I necci con la ricotta. Un fotoracconto

20
22435

di Paolo Rossi
Foto di Anteo D’Angiò

Novembre, eccoci. Nei negozi arriva la farina nuova di castagne, la farina dolce. Dai grossi sacchi di carta che ancora gli alimentari vecchio stampo e le agrarie tengono esposti, emergono odori inconfondibili, che risvegliano ricordi e sensazioni.

Con la farina di castagne in zone montuose come la Garfagnana e l’appennino toscoemiliano si fanno i necci. Dolce e profumatissima, questa farina può avere sia al gusto, sia in senso figurato, anche un lato amaro. Al gusto, il lato amaro deriva dalla qualità della lavorazione; se non viene eseguita con cura l’essiccatura delle castagne e la separazione della buccia del frutto (la pecchia, in certi dialetti), la farina acquista una nota amara e astringente, che la rende di scarsa qualità.

Il lato amaro figurato deriva dal fatto che, nelle aree appenniniche, parlare di quando si mangiavano i necci significa parlare dei tempi della povertà, di quando se non erano necci era polenta e aringa e viceversa. In certe zone il Pane Bianco era un miraggio che si mangiava poche volte all’anno, e che si pronunciava con le lettere maiuscole. Oggi per fortuna non è più così, ma è bene ricordare le origini delle cose.

Le uniche premure siano dunque tre, per fare i necci con la ricotta: trovare una buona farina di castagne nuova (si può fare la prova se è dolce mettendosene in bocca un pizzico), trovare una buona ricotta (meglio se di pecora), e procurarsi i… testi. Sì perché per fare i necci è indispensabile avere gli speciali attrezzi in ferro chiamati testi, che altro non sono se non due dischi assai pesanti in metallo con un lungo manico. Con 28 euro li si trova in ferramenta, fatti in serie; con 54 euro li si trova battuti al maglio. Il risultato è buono con entrambi.

Ecco come dalle mie parti hanno sempre fatto i necci.

Ingredienti: quattro. Farina di castagne, acqua, sale e ricotta. Per le dosi, naturalmente, si va “a occhio”. Poi tre cose per il procedimento: mezza patata, olio, rosso d’uovo.

Si mette la farina (meglio prima setacciarla) in una scodella, si aggiunge un pizzico di sale, e poi si versa acqua rimestando il tutto e facendo attenzione che non si formino dei grumi.

La consistenza che si deve ottenere è di un composto omogeneo, assai liquido.

A questo punto si scaldano sul fornello (o – molto più romantico – sul fuoco) i testi, e si prepara uno stratagemma per non far attaccare i necci ai testi: si prende una patata di piccole dimensioni, la si taglia in due e se ne infilza la metà con una forchetta.

Poi si mette in un piattino un po’ d’olio. Su un lato del piattino, si metterà anche una piccola quantità di rosso d’uovo.

La patata: avrà la forchetta come manico, e la parte del taglio all’esterno. Fungerà come attrezzo per cospargere i testi con l’olio e l’uovo.

Dapprima si intinge la patata nell’olio, e si strofina la parte interna dei testi.

Poi si intinge di nuovo la patata, “toccandola” leggermente nell’uovo, e la si ripassa velocemente sui testi caldi. L’uovo farà da vero e proprio antiaderente.

Quando i testi sono entrambi ben caldi, con un ramaiolo o con un cucchiaio si preleva una quantità di impasto (indicativamente mezzo ramaiolo, ma ci si regoli per approssimazioni progressive) e si versa su un testo.

Si copre con l’altro testo e si lascia a cuocere per un paio di minuti. Infine si girano i testi, si fa passare ancora un po’ di tempo e si controlla se, sollevando di poco il testo superiore, il neccio si stacca.

Si solleva poi il testo e si verifica la colorazione: il neccio non deve essere né troppo chiaro né troppo bruciacchiato; alla consistenza deve rimanere elastico.

Ecco il primo neccio. I successivi verranno più facili; ogni tanto una passata d’olio e uovo (poco uovo, altrimenti vien fuori una frittatina). C’è da badare che i testi si mantengano alla stessa temperatura, per evitare che uno si raffreddi e faccia appiccicare l’impasto, e uno si surriscaldi, e faccia bruciare il neccio.

Si prosegue, affastellando in una piletta i necci pronti, che così si manterranno caldi. Quando ce n’è a sufficienza, è il momento della ricotta.

La si dispone al centro e poi si arrotola il neccio, come un sigaro. E a questo punto i necci con la ricotta sono pronti. Meglio non farli raffreddare.

L’abbinamento al vino: di sicuro un vino rosso, giovane, non tannico né troppo potente. Un abbinamento classico è quello con il vino novello, in ogni caso con un vino giovane e profumato, meglio se contadino e con ancora una lieve nota abboccata.

E per finire… Le varianti.

Qualche vecchio contadino, se non c’è la ricotta, usa mangiare i necci semplicemente arrotolati, intingendoli in un piatto dove ha messo olio e parmigiano grattato.

Una variante più modernista? Provare a farli più sottili e croccanti, flambarli con la sambuca e servirli con del gelato alla vaniglia. Ma questa è tutta un’altra storia…

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

20 COMMENTS

  1. Paolo, ma sei tu? intendo dire il cuoco in fotografia..
    se si, organizziamo una serata acquabuona
    e in abbinamento?

  2. Da non disdegnare l’aggiunta di salame ( garfagnino, ovvio).
    Ricordarsi inoltre che con i medesimi testi si possono preparare necci di farina di granturco, si mangiano con rigatino e caciottini (valerianella) e focaccine di farina di grano tenero lievitate e non.

  3. Molto interessante sia la ricetta (voglio proprio provarla) sia l’idea del fotoracconto. Non posseggo i testi, va bene uguale una normale padella?

  4. @ Fabio: eh sì, sono proprio io… I necci mi piacciono un sacco. Forza, che la farina nuova è arrivata! Quando capiti in zona… Allora, in abbinamento… il novello della Lavis? O una bella bonardona? Una Barbera giovane? Lacrima di Morro d’Alba? Si accettano proposte! (e bottiglie!)
    @ Dome: caspita, che meraviglia. I necci di farina di granturco tu come li fai? Li voglio provare.
    @ lola: mah, per i necci veri ci vogliono i testi.. però c’è sempre una via d’uscita: metti dell’olio a scaldare in padella, ci butti un cucchiaio di pastella come quella dei necci e.. ecco pronte le frittelle di neccio.. Da mangiare sempre con una bella ricotta! Buon appetito!

  5. Ricetta stupenda ed meravigliosa l’idea della patata tagliata a metà così non si eccede con l’olio. Grande anche il consiglio del rosso d’uovo che permette che il neccio non si attacchi. Generalmente io i primi tre fatti con un padellino li dovevo buttare perchè si rompevano tutti. Grazie.

  6. Ciao,mi e’ piaciuto un sacco il tuo racconto sui necci .Mi piace l’dea del rosso d’uovo perche’ a volte e’ difficile,specialmente con i primi staccarli .Lunedi’ prossimo giorno che prendo la ricotta dall’unico pastore rimasto nella nostra zona,sara’ giorno di necci.

    Approfitto per chiederti alcune cose sul lievito madre.Perche’ quando lo lavoro una volta alla settimana e lo metto in un barattolo in frigorifero,dopo due giorni e’ lievitato tanto che esce fuori dal barattolo malgrado sia di quelli con la molla?

    Luca mi dice che sono una frana. Piacere di averti conosciuto saluti maria pelletti

  7. Grazie Lauretta! E allora buoni necci!

    E una saluto alla Maria! Sì, col rosso d’uovo non si attaccano, e uno sta più tranquillo, si può anche controllare di tanto in tanto se sono cotti sollevando il testo, e non si rompono.
    Sul lievito madre… secondo me è normale; anche il mio, dopo 2 giorni in frigo comincia a crescere un po’, anche se lentamente. Io parto da una pallina molto piccola, per quello non mi va fuori.
    Maria, mi raccomando, si avvicina il Natale, ora il lievito è tempo di metterlo alla prova con la cosa più difficile ma più buona: il panettone!
    Un caro saluto

  8. stesso procedimento dei necci ma con pastella di farina gialla, acqua, sale e un po’ di olio.
    se si hanno belle cotennone di prosciutto, si strusciano i testi con quel grasso.
    Quando fate i necci non vi scordate il “secchino”, l’ultimo neccio lasciato tra i testi a fuoco spento, che diventa come un brigidino di farina dolce e, naturalmente, spetta al più piccino della tavolata.
    Scusate l’esterofilia…provate i necci con il beaujolais

  9. Vorrei saperne di più sull’eventuale serata in abbinamento necci-vino
    @Fabio sei il Fabio di Vanni?
    @se la data e i partecipanti fossero concordi un po’ mdi lacrima potrei portarla anch’io insieme a altre due cosine
    Saluti

  10. una piccola variante per le frittelle,,,,, nell’impasto se volete aggiungete un po’ di uvetta sultanina e pinoli, provare per credere.

  11. O Valeria, ma non ti sfugge nulla!
    Per chi non vive nel mondo dei fascicoli, i piatti che sono nelle foto sono quelli di Deagostini, che adesso per me e la Valeria sono la “concorrenza”… Dài, la prossima volta metto sullo sfondo un trattore Hachette!

  12. Ciao Luvi. Tecnicamente penso che sia fattibile, ma secondo me oggi è un “ammattimento” un po’ ecccessivo. Spero di non sbagliarmi, ma la tecnica delle foglie di castagno è nata quando si usavano i testi tondi in terracotta arroventati sulla brace. Sulla terracotta grezza l’impasto si sarebbe attaccato, e qunidi c’era necessità di mettere qualcosa che evitasse l’inconveniente. E per di più le foglie davano anche un aroma particolare. Oggi però, se si usano i testi in metallo resi antiaderenti con l’olio (e l’uovo) o le cotenne di maiale, il problema dell’attaccamento dell’impasto non c’è più. Però se si vuol provare che aroma dà la foglia di castagno… perché no. Forza che fra poco arriva la farina nuova!

  13. Caro Pilade, se intendi i testi in terracotta, temo sia una ricerca molto difficile. Però non è detta l’ultima parola. Per queste rarità, potresti cercare in Garfagnana o in Lunigiana. In Garfagnana prova a chiedere a Andrea Bertucci, l’oste del Vecchio Mulino a Castelnuovo; è considerato “l’ambasciatore della Garfagnana gastronomica”, gran conoscitore di prodotti e produttori… Chissà, forse una dritta te la può dare. (http://www.vecchiomulino.info)
    In lunigiana, girando un po’ in rete, si scopre che in località Barco di Podenzana ci sono alcuni piccoli artigiani che realizzano i testi in terracotta per i testaroli. Eventualmente puoi farci un giro. (http://www.arpp.it/root/testi.asp)
    Buona ricerca e facci sapere se li trovi!

  14. Il mio più che un commento è un’informazione . Voi cultori del neccio sapreste indicarmi dove si possono trovare i testi in pietra ( selce?) da riscaldare sul fuoco del camino e poi usarli in abbinamento alle foglie di castagno seccate e poi messe a bagno . Tra voi vi sarà certamente chi più di me sa quanto sia buono e “fascinoso”un neccio fatto in quel modo……. Mangiato l’ultima volta a Vellano

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here