Qualche considerazione sulla tappatura dei vini (II parte)

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strato di sughero in accrescimento
strato di sughero in accrescimento

Le caratteristiche del sughero impiegato nella produzione dei tappi sono come detto molto importanti, come lo sono anche i trattamenti che il sughero stesso subisce nel corso della lavorazione. Questo quando si parla di tappi monopezzo. Per i tappi cosiddetti tecnici (agglomerati, birondellati, di polvere di sughero ecc.) la questione si fa ancora più complicata dato che in questi tipi di tappi intervengono altri fattori ad aumentare il rischio di deviazioni organolettiche. In particolare i collanti utilizzati per tenere unite le particelle di sughero e l’origine del materiale stesso che in genere deriva da plance meno spesse  o da cascami di lavorazione dei tappi monopezzo. Il materiale suddetto viene triturato e successivamente vagliato, per la separazione dei residui di corteccia, e frazionato in base  al peso specifico. Solo i granuli di minore peso vengono utilizzati per la produzione di tappi tecnici. Le colle utilizzate sono in genere a base di poliuretano o butandiene o anche lattice naturale, Sono scelte per avere un forte potere agglomerante e per la caratteristica di non rilasciare odori/gusti al vino. L’impasto formato viene modellato in tappi o per estrusione (la pasta è spinta attraverso tubi riscaldati da un pistone e tagliata a misura), mediante stampo, o mediante la formazione di blocchi simili a fustelle trattati in forno per la polimerizzazione delle colle e successivamente utilizzati come fustelle di corteccia. Un metodo particolare e brevettato è quello per centrifugazione che consente di avere agglomerati molto uniformi e a densità quasi costante. I tappi rondellati subiscono una incollatura delle rondelle con lo stesso adesivo dell’impasto.

Come si comprende subito, il tappo tecnico ha caratteristiche e costi differenti da quello monopezzo, e per questo è utilizzabile solo per periodi relativamente brevi, data la tendenza a perdere di consistenza a contatto con il vino e a subire maggiormente l’effetto della tappatrice con la possibilità del verificarsi di microfratture del tappo,  che aprono la porta a ossidazioni o insorgenza di muffe. Tale fenomeno è particolarmente frequente quando non si tenga conto del fatto che le dimensioni dei tappi tecnici devono essere in media inferiori a parità di bottiglia, di quelli di un tappo monopezzo data la minore elasticità dell’impasto rispetto al materiale naturale.

La tappatura

Dopo aver analizzato le varie caratteristiche dei tappi monopezzo e tecnici ci avventuriamo in una descrizione forzatamente approssimata delle varie problematiche relative alla tappatura dei vini cercando però di sottolineare i punti critici e le informazioni tecniche salienti.

Un accenno alla storia della tappatura delle bottiglie ci pone in evidenza che la tappatura fino agli inizi del secolo scorso era puramente empirica. Le bottiglie prodotte in vetro soffiato erano per forza di cose molto differenti tra di loro nei diametri del collo e i turaccioli non erano come adesso di forma cilindrica ma a sezione quadrata  solo leggermente arrotondata sugli angoli. Tali condizioni provocavano frequenti esplosioni delle bottiglie in tappatura, tanto che alcuni modelli dell’epoca avevano una vasca sottostante per il recupero del liquido perso. Questo però era un metodo che garantiva una più lunga conservabilità del vino anche se le condizioni igieniche causavano spesso esplosioni di bottiglie anche nelle migliori cantine. Le cause microbiologiche di tali esplosioni erano ancora molto oscure tanto che si impediva alle donne mestruate di partecipare alle fasi della tappatura dei vini.

Con l’avvento della microbiologia in cantina, tali “nebbie” vennero via via  diradandosi, e si comprese come la stabilità biologica del vino prima della tappatura fosse una componente fondamentale della sua conservabilità e del suo affinamento in bottiglia. Così come la tecnologia fornì la possibilità di utilizzare ganasce mobili per la compressione dei tappi prima dell’introduzione degli stessi nel collo della bottiglia.

Tale tecnologia fu accompagnata da una standardizzazione delle misure dei colli delle bottiglie e da la produzione di turaccioli rotondi così da diminuire la pressione sul collo delle bottiglie dovuta alla irregolarità dei tappi.

In questo modo si ebbe una maggiore efficienza della tappatura in relazione alle perdite e alle rotture di bottiglie e una maggiore velocizzazione del processo. La tecnologia però aveva anche alcuni svantaggi: uno tra tutti era l’usura delle ganasce che provocava un loro disallineamneto sia orizzontale che verticale con conseguente fornazione di canali che consetivano il passaggio di aria e se poste in posizione orizzontale la colatura del vino.

Tale difetto è presente ancora oggi nelle tappatrici manuali e si può presentare  anche in quelle automatiche dopo un certo periodo di utilizzo del gruppo tappatura. La non regolare manutenzione può provocare effetti simili a quelli riportati nella foto  relativi ad un tappo che è stato compresso con una ganascia difettosa.

La problematica della tappatura dei vini è comunque molto complessa, ma se una cosa è chiara, tra tutti i fattori da considerare il principale è l’ossigeno. Infatti la tappatura rappresenta il momento finale del percorso di elaborazione del vino dato che dopo questa operazione, il successivo affinamento in bottiglia appare più come una conseguenza delle operazioni precedenti che come un cambiamento sostanziale,  essendo chiaro a tutti la impossibilità di intervenire in maniera diretta su ciò che accade dalla tappatura in poi. Il lavoro di conservazione ed affinamento che precede la messa in bottiglia del vino è una lunga e faticosa trattativa tra l’ossigeno ed il vino stesso. Farci dare il meglio da prezioso gas senza che lui ci rubi il meglio del prezioso vino. La gestione dell’ossigeno, fuori di metafora, è un equilibrio che dipende da molti fattori ed è particolarmente complessa se si tratta di vini bianchi o rosso da invecchiamento. Tutto questo lavoro può essere compromesso dalla fase di imbottigliamento e dalla successiva tappatura se non si prendono le dovute precauzioni. I moderni sistemi di imbottigliamento consentono di operare in sottovuoto o in atmosfera inerte (azoto, argon) proprio per minimizzare gli effetti negativi della presenza di eccessive quantità di ossigeno disciolto nel vino. La presenza di ossigeno nel vino in fase di imbottigliamento è d’altronde quasi inevitabile senza le precauzioni dette prima. I raccordi, i tubi, le pompe, particolarmente quelle centrifughe o a pistoni, consentono l’immissione di consistenti quantità di ossigeno nel vino. In questi casi si deve consentire al vino di riassorbire se gli è possibile l’ossigeno disciolto; operazione che può richiedere oltre un mese dalla data di imbottigliamento. E’ questa una delle principali cause della necessità di un, seppur breve, affinamento in bottiglia; si consetne al vino di rissorbire l’eccesso di ossigeno e  recuperare l’equilibrio ossidoriduttivo necessario alla sua stabilità ed all’espressione aromatica.

Un altro inconveniete a cui in parte abbiamo già accennato è la forma del collo della bottiglia da tappare; si danno fondamentalmente 3 situazioni:

1) conicità inversa: (vedi figura) data da un maggiore diametro del collo della bottiglia all’imboccatura e uno minore al centro del collo che provocano scorrimento verso l’alto del tappo per una scarsa tenuta.

2) Presenza di slarghi all’interno del collo della bottiglia che provocano perdita di pressione e tenuta e soprattutto irregolarità nell’estrazione del tappo con possibilità di rottura dello stesso (vedi figura in basso).

3) Eccessiva conicità positiva (in particolare in bordolesi e borgognone) che permette una bagnatura delle pareti laterali del tappo e una colatura durate il coricamento della bottiglia con conseguente colatura e perdita di tenuta.

Bisogna considerare che tali inconvenienti sono indipendenti dalla natura del tappo adottato: i difetti imputabili alla bottiglia si presentano sia in tappi di sughero che in tappi tecnici, che in tappi sintetici.

Lamberto Tosi

2 COMMENTS

  1. La scorsa settimana abbiamo imbottigliato del vino e durante le operazioni di imbottigliamento è giunto in cantina un rappresentante di tappi. Convintissima della qualità dei tappi che usiamo gli ho mostrato un tappo e sono rimasta senza parole ascoltando la lista dei difetti che il rappresentante ha elencato.
    Il tappo in questione è un monopezzo di sughero sardo ed è selezionato manualmente. Il rappresentante mi ha detto che non esiste la selezione manuale dei tappi e che dalla quantità di buchi che presentava non era neanche di prima scelta. MI ha mostrato i suoi tappi ed effettivamente, dal punto di vista visivo, presentavano meno buchi. Questo episodio ha messo in dubbio la fiducia riposta nel nostro attuale fornitore e ho bisogno di capire, di saperne di più. Così facendo una ricerca su Internet sono approdata a questo articolo. L’ho trovato molto interessante considerando che abbiamo sperimentato personalmente le problematiche descritte. Quali sono le proprietà del tappo da analizzare al fine di capire se si tratta di un buon prodotto oppure no?
    Grazie

    Nadia

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