Assaggi di Sardegna al Vinitaly: emozioni ad alta gradazione

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Nella frenetica giostra del Vinitaly lo stand della Sardegna, pur piccolo rispetto agli altri, si è distinto senza dubbio per la personalità innegabile di moltissimi vini: gradazioni alcoliche molto alte, vinificazioni tradizionali, nessun desiderio di inseguire le mode, ma piuttosto un istinto di adesione a una storia viticola propria e validissima. Questa è la grande ricchezza dell’enologia sarda. Ma c’era anche un altro elemento che spiccava: la serenità che attraversava i padiglioni, e che emanavano i vignaioli. Il giusto approccio per vivere bene il Vinitaly, senza che si trasformi in una bolgia dove i valori sono appiattiti dall’affollamento e dalla fretta.

Tra i vari incontri, raccontiamo quelli con tre produttori.

Antonella Ledà D’Ittiri
L’azienda, una realtà produttiva di recente creazione, è situata nella parte nord occidentale della Sardegna, a 3 chilometri dal mare, nelle campagne vicino Alghero. Coadiuvata dall’enologo Dino Addis, la famiglia D’Ittiri coltiva uve prevalentemente alloctone per i rossi: merlot, cabernet franc, sangiovese – ma sta per entrare in produzione una vigna a cagnulari -, e il classicissimo vermentino per i bianchi. Ancora non c’è una cantina dove vinificare, e per questo le uve vengono raccolte, caricate su camion refrigerati e vinificate ad Olbia. La speranza è che gli inghippi burocratici non ostacolino ulteriormente la realizzazione della cantina di proprietà, e tutto il processo di produzione possa esser fatto internamente.

Antonella spiega che la scelta dei vitigni era in origine dovuta al progetto di aderire alla cooperativa di Santa Maria la Palma. Le cose poi non sono andate in quella direzione, ed è quindi nata la scommessa di produrre i vini in proprio.

Gli assaggi.

Vermentino di Sardegna Vi Marì 2007
Il nome è catalano (la lingua parlata ad Alghero), e significa “vino di mare”. È un classico vermentino dalla grande sapidità e freschezza, forse con qualche aspetto da perfezionare nello sviluppo gustativo.

Margallò 2006 (14°)
Il nome è quello (sempre in catalano) della palma nana, tipica pianta di spiaggia. Da uve merlot (60%), sangiovese (30%), cabernet franc (10%). La macerazione sulle bucce è di 10 giorni, poi l’affinamento successivo viene svolto in acciaio. Si presenta rubino brillante, e con un naso caldo caratterizzato da note erbacee.

Ginjòl 2006
Si pronuncia “gingiùl”, ed è il nome del frutto del margallò. Da uve 95% merlot con un saldo di cabernet franc. È alla sua prima uscita. Naso caldo ma più discreto e fine del Margallò, anche qui si riscontrano note erbacee, ma molto discrete e piacevoli. Ha gran corpo e promette bene per il futuro. In questa versione è affinato in acciaio, in futuro, quando la cantina sarà pronta, farà un passaggio in botte grande. Vino (e azienda) da tenere d’occhio.

Alberto Loi
È un’azienda dell’Ogliastra (zona centro-orientale della Sardegna, a sud di Arbatax). Dal 1950 dapprima il fondatore Alberto Loi, poi i cinque figli, producono e commercializzano i vini dei propri vigneti che si estendono su circa 50 ettari in località Cardedu. La posizione geografica, con il mare a pochi chilometri a est e le colline a ovest, danno a questi territori una marcia in più, rendendoli particolarmente adatti al vitigno principe della zona: il cannonau. È un piacere intrattenersi a parlare di vino con i Loi; colpiscono la cortesia e la grandissima competenza, oltre a una passione per il mestiere di vignaioli senza dubbio coinvolgente. Su tutte, due le caratteristiche aziendali che spiccano: i tempi di affinamento e le gradazioni alcoliche. Per quanto riguarda i tempi, i Loi puntano molto sulla lunghezza dell’affinamento in vetro dei loro vini: per questo, per la messa in commercio, in genere attendono un anno in più rispetto al disciplinare. Per quanto riguarda le gradazioni alcoliche… il loro pensiero è semplice: un cannonau che nasce in una zona vocata, non può aver meno di 13 gradi e mezzo.

Ecco gli assaggi:

Vermentino di Sardegna Therìa 2007 (13°)
Prodotto da vigneti a 400 metri di quota e a un chilometro e mezzo dal mare, al momento dell’assaggio ancora non messo in vendita, presenta un naso elegante e un palato reso grintoso dalla bellissima sapidità. Buon corpo, vino interessante.

Monica di Sardegna Nibaru 2005 (13°)
Un bellissimo rubino brillante, per un palato che si distingue nei toni morbidi. Il calore e la rotondità di questo vino sono a testimonianza dell’approccio dei Loi: rispetto per le caratteristiche più spiccate della varietà (per il Monica, quindi, la grande morbidezza fruttata) e lunga permanenza in vetro.

Cannonau di Jerzu Sa Mola 2006 (14°)
Per i vini di punta, l’azienda lavora “a cru”, selezionando le uve da specifici vigneti. In questo caso Sa Mola è un fiumiciattolo che scorre nei pressi delle vigne dove viene prodotto; la resa è di 60 quintali per ettaro. Si presenta con profumi fruttati caldi, resi complessi da una nota di rosa appassita. Bocca ben tesa, tannica sul finale; vino muscoloso e coinvolgente. Un vino notevole, ma che può risultare difficile da amare a chi cerca sensazioni lineari.

Cannonau di Jerzu riserva Alberto Loi 2003 (14,5°)
Da una particolare vigna in altura, nasce questo vino dal bellissimo rubino. L’annata particolarmente afosa ha costretto a una vendemmia a settembre, per così dire anticipata rispetto al normale, con sessioni di raccolta al mattino presto e alla sera. Ne è nato un vino assolutamente emozionante, al tempo stesso austero e caldo, quintessenza di mediterraneità. Tannini ben in evidenza, grande alcolicità, note di cioccolata sul finale. Un fuoriclasse nervoso.

Rosso Isola dei Nuraghi Astangia 2004 (14°)
Dal cru Cardedu, Cannonau in prevalenza, con vinificazione particolare: una parte dell’uva fa macerazione carbonica, poi un passaggio in barrique nuove per 10 mesi. Fresco e bevibilissimo.

Rosso Isola dei Nuraghi Tùvara (14,5°)
Tùvara è il nome di una pianta. Da vigne vecchie, cannonau in prevalenza con aggiunta di muristellu, bovale e carignano, è un vino etereo, potente e tannico. Da 10 a 14 giorni di macerazione, poi passaggio in barrique nuove per 16-20 mesi, quindi un passaggio in botti grandi per 4 mesi prima dell’imbottigliamento.

Rosso Isola dei Nuraghi Loi Corona 2003 (14,5°)
Cannonau, Cabernet Sauvignon e Carignano. Rubino cupo, denuncia tanta materia estrattiva, naso molto etereo e morbido. Morbidezza che si conferma in bocca, dove però si rivela più complesso e sfaccettato. Potente e succoso a centro bocca. Chiude caldo su note di frutta rossa fresca.
Giuseppe Sedilesu
Da Mamoiada, nel cuore della Barbagia e della zona del cannonau. È il portabandiera di vini senza compromessi: altissime gradazioni alcoliche, due soli vitigni coltivati, di cui il cannonau è il protagonista indiscusso. Cinque i vini presentati: quattro Cannonau di Sardegna DOC, e un bianco IGT assolutamente straordinario che, a testimonianza della sua singolarità, viene presentato a fine degustazione. Un dato en passant: l’azienda non si avvale di consulenti enologici.

Ecco la batteria dei vini:

S’annada 2006 (14,5°)
Tanto per intendersi 14,5 è la gradazione più bassa tra i vini di Sedilesu. Rubino caldo classico da cannonau, ha un naso discreto di frutti rossi e un ingresso in bocca morbido e dolce. Finale lungo e appagante.

Mamuthones 2006 (15°)
Vendemmiato nella prima decade di settembre, ha naso di frutta rossa, bocca succosissima e per niente stucchevole. È un vino affinato in tonneaux, naturalmente non filtrato.

Cannonau riserva Ballu Tundu 2005 (15,5°)
Denso nel bicchiere, dai profumi discreti, ha un ingresso in bocca morbidissimo, i tannini si fanno sentire ma sono sottili. Sensazioni retronasali eteree (e ci mancherebbe!)

Carnevale 2006 (15°)
Affinato in barrique, ha naso di frutti rossi freschi e di vaniglia. Morbido e fruttato, mostra un finale ancora un po’ discontinuo. Da aspettare.

Perda Pintà 2006 (16°)
Bianco incredibile. Da vigne di 60-70 anni, il vitigno non è ancora stato ben identificato geneticamente, ma localmente è chiamato granazza o vernazza (l’Università di Cagliari sta facendo delle ricerche in merito). Sfoggia un naso veramente peculiare di pietra focaia ed esteri, al palato mostra una sapidità monumentale, che lo rende bevibile nonostante il tenore alcolico da record per un bianco secco. Sapidità bilanciata dalla morbidezza sia alcolica, sia dal residuo zuccherino. Gran lunghezza in bocca. Un vino assolutamente unico.

Perda Pintà 2004
Il 2004 risulta più secco e complesso; sapidissimo, all’olfatto ricorda la mandorla dolce.

Nel complesso, vini al di là delle categorie tradizionali di perfezione tecnica: siamo completamente ad un approccio emozionale con il vino.

Assaggi effettuati durante il Vinitaly 2008.

4 giugno 2008

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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