca con attacco dolce del frutto poi un proseguio rinvigorito dalla corrente acida; ne apprezzerai ritmo ed accoglienza. Finale ancor tagliente ma di bel carattere; c’è un filo di evoluzione in più, forse un tannino meno infiltrante del solito, ma che beva!

Kurni 2001

Rubino profondo con unghia ancor violetta, pieno e tonico. Naso boschivo, caffeoso, intrigante, riflessivo e suggestivo. Qui una bocca di grande spessore, compatta da non fare una piega al tempo. Un tannino setoso, di stratosferica tridimensionalità e finezza, ne rende sontuosa la trama, importanti e futuribili gli sviluppi. E’ vino questo fremente e inarrestabile, di passo superiore.

Kurni 2002

Rubino profondo e scuro. Bella escursione aromatica, semmai trattenuta negli allunghi ma che annusi senza stancarti: kirsch, inchiostro, balsami e confettura di amarene. Bocca forte, potente, alcolica, dal frutto masticabile e gustoso. Sì, c’è dignità, tenuta ed equilibrio.

Kurni 2003

Il fiato alcolico, leggermente pungente, governa un’alternanza di note (fors’anche spinte) di frutto rosso maturo e risonanze vegetal-salmastre più algide e crude. Al palato attacca sinuoso e dolce- come suo solito – al punto che ne apprezzerai sul cammino pienezza e rotondità tattili, per poi irrigidirsi nel finale, quando la cospicua coltre tannica mostrerà i denti per rivelarsi “nuda” e graffiante. L’equilibrio ne risente.

Kurni 2004

Naso ben scandito, aperto, sontuoso, ricco, riconoscibile, che poco concede alle intemperanze dell’alcol: sono humus e lampone, visciole e amarena. C’è un filo di rovere ad accompagnare. Bocca fruttata, densa, volumica eppure non una mollezza, non una farraginosità nei paraggi. Forse un che di risolto nelle trame ma anche di inevitabilmente attraente, poi un finale dal tannino dolce e importante. A ben vedere c’è molta uva qui, masticabile e saporita.

Kurni 2005

Montepulciano “nudo e puro”, con screziature ancora vegetali; sono erbe amare, bacca selvatica, eucalipto e spezie ad innestarsi sul frutto primario dell’amarena. Buon volume tannico al palato per un finale gustosamente amaricante, di un vegetale nobile variegato al cioccolato. E’ uva nella sua irresistibile pienezza, questo è, ché quasi ti sembra di coglierne il turgore. Non un filtro, non una costruzione qui. Dopo un po’ se ne esce l’umore di torba, e con la torba un fiato più alcolico. Sì, è proprio giovane, ma val la pena attendere.

Azienda agricola Oasi degli Angeli – c.da S. Egidio, 50 – 63012 Cupra Marittima (AP) – Tel e fax 0735 778569 – email: info@kurni.it

La degustazione è stata effettuata in azienda nel mese di marzo 2008. Le bottiglie sono state stappate preventivamente 5 ore prima.

Foto, nell’ordine: uno dei tre appezzamenti di montepulciano della azienda (età 12 anni); panorama su Cupra antica e mare; Marco Casolanetti; straordinario esempio di vite maritata; bottiglie di Kurni in parata; bicchieri; Marco Casolanetti in degustazione.

FERNANDO PARDINI

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