A Jerez de la Frontera la tradizione guarda al futuro

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di Francesca Bizzarri

È con uno stato d’animo molto difficile a descrivere che pubblichiamo questo articolo, bello ed esauriente, di Francesca Bizzarri, a pochi giorni dalla sua scomparsa. Ci aveva inviato la foto tempo fa, poi una maledetta malattia ce l’ha portata via. Andrea Gabbrielli, suo marito, lo ha trovato e ce lo ha spedito. Grazie di cuore da tutti noi.

JEREZ DE LA FRONTERA (SPAGNA) – Lo Sherry, o meglio il vino di Jerez de la Frontiera, evoca la Spagna più tradizionale, quella del flamenco, dei tori e dei cavalli andalusi. La visita alle bodegas storiche, non solo è affascinante dal punto di vista storico ed enologico ma rivela una grande fermento di iniziative e progetti per dare sempre maggiore visibilità ad uno dei marchi più antichi della Spagna (l’anno di nascita è il 1933, lo stesso del vino di Malaga) e del mondo. Con il marchio Vin de Jerez, si commercializzano i vini di tre D.O.: Jerez, Manzanilla e Vinaigre de Jerez. Il consorzio dei produttori di Jerez è stato uno dei pionieri ad aprire le sue cantine alla visita dei turisti, secondo il moderno concetto di strada del vino. Jerez è noto anche per il brandy. Il Brandy di Jerez è una delle tre denominazioni geografiche di Brandy riconosciute dall’Unione Europea insieme alle francesi Cognac e Armagnac. Il 90% del brandy spagnolo è Brandy di Jerez, con 50.000 ettari di vigne destinate alla sua produzione ed un volume di affari pari 500 milioni di euro. Esistono tre tipologie di Brandy di Jerez, il più giovane Solera, il Solera Riserva con un invecchiamento minimo di tre anni, e il Gran Reserva con dieci anni di invecchiamento. La routa del vin y del brandy di Jerez integra l’offerta vincola con alberghi, ristoranti ed hotel, ma anche musei. Si può entrare nella cantina di Tio Pepe, al secondo posto tra quelle più visitate al mondo, o in quella tipica di di Bodegas Terry a El Puerto, o anche nel tempio della Manzanilla, come Barbadillo a Sanlucar de Barrameda. Un centinaio di associati lungo la strada del vino e del brandy di Jerez che si dipana nei nove comune del marchio: Chiclana, Chpiona, El Puerto de Santa Maria, Jerez, Lebrija, Puerto Real, Rota, Sanlucar de Barrameda e Trebujena. In media le cantine della strada del vino attraggono all’anno circa mezzo milione di visitatori, che restano in genere un giorno in zona. Una possibilità sempre più apprezzata dai turisti di tutto il mondo che da sempre vanno in Andalusia attratti dalle bellezze storiche e paesaggistiche, dalle belle spiagge, dal clima temperato tutto l’anno e dall’ottimo rapporto qualità prezzo dei suoi ristoranti. Nella zona di produzione della denominazione di origine “Jerez-Xéres-Sherry” e “Manzanilla-Sanlucar de Barrameda“, tadizionalmente si distinguono due aree, la prima chiamata “Jerez Superior” con terra bianca “albariza” (dal latino alba, cioè bianca) ricca di calcio e silicio e un’altra chiamata “zona” con terreni argillosi. In tutto i vigneti si estendono per circa 10.500 ettari. La maggior parte nell’area di Jerez (6120 ettari) con vigne ad alberello, per un totale di circa 2700 produttori.

Parla il presidente del Consorzio, Jorge Pascual Hernadez

Jorge Pascual Hernandez, presidente del Consejo Regulador de las denominaciones de origen Jerez, Manzanilla y Vinaigre de Jerez conosce l’Italia, i suoi vini dolci e le strade del vino che apprezza ma, ci dice a tavola nel caratteristico ristorante Casa Bigote a Sanlucar de Barrameda, uno dei paesi all’interno della zona di produzione “sono molto orgoglioso dei nostri vini tradizionali”. Sanlucar è la patria dei vigneti a Manzanilla, una cittadina caratterizzata da imprese familiari con cantina annessa nel centro storico del paese, un po’ come avviene a Barolo, solo che qui le dimensioni sono diverse e maggiori. Il luogo beneficia di un clima atlantico con il 70% di umidità che favorisce l’alto contenuto dei lieviti nei vini e la scarsa acidità. Vi si produce il Barbadillo, uno dei vini bianchi che gli spagnoli apprezzano di più specie durante la stagione calda. Hernandez non produce vino ma è impegnato a supportare gli sforzi dei produttori e ad incrementare l’appeal del vino di Jerez presso i consumatori “Stiamo facendo un grosso sforzo per promuovere l’attività della Strada del Vino e favorire l’enoturisno. Voi in Italia siete più avanti di noi, noi abbiamo iniziato nel 2001 e la Routa de Jerez è nata nel 2005, comprende 9 comuni e vi afferiscono due Consorzi (Jerez e Manzanilla). Stiamo cercando di promuovere i nostri vini attraverso la ristorazione, con i grandi cuochi che li usano nelle loro ricette. Esportiamo circa 60 milioni di litri all’anno, di questi 30 milioni in Gran Bretagna, il resto in Olanda, Spagna e Germania, anche se la maggior parte è destinato al consumo locale”. Il problema della diminuzione del consumo di vino procapite riguarda naturalmente anche gli spagnoli “siamo passati dai 50 litri del 1985 ai 23 litri del 2007”. Tra le misure prese per risolvere la crisi, oltre la promozione attraverso la cucina “numerose iniziative in Cina e negli Stati Uniti”. Il problema sul mercato americano è la concorrenza sleale di prodotti che si fregiano del marchio ma di bassissima qualità “per questo abbiamo fondato un’associazione di difesa della denominazione “Origen” che riunisce alcune delle denominazioni storiche europee a cui aderiscono oltre a noi Chianti, Champagne, Cognac e Porto”.

Un po’ di storia

A Jerez la coltivazione della vite risale ai Fenici e prosegue con i greci. Dopo la conquista romana nel 138 a.C. il Vin de Jerez ovvero il “Vinum Ceretensis” si diffonde nelle regioni dell’impero anche perché grazie all’aggiunta di mosto fermentato si conserva bene nel trasporto. Persino durante i cinquecento anni di dominio turco, si continua a fare vino a Sherìsh (il nome arabo di Jerez). In epoca moderna la fama del vino di Jerez si consolida durante il regno di Enrico III, a partire dal 1340. Il punto più alto dell’export si raggiunge durante il Cinquecento, soprattutto in Gran Bretagna dove prende il nome di Sack e diventa presto di gran moda. Un vino consacrato da Shakespeare nel Falstaff, e nell’ Enrico IV a conferma del prestigio raggiunto. Le esportazioni si stabilizzano tra il Seicento e il Settecento, quando il 90% del vino approdava in Inghilterra, un commercio che conosce qualche difficoltà durante la guerra tra Spagna e Inghilterra alla fine del secolo. Comunque le esportazioni continuarono alla grande fino al 1966 quando il vino di Jerez entra in crisi. Tra le cause la sleale concorrenza con prodotti simili, ma di bassa qualità, venduti con lo stesso nome sui mercati inglesi e negli Stati Uniti.

Come si ottiene il Vin de Jerez ovvero l’importanza della “flor”

Secondo il Consorzio le varietà permesse per i vini a denominazione sono: Palomino, Pedro Ximénez e Muscatel. Tutte uve bianche che danno vita a differenti tipologie di Vin de Jerez: Fino, Manzanilla, Amontillado, Oloroso, Palo Contado, Pale Cream, Medium, Cream, Pedro Ximénes e Muscatel. A grandi linee secondo le caratteristiche gustative i vini si dividono in tre grandi categorie: i vini secchi (Fino, Manzanilla, Armadillo, Oloroso e Palo Contado), dolci (Pedro Ximenes e Muscatel) con uva appassita e vini liquorosi (Pale Cream, Medium, Cream) con aggiunta di mosto concentrato. Il fattore che caratterizza particolarmente i vini di Jerez è il tipico processo di invecchiamento prodotto dalla “flor” (lievito), che, a seconda delle modalità e dei tempi in cui viene lasciato a contatto con il vino, favorisce un invecchiamento “biologico” ed “ossidativo”. La fermentazione del mosto avviene in due fasi. Nella prima fase il 90% dello zucchero si trasforma in alcool che dà vita ad un vino bianco secco con una gradazione alcolica tra gli 11 e i 12 °, pronto ad iniziare il tipico processo di invecchiamento “aerobico” in cui i vini delle botti più giovani sono metodicamente mescolati con altri più vecchi, secondo il regolamento per un minimo di tre anni. Anche se le Cantine storiche possono vantare vini con un invecchiamento in botte tra i venti e i 30 anni. Alla base della piramide troviamo il Fino e la Manzanilla, i più leggeri. Una parte viene poi messa a riposare nelle caratteristiche botti in rovere americano di 600 litri, riempite non completamente e lasciate aperte perché si sviluppino i lieviti che fanno i vini di Jerez unici al mondo. Sono proprio i lieviti della “flor” (Saccharomyces) che impediscono l’ossidazione consumando alcol, ad apportare ai vini i sapori e le qualità della cosiddetta “creanza biologica”. I lieviti che si riproducono continuamente formano la cosiddetta “madre del vino” e nel caso della tipologia Oloroso o Amontillado, possono scomparire dando luogo ad un “invecchiamento ossidativo” che si produce attraverso il contatto del vino con l’aria. E’ un processo dinamico che prevede le tradizionali piramide di botti, da un minimo di tre in su ed ha influito sullo sviluppo architettonico della cantine con ampie volte a capriate. Il tradizionale processo di invecchiamento conferisce ai vini distinte tonalità cromatiche dal giallo pallido all’oro scuro fino al mogano dei vini dolci come il Pedro Ximenes e il Moscatel, la corposità ed una gradazione alcolica che oscilla tra i 15° e i 22°.

El Misterio de Jerez

A Jerez è possibile visitare El Misterio de Jerez, uno spettacolare museo dedicato alla storia del vino di Jerez, che si avvale delle più moderne tecnologie multimediali per raccontare come e quando nasce la viticoltura ad Jerez e la tradizionale metodologia di invecchiamento. Accanto alle sale che riproducono attraverso vecchie fotografie, bozzetti e strumenti tradizionali l’atmosfera di una cantina tradizionale nell’800 è possibile anche visitare una originale raccolta di orologi nel Palagio del Tempo, oltre 300 esemplari a partire del 1600 fino ai giorni nostri, tutti funzionanti. (www.elmisteriodejerez.org)

L'AcquaBuona

1 COMMENT

  1. Ho trascorso belle giornate insieme ad Andrea, Francesca e mia moglie, sia a Bordeaux nel 2008, e poi a Montalcino.
    Una doccia fredda per tutti quelli che l’ hanno conosciuta. Auguro ad Andrea di riprendersi il meglio possibile, nulla sarà come prima….ma la vita deve continuare.
    Con affetto
    Roberto Gatti

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