Cheddar, il formaggio di scrittori, esploratori e re

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Una leggenda racconta che il cheddar sia nato per caso. Alla fine di una dura giornata di lavoro, un contadino dimenticò un secchio di latte in una delle molteplici caverne presenti intorno al paese di Cheddar. Qualche giorno dopo il contadino andò tristemente a ricercare il suo secchio, in cui il latte avrebbe ormai dovuto essere rancido, ma con sua somma sorpresa quello stesso latte si era magicamente trasformato in formaggio. Ciò che è certo, anche grazie ai libri dei conti di Enrico II, è che il cheddar, sin dal XII secolo, era un formaggio molto apprezzato dalla nobiltà inglese.

Si dovrà però aspettare il XIX secolo perché il cheddar divenga parte della dieta del popolo inglese. Joseph Harding escogitò il modo di meccanizzare il processo produttivo di questo formaggio, così i costi si ridussero notevolmente. Ma non è finita qui, ad esempio, Robert Scott durante la sua spedizione Antartica incluse nelle sue provviste anche il cheddar, e il famoso scrittore Daniel Defoe ne scrisse diffusamente nel suo Tour Through The Whole Island Of Great Britain. Il cheddar deve il suo nome a Cheddar, l’omonimo paese che gli ha dato i natali, grazie ai pascoli e alle caverne dei dintorni. I primi davano il cibo alle mucche per produrre latte e le seconde offrivano il luogo migliore per la stagionatura del formaggio. Sembra quasi impossibile che un cibo proveniente da un luogo geograficamente circoscritto si sia diffuso a macchia d’olio in tutto il mondo, tanto da poter oggi assaggiare cheddar proveniente dai quattro angoli della terra.

Con la mia macchinetta rossa presa a noleggio prendo la strada che mi condurrà al caseificio, anche se guidare sulla parte “sbagliata” della strada e sulla parte “sbagliata” della macchina continua a mettermi una certa ansia. Fortunatamente la meta dista solo un quarto d’ora dal mio b&b nel centro del paese. Scendo dalla macchina mentre un uomo robusto sulla quarantina, che zoppica vistosamente e si appoggia su un bastone di legno da pastore, mi viene incontro e per prima cosa si assicura che il viaggio sia andato bene, poi mi conduce verso il suo caseificio. Tutto sommato è affabile e comincia a descrivere con passione crescente i metodi di produzione del suo formaggio, il Cheddar del villaggio di Cheddar.

Uno volta che il latte crudo ha raggiunto i 32 gradi centigradi, vengono aggiunte quattro diverse colture che avviano il processo di fermentazione, che dura da mezz’ora a un’ora. Parte del siero che ne deriva viene messo da parte per la produzione successiva e usato come starter per la fermentazione. A questo punto il caglio vegetale (anche se in origine era di provenienza animale), ottenuto da una miscela di numerose varietà di piante, è unito al latte fermentato, dopodichè il latte è lasciato riposare per un’altra ora finché non assume la consistenza dello yogurt solido.

Gavin, il proprietario del piccolo caseificio, tossisce rumorosamente e si soffia il naso per poi indicarmi le vasche in cui il latte sta riposando. Lascia il bastone accanto al muro e, scelta una vasca a caso, prende una pala e mi fa vedere come il siero si sia già staccato dalla cagliata. Dopo poco più di un’ora una cagliata cremosa si distingue nettamente. Gavin prende un lungo coltello e comincia a tagliare la cagliata in pezzi uguali, simili a mattoni.

“Siamo solo a metà processo, ma il cheddaring è la mia parte preferita!” mi dice sorridendo e tossendo insieme.

Guardo i suoi movimenti meccanici e ripetitivi e mi faccio incantare dal processo produttivo che si è rivelato essere più complicato di quanto avessi previsto. Il mio taccuino è pieno di appunti frettolosi che spero di riuscire a decifrare una volta a casa.

In una vasca concava, Gavin impila i mattoni di cagliata uno sull’altro fino a formare un piccolo muretto in modo tale che questi perdano residui di siero. Ogni dieci minuti i mattoni sono smossi e girati per aiutare una ulteriore perdita di siero. Dopodiché il formaggio viene spostato, salato e messo in contenitori dove viene pressato ancora e ancora e ancora.

“Il resto del processo lo fa la natura con un pizzico di aiuto da parte nostra” mi dice Gavin mentre gira altre forme già pronte e ne annusa alcune che stanno stagionando.

Il prodotto finale è un formaggio di pasta semi-dura e non granulosa, con un aroma particolare dato sia dalle caratteristiche del latte sia dall’utilizzo degli starter per la fermentazione.

“Al cheddar classico, si aggiungono anche tutti i diversi tipi di cheddar aromatizzati: alla birra, al porto, al whisky o anche alle erbe e all’aglio”. E’ un vero e proprio universo quello del cheddar. E’ una materia prima che si presta a molteplici usi anche in cucina, dalle patate ripiene di cheddar al più comune panino con cheddar.

Gavin invece di salutarmi sulla porta del suo caseificio si fa dare uno strappo al pub dove mi offre una pinta di birra e mi racconta della sua vita e della sua famiglia, cinque generazioni di produttori di Cheddar e sua figlia, per ironia della sorte, è allergica non solo al cheddar ma a qualunque tipo di formaggio. Se solo ne mangia un pezzetto diventa paonazza e comincia ad ansimare. Detto ciò non gli rimane che alzare una volta ancora la sua pinta e brindare alla sua più grande passione, il cheddar.

Lola Teale

3 COMMENTS

  1. Io abito a 9 miglia da Cheddar, dalle parti di Wells. Se sei qui e hai voglia di contattarmi trovi la mia email facilmente sul mio blog.
    Gianpaolo

  2. purtroppo al momento sono in Italia…ma ho in programma di tornare appena possibile da quelle parti! Grazie dell’invito lo terrò presente per il prossimo viaggio…
    Lola

  3. Salve, l’articolo mi è piaciuto, ma, a mio parere, potrebbe essere anche più dettagliato per far venire la voglia a produrre artigianalmente il cheddar.
    Silvio

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