Birrificio degli Archi: un po’ d’Inghilterra a Viareggio!

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Correva l’anno… 2008! Beh, non occorre spremersi molto le meningi per ricordare quando, finalmente, è partita l’avventura di un gruppo di otto ragazzi, otto amici con una passione immensa per le birre, specialmente inglesi: un microbirrificio artigianale.

Un sentimento tanto forte da permettere il passaggio da semplici fantasticherie – comuni tra amici stufi della solita routine – ad un progetto che, da un semplice corso di home brewing (a proposito, il nome del birrificio deriva da una caratteristica architettonica del luogo dove si è svolto il corso), è arrivato al suo sviluppo naturale con la costituzione del birrificio, un percorso non privo di ostacoli burocratici caparbiamente superati.

L’impatto visivo iniziale del birrificio non è molto “romantico”, situato in pieno centro in un fondo artigianale, con le auto parcheggiate in sosta divise dall’ingresso solo dal marciapiede, da l’impressione di una “bière du garage”, di una birra fatta per passatempo. Varcata la soglia tutto cambia, lo spazio abbonda, le attrezzature sono di prim’ordine e la razionalità regna incontrastata: i ragazzi hanno fatto le cose sul serio.

Parte delle attrezzature e il luppolo sono stati scelti direttamente in Inghilterra, tanto per essere più possibile vicini allo stile british anche se non mancano le dovute eccezioni, mentre una selezione di malti è tedesca. Le birre, nella migliore delle tradizioni artigianali, sono tutte ad alta fermentazione, non filtrate, non pastorizzate e rifermentate in bottiglia.

Iniziamo con la “1701” (4,8% alc.) – anno di fondazione del Comune di Viareggio – giustappunto una delle eccezioni appena menzionate; siamo di fronte ad una birra in stile tedesco, d’ispirazione kolsch per l’esattezza, che intriga subito per la freschezza e la facilità di beva, una classica bionda naturale che affascina per la bellezza acqua e sapone. Schiuma compatta e dalla giusta persistenza, il luppolo si fa sentire delicatamente nei profumi mentre in bocca è gradevolmente astringente, una manna per l’estate.

Con la “Baccanale” (5,4% alc.) entriamo in territorio inglese con una birra su modello bitter ale, il nome deriva dalle feste che abbondano in Viareggio durante il Carnevale. La schiuma è meno copiosa e il colore ambrato di media intensità; al naso è molto pronunciata la nota di miele (castagno) usato come ingrdiente. In bocca i sentori sono più equilibrati, con un ritorno a toni più secchi ed un finale amarognolo tipico del luppolo.

La “Regia” (5,5% alc.), dedicata  alla prima via di Viareggio, è la rossa di casa in stile scottish ale. Rossa scura intensa presenta una schiuma mediamente voluminosa ma persistente. Calde note di malto caramellato, riscontrate poi in bocca, ammorbidiscono la discreta gradazione. Buona la struttura, direi vellutata al tatto, dal finale piacevolmente luppolato.

Salendo di colorazione è la volta dell'”Ossessa” (5,5% alc.), nome di un quadro di Lorenzo Viani noto pittore locale, una stout più alcolica del solito, come le Imperial stout che, dovendo affrontare i lunghi viaggi dell’esportazione, venivano “caricate” di gradazione. Un adeguato servizio prevede la colmatura del bicchiere in due tappe, in un primo momento si riempie il bicchiere fino a tre quarti e poi si lascia riposare fino a che l’effervescenza cala. Questo è il momento che preferisco, amo perdermi tra le migliaia di bollicine color crema che si stagliano sul corpo scuro della birra, una massa spumeggiante al centro del bicchiere che va lentamente ad alimentare il “cappello”nocciola. La seconda fase è aggiungere gradualmente la birra mancante per arrivare al livello giusto. La nota aromatica è notevole, si viene pervasi da profumi cioccolatosi, di caffè e liquerizia, in sottofondo anche ricordi di tabacco. Al palato il mix tra facilità di beva e complessità è entusiasmante, buona la corrispondenza aromatica e la lunghezza.

In conclusione l’ultima nata “Elicrisia” (4,5% alc.), il cui nome deriva dall’elicrisio o”camuciolo” come viene localmente chiamata questa pianta tipica della macchia mediterranea che qui nasce a ridosso delle dune sabbiose. Come la “1701” anche questa si ispira allo stile di birre di altra nazionalità, un ibrido tra una weiss e una blanche, un’eccezione richiesta dal mercato assetato di birre fresche da bere senza troppo impegno specialmente nelle afose giornate estive. Si presenta opalina con schiuma tenue, i sentori sono piuttosto delicati ma molteplici, emergono ricordi fruttati come banana ed albicocca oltre alle classiche note erbacee e di lieviti. In bocca risalta anche una particolare nota speziata leggermente pungente che rimanda a pepe bianco; la chiusura è lievemente acidula, meno astringente e amara delle altre. È una birra ancora in fase di affinamento tant’è che nell’ultima “cotta”, non ancora in commercio, è stata aumentata la dose dei fiori per renderla ancor più caratterizzata.

Ad un anno dall’apertura il bilancio è positivo, i guadagni verranno ma l’autosufficienza e alcuni reinvestimenti in attrezzature sono già stati raggiunti.

Guardando al futuro il loro sogno sarebbe quello di fare una birra interamente italiana, una strada al momento non perseguibile data la scarsità ed i costi del materiale a disposizione, specialmente riguardo la varietà dei malti necessari per i mix di ogni birra. Un problema dovuto allo scarso interesse dei potenziali produttori delle materie prime a causa del basso impatto economico dei birrifici artigianali.

A questo punto mi viene spontanea una riflessione: il vino in Italia è un importante protagonista della nostra economia, bene! D’altro canto il consumo di birra sta aumentando ogni anno, ha raggiunto ormai il consumo del vino in occasioni di uscite fuori casa mentre, alla grande distribuzione, gli acquisti si aggirano a circa il 30% rispetto al vino, dunque un volume di affari notevole dove purtroppo le aziende straniere dominano il mercato. Considerando anche l’indotto, dalla produzione delle attrezzature alla materia prima, dall’impiego di persone nella produzione e a quelle della distribuzione, una agevolazione alla produzione della birra da parte degli organismi politici preposti – ad esempio l’accisa sull’alcol che è virtuale sul vino ma reale sulla birra – potrebbe portare dei benefici non indifferenti alla nostra economia e, soprattutto, aprire nuove strade a giovani disoccupati e persone che devono reinventarsi un lavoro.

È con questo auspicio che saluto i ragazzi del Birrificio degli Archi, un esempio di come un piccolo investimento economico, tanta passione e voglia di fare possano diventare una realtà importante in una città come Viareggio, una città come tante altre.

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

2 COMMENTS

  1. Coraggiosa e buona. Sì, perché occorre spirito d’avventura per mettersi in gioco e tentare un’avventura del genere, quindi bravi, e occorre anche capacità per realizzare un buon prodotto.

  2. Ciao, io sono proprietario di un ristorante e ci forniamo al birrificio degli archi per la birra artigianale. E devo dire che ho sempre piacere a proporla a chi non la conosce perchè noto gradimento sia all’estetica delle bottiglie che al gusto, anche in abbinamento alla cucina casalinga che propongo nel mio locale.

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