Le Guide 2010 de L’espresso presentate a Firenze

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FIRENZE – “Nel dicembre 1978 esce in Italia la prima edizione della Guida ai Ristoranti d’Italia de L’espresso. È una bomba, una rivoluzione: finalmente arriva una guida che stravolge le piaggerie del giornalismo imperante, travolge il giornalismo accomodante del ‘se non è buono non ne parlo'”.

Così, nel 2001, Edoardo Raspelli ricostruiva la nascita della prima guida gastronomica schiettamente italiana (ossia non una costola italiana di una guida straniera, come era la Michelin che aveva esordito nel 1956 con la sua prima rossa ‘dalle Alpi a Siena’). Lui d’altra parte c’era, ne sarebbe divenuto curatore nel 1997 per poi uscirne, in modo turbolento, proprio nel 2001.

Nell’edizione 2002 gli succedeva infatti al vertice Enzo Vizzari che sentiva in qualche modo il bisogno di rassicurare un ambiente evidentemente un pochino “scosso” dal Savonarola della critica gastronomica: “La funzione di una Guida non è quella di ‘premiare’ o ‘punire’ I ristoratori, bensì di dare ai lettori indicazioni essenziali, verificate, sul tipo di locale e di cucina di ogni ristorante o trattoria… Tanto meno, obiettivi di una Guida devono essere la ‘beatificazione’ o ‘l’irrisione’ di cuochi e ristoratori, della creazione artificiosa di fenomeni o di mostri”. Insomma, critici molto poco Anton Ego di Ratatouille, e molto semplici cronisti al servizio del lettore. Un concetto quasi alla lettera ripetuto nel corso degli anni fino alle presentazioni delle Guide 2010 dei Ristoranti e dei Vini alla Stazione Leopolda di Firenze.

In questo moto di rinnovamento della cucina italiana (e della relativa critica) che ormai aveva preso il via, una decina di anni dopo arrivano il Gambero Rosso e Slow Food ed esplode il fenomeno-vino. I riflettori si spostano sul rinnovamento enoico italiano, parte la Guida Vini d’Italia. Discussioni e scontri, moda, movimento culturale, sommovimenti che oggi paiono essersi acquietati. Le Guide Vini sembrano essersi ritagliate una identità ed uno stile, tutte ambendo naturalmente a rappresentare il tutto al meglio, ma essendo diverse nello stile e nella filosofia della rappresentazione. Quella edita da L’espresso, e curata da Ernesto Gentili e Fabio Rizzari, ambisce a definire un quadro il più completo possibile della nostra vitivinicoltura con un processo di costruzione in cui le tipologie “minori” e di nicchia sono considerate fondamentali quanto le più forti, e non a caso si dà loro sovente anche la dignità del vertice, che secondo gli schemi classici spetterebbe ad altri più robusti frutti della vigna. Ossia, accanto a vini come Amarone, Brunello, Barolo, Chianti Classico, Barbaresco, bolgheresi, possono a buon titolo svettare Lessona, Carema, Erbaluce, Cinque Terre… vini “piccoli”, tradizionali, magari dal prezzo invitante. E fra i vini “importanti” trionfano quelli di chi ha rispettato con intelligenza la terra senza forzarla, e con intelligenza ha aggiornato,  tenendola però sempre presente, la tradizione.

La ristorazione sembra invece scossa da maggiori “fremiti”; eterne discussioni tradizione-creatività dirigono su di essa le luci della ribalta, che si riflettono poi sulle sagome degli chef. Sono loro, più che i vignaioli/produttori anche bravi, su cui oggi si punta per sedurre il pubblico con l’enogastronomia, forse anche per la maggior scenicità dei gesti e gli infiniti agganci con I prodotti della terra.

E a proposito di star, dopo tanti tira e molla la Guida Ristoranti 2010 certifica la chiusura del Gambero Rosso di Fulvio Pierangelini, rimasto a lungo nello status di “non aperto”, non rinunciando a dedicargli una scheda di ringraziamento per l’opera svolta. E Fulvio Pierangelini arriva, scivola con i suoi occhiali neri che lo proteggono dalle luci soffuse della Stazione Leopolda, circondato e coccolato, a turno, da giornalisti e bloggers.

Ma il presente preme, ed è il presente dei ristoranti che hanno resistito (stanno resistendo) alla crisi e ai momenti difficili. Costituito, se si vuol guardare in alto, dai locali da “tre cappelli”,  corrispondenti ad un punteggio minimo di 18/20 e che la crisi la sfidano più degli altri per la importanza della loro esposizione economica. I tre “superstiti”, nel gradino più altro dei 19.5/20, sono Vissani a Baschi (TR), rappresentato dal figlio di Gianfranco, Luca; Massimo Bottura de La Francescana di Modena; Massimiliano Alajmo (forse il più restio a fare “comunella”) de Le Calandre di Rubano (PD). E poi, a ridere e scherzare nel fondo della sala, “schivando” le presentazioni che si susseguono sul palco: Heinz Beck (La Pergola de l’Hotel Rome Cavalieri, 19/20), Italo Bassi e Riccardo Monco (Enoteca Pinchiorri, 19/20), Mauro Uliassi (Uliassi, Senigallia, 18/20), Antonio Santini (Dal Pescatore, Canneto sull’Oglio, 18.5/20), Carlo Cracco (Cracco, Milano, 18/20, Gennaro Esposito (Torre del Saracino, Vico Equense, 18/20), Davide Scabin (Combal.0, Rivoli, 18.5/20), Ciccio Sultano (Duomo, Ragusa, 18/20). E, per completare, Villa Crespi di Orta San Giulio (NO) con 18.5/20, L’Hotel Certosa di Maggiano-Il Canto si Siena, Perbellini di Isola Rizza (VR).

E magari questa attenzione, non priva di distorsioni e di derive modaiole, è la benzina nel motore che fa andare avanti una ristorazione che, per fortuna, resiste e si rinnova, e a vecchi gloriosi leoni ne sostituisce di nuovi.

Riccardo Farchioni

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