Mi domando cosa ci sarà domani

10
11654

di Aurora Tosi

Tutto è scuro. I tetti delle case sotto al cielo, le gocce di pioggia sulla pelle, le nuvole, la città. Ogni strada, ogni casa, ogni uomo così grigio da far intristire il cuore in una primavera lenta e tarda sull’asfalto, che non lascia segno, se non una triste pioggia cittadina. Solo mattoni smorti sul catrame e volti vuoti sui tuoi occhi. Nient’altro. Il passo scivola inesorabile verso casa, spinto da una forza non sua, un istinto primordiale che riporta ogni uomo alla sua tana. Forse potersi distaccare dalle abitudini, dalla routine ripetitiva di ogni giorno, dal letto comodo, dal cibo, da una vita apatica, ma ancora in qualche modo nostra? Uno spazio privato in una civiltà di confusione, in un’inutile massa di corpi privi di pensiero, in un solo attimo fuggevole che equivale all’eternità. Sarà forse questo che ci spinge a sopravvivere. Null’altro.

Sulla strada di casa la solita vecchina alla porta, bianca così bianca, come se su di lei si infrangesse ogni raggio di luce superstite della città. Sorride. Emana un dolce sentore di rose, cannella e burro e un intenso sapore dolciastro, sconosciuto. In casa tutto si fa di nuovo grigio. Il mio corpo e la mia mente ricadono pesanti nel solito andirivieni quotidiano. Come sempre la mia vita ha concluso che non c’è scampo.

Buffo. Avevo deciso mille volte nel mio animo che avrei lasciato le briglie della vita di ogni giorno e avrei creato il mio spazio in questo cielo, la mia piccola vela in rotta verso l’orizzonte e forse oltre all’infinito. Ma perennemente non sono i nostri desideri a guidarci, ma le necessità o meglio l’assuefarci a questa stanca città. Ma stasera tutto terminerà e allora il mio bigio cielo sarà un dolce notturno virgiliano. Certo, vedo già la prima pagina dei quotidiani di domani, con la mia ombra dispersa e il mio sorriso beffardo sull’asfalto, la finestra aperta e una fresca brezza mattutina; ma io a quell’ora sarò già lontana, finalmente libera, dunque viva. Ormai non c’è altra possibilità, evadere è la soluzione migliore, per quanto forse meschina…

Ora rimane solo da attendere il rosso tramonto e le indecise stelle e un effimero soffio di vento, che mi porterà lontano con sé. Tutto il mio corpo si immerge per l’ultima volta in questo ripetersi inutile di gesti e di attimi, ma il mio sguardo si fa più intenso e più imbevuto di un assurdo e folle convincimento, coraggioso quanto non lo era stato da anni. Per l’ultima volta il mio petto si riempie di quest’aria malsana e umida, primavera scialba e ammuffita, come una signora troppo vecchia in uno scialle a fiori in contrasto con il suo cuore. All’improvviso qualcuno suona alla porta, apro e scopro il volto bello e sorridente di Nicola, il mio vicino di casa.”Stasera è il compleanno di mia nonna, -la sua voce gorgoglia su di me improvvisamente, insieme fresco torrente e tiepido raggio di sole- le farebbe molto piacere se tu potessi venire a cena da noi. Ha cucinato un dolce per l’occasione. Però la cena è ancora da preparare. Se non ti dispiace darmi una mano…”. Io lo guardo silenziosamente, infine acconsento accennando un sorriso.

Giungiamo alla casa profumata di dolce e di rose, così per niente intonata con il pallore della città. Dalla soglia, dove ci attende la pacifica vecchietta, che alla mia vista sorride serena, del suo mesto e buono sorriso, si espande un profumo squisito di mele, burro e cannella. Dopo molti anni torna alla mente un’immagine dimenticata: una bambina sorridente e felice, che seduta su una sedia al tavolo della nonna mangia la sua buona fetta di torta di mele. Anche le rose che ornano questo giardino, unico segno di una primavera ormai inoltrata, ma pure tanto assente, riempiono il mio cuore di una gioia perduta. Entriamo. La casa è modesta e luminosa; tendine alle finestre, cuscini comodi, rose che ornano davanzali, mensole, tavoli, con le loro tinte pastello e i sentori delicati. Ma qualcos’altro mi colpisce maggiormente, un profumo zuccherino e d’autunno, che scende giù dalle narici fino al palato. Pronta la cena, mi accorgo di aver dimenticato la brocca dall’acqua in cucina; torno a prenderla. Accanto alla brocca un bicchiere alto e fiero di cristallo luminoso. Il suo contenuto è un magico specchio di rubini brillanti. Sembra che tutte le foglie d’autunno, i profumi e i colori si siano riversati in quel solo unico boccale prezioso, che emana un dolciastro odore goloso caldo di sole, di eterno amore e fatica. Avvicino alle labbra quel liquido incantato e abbagliante e ad un tratto è un vortice che mi avvolge misterioso e ricco di eternità.

Tutto intorno a me è filtrato in una luce rossastra, cangiante; ad ogni mio passo si accende un nuovo colore. La cucina ora è così lontana, dietro lo specchio opaco rubino che filtra il mio cuore in un distillato di gocce avvolgente. Ogni goccia diventa ricordo nelle calde acque del vino (alla mia mente affiora nuovo e improvviso questo nome) e nel bagliore avvolgente di luce appaiono figure e aromi obliati. Con immensa sorpresa rivedo mia madre, il suo sapore di viole e di dolci sospiri, le sue mani ruvide e aspre, ma così buone, le sue guance colorite di rose e i suoi occhi luminosi di stelle. Nei suoi capelli l’odore dei boschi e della terra serena. Seduto a una sedia, intento al suo lavoro e un po’ burbero, mio padre, così scuro e deciso, con il suo buon aroma di tabacco da pipa, così fresco eppure così antico. Mio nonno, il volto cosparso di fine polvere di marmo e un sentore di ruvido amore, tra gli occhi chiari e le mani spesse e un poco di caramelle alla menta. Mia nonna, la frutta un po’ cotta dal sole, ma buona, le mele, le pesche dei nostri giardini. E infine una giovane, forse non bella, ma sempre se stessa. Seduta alla finestra, lo sguardo lontano, le scarpe slacciate sul pavimento, il suo profumo è di stelle, il suo colore di cielo, quel suo odore fresco, nel caldo dei capelli mogano dispersi al bagliore lunare.

Sapor di ciliegie e fragole, allegri pensieri e mani curiose nel buio avvolgente. Una luce lontana, una speranza dispersa. Mi siedo sul caldo pavimento rossastro dove i miei occhi e la mia vita si riflettono in un solo rimescolio confuso. Vedo la bimba giocare nei prati, fragranza di talco e di margherite, tinte vivaci e pensieri felici; poi le corse, sorrisi, speranze, nuovi amici, nuove scuole, nuove città e i profumi infiniti si confondono: agrumi, fieno, salsedine, aria frizzante, sole, more, dolci e accesi sapori. I colori ancor più si disperdono in un solo arcobaleno infinito: e i caldi autunni, e le belle giornate d’estate, alberi, rose, lucciole, sfavillii di falò. Tutto in un solo attimo eterno, nell’infinito del cuore, in un sottile limite tra sogno e una realtà dimenticata, e magari possibile. E tutta la mia anima si riempie di un’ebrezza sottile, che cresce adagio, vorticosamente, sicura si impadronisce di tutto il mio spirito e mi riconduce festosa alla luce, lontani i vacui fantasmi di un grigio appassito vissuto, verso la cosa più semplice e facile da perdere, più bella da ritrovare: me stessa.

Come è venuta, la magia svanisce. Il sorso è finito caldo nel mio ventre innamorato, dopo aver attraversato la gola e sorpreso l’olfatto. Anche per me ci sarà un ritorno più buono a una vita perduta e colore nella città. Inutile scappare, meschina decisione codarda, adatta a questi animi vuoti, spettri cittadini. Sento alle mie spalle un passo leggero. Ancora lui, col suo volto di rose e di vino, così caldo, così profumato, con quel sentore eterno di felicità, che aleggia in quella casa da sempre. “Allora l’acqua?!”domanda scherzoso. Io poso il bicchiere e prendo la brocca. Sorrido, finalmente serena. Lui mi guarda indagatore e curioso, buono. Io forse non ho parole adatte per lui, ma sento il mio cuore battere forte e farsi più vivo e più semplice e sincero un grazie sfocia dal profondo del petto e un piccolo bacio che profuma di vino, sulla sua guancia, una rosa di maggio.

Immagine tratta da www.massimopia.it

L'AcquaBuona

10 COMMENTS

  1. Questa ragazza è proprio brava !!
    Mi sembra di vedere la Jo di “Piccole donne” dall’ardore con cui scrive!! compone frasi quasi musicali cercando sempre di usare parole nuove e desuete che il linquacggio comune non ha svuotato di significato.
    E ora non ci resta che attendere ” Piccole donne crescono”!

  2. Molto bello il racconto….quasi una poesia….ma ho intravisto anche una leggera malinconia ed anche una leggera ” depressione del vivere quotidiano “.
    Gli affetti piu’ intimi e le persone piu’ care sono gli antidoti a tutta questa malinconia.
    Comunque brava

  3. mi sembra di intravedere schizzi di “psicologia quotidiana” che comunque non ritengo fuori tema. Anche se mi fa capire che la signora Tosi sembra soffri un po´di depressione….

  4. Cosimo,
    non credo proprio che Aurora Tosi (signorina) soffra di depressione… quanto piuttosto che sia una buona osservatrice del nostro quotidiano.

  5. Capisco, ma ci sono modi e modi di osservare….cmq pensavo che il termine “signorina” fosse ormai fuori uso.
    Scusatemi, non volevo offendere nessuno, ma il racconto della signora Tosi mi ha un po´lasciato perplesso, non me lo aspettavo su questo sito, tutto qui.

  6. …penso anch’io che Aurora sia tutt’altro che depressa; è brava, e ha una capacità non comune di andare in profondità.
    Continua così, e se intorno a quello che scrivi si sollevano discussioni è senz’altro un segno positivo.

  7. beh…visto che in questa discussione sono interpellata in prima persona mi inserisco anch’io. Innanzitutto risolverò la questione di signora o signorina: dal momento che non mi ritengo a tal punto esigente da volere essere definita “signorina” e poiché certo non abituata a sentirmi chiamare così, ma allo stesso tempo data la mia giovane età, pure inadeguata all’appellativo di “signora”, essere chiamata col mio nome mi andrà benissimo. A parte questo, se si vuole aprire un dibattito psicologico, premetto che sono rimasta sorpresa dall’esito del mio breve racconto. Forse a causa di un malinteso, ne è stata tratta la conclusione di una mia depressione cronica! Non pensavo che riflettere, osservare, interrogarsi sulla situazione dell’uomo contemporaneo potesse essere sintomo di depressione. Forse mi sbaglio, ma credo di non essere proprio una persona da potersi definire depressa! Semplicemente osservo che l’uomo oggi sta perdendo sempre più di frequente, nel suo frenetico andirivieni di ogni giorno, la coscienza di se stesso e il valore delle cose piccole che ti sorprendono quando sei bambino e che poi dimentichi (purtroppo) crescendo. E così la protagonista di questa storia si è persa e riesce a ritrovarsi proprio quando si ferma e assapora il gusto delle cose più minuscole e più banali, ma spesso più sorprendenti. Come un bicchiere di vino. Nel quale ognuno di noi riscopre aromi e sapori differenti e che è frutto di un lungo e faticoso lavoro, quando esso è un prodotto unico e non industriale. Tutto qui.

  8. Sono stato il primo a scrivere la parola depressione, ma credo sia stata anche un po fraintesa :

    ” leggera malinconia ed anche una leggera ” depressione del vivere quotidiano “.

    Cosi’ esattamente ho scritto sopra : credo che in certe giornate o in certi momenti della nostra esistenza, TUTTI noi a volte
    siamo afflitti da ” leggera malinconia e leggera depressione del vivere quotidiano ” , o no ??
    Comunque brava Aurora, hai dimostrato sicuramente di essere una persona sensibile con dei sentimenti veri e genuini !
    Un caro saluto
    Roberto

  9. Aurora possiede il dono di una prosa poetica e un’ottima capacità sia di osservazione che di introspezione. Trovo il suo racconto deliziosamente sinestetico. E’ come se volesse tradurre sub specie letteraria l’esperienza avvolgente e profonda che si fa nel bere consapevolmente un buon bicchiere di vino. Consapevolmente, certo, ma anche con una dose di legittimo abbandono della mente e dei sensi. Eviterei di fare dello psicologismo su un racconto che è soprattutto finzione. Trovo alquanto ingenuo attribuire all’autore le sensazioni, le emozioni ed i pensieri del narratore o dei suoi personaggi. L’autobiografismo di sfogo, generalmente, non produce letteratura. Marziale diceva di condurre una vita onesta, pur scrivendo “versi licenziosi”. E scrivere di un tentato suicidio sventato da un intenso momento epifanico non significa che l’autore soffra di depressione, o abbia tentato il suicidio. Unico appunto – secondo il mio personale gusto – al racconto di Aurora: una eccessiva ridondanza di aggettivazione e una costruzione un po’ barocca che concresce su se stessa. Lo asciugherei un po’ di più. Lo renderei più essenziale, pur mantenendo l’impianto di immagini e di combinazioni sensoriali. Poiché so che Aurora ha il pieno dominio del mezzo espressivo, ritengo che l’effetto stilistico sia voluto, ciò nonostante, sempre a mio parere, avrei degustato meglio con qualche asprezza in più, con qualche accenno smorzato, con meno variegatezza di colore e sapore. Un racconto più apuano e meno … chiantigiano, ecco.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here