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Cilento, il tempo ritrovato (prima parte)

Riprendono, da dove erano state lasciate da Fabio Cimmino, le narrazioni sul nostro Sud. E ci fa piacere che a proseguire l’opera sulle nostre colonne sia la penna di Mauro Erro, amico di Fabio e profondo conoscitore di quei territori e dei loro frutti, descritti con una sensibilità che ci trova in sintonia

A Sud di nessun Nord, storie di vita sepolta

Pare si dica Life Style. Eppure non ci rassegneremo mai alla bruttura degli slogan e alla loro superficialità. D’altronde è solo questione di quale via scegliere di volta in volta, dopo aver fatto il giusto rifornimento di succose mozzarelle di bufala, ricordandosi che qui il tempo si misura in assenza di orologio e lo spazio si stende languidamente per oltre cento chilometri di costa in buona parte incorrotta, da Agropoli al Golfo di Policastro, attraverso luoghi di bellezza commovente come Punta Licosa o Punta Tresino, dove la vigna di Ida e Mario Corrado lambisce il mare, o di sicuro rapimento estatico tra Punta Degli Infreschi e Scario.

Altrimenti, sorpassato l’ultimo crinale che chiude Paestum e lasciandosi alle spalle Agropoli, spingersi all’interno attraverso la strada statale guardando i profili che si fanno più severi, i colori più accesi, la natura esplodere aspra e selvaggia, constatando che ogni aggettivo risulta limitato e la bellezza appare, semplicemente, pornografica: non temendo di abusare del termine ché, noi napoletani, dell’ostentazione abbiamo fatto un bisogno d’affermazione più che un modo di vivere.

Così, come Alice nel paese delle meraviglie, proseguendo tra le gole e le grotte carsiche di Castelcivita e Pertosa, aguzzando lo sguardo tra stalattiti e stalagmiti alla ricerca dei folletti; scalando il Gelbison e il Cervati, i monti più alti della Campania, attraversando oceani lussuriosi di olivi talvolta millenari per toccare il Vallo di Diano o ammirare i dolomitici Alburni dai profili sensualmente sinistri, taglienti e ferrigni d’estate, ammorbiditi da sbuffi di neve d’inverno, si scava e si scopre il mutare degli stati d’animo umani così come si passa dalla tentazione di tuffarsi nudi nel mare cristallino al bisogno di coprirsi per non gelare.

Ed è sempre Cilento.

Sotto la campana di vetro

A tale diversità paesaggistica a cui abbiamo accennato, istituzionalizzata e difesa con la formulazione del Parco del Cilento, definita patrimonio dell’Unesco, corrisponde una differenziazione culturale, antropologica, agricola e rurale, che si è preservata all’interno di questo territorio di difficile accesso per l’uomo, rinvigorita dalle continue influenze: greca, romana, araba. L’isolamento vissuto sin dai tempi della scuola eleatica di Parmenide e Zenone, che ha reso questi luoghi rifugio dei monaci orientali scampati alla persecuzione iconoclasta o, tra gole e boschi impenetrabili, nascondiglio dei briganti, isolamento che è diventato prigionia di fame e freddo da cui scappare dall’unità d’Italia in poi – flussi migratori causa dello spopolamento e dell’impoverimento demografico che solo oggi paiono arrestarsi – non solo ha preservato i luoghi dalla cementificazione selvaggia, ma ci ha lasciato intatta tutta la biodiversità vegetale: erbe e spezie, il cui uso è abbondante nella cucina cilentana, di quei biotipi che il mercato globale ha espulso e qui sopravissuti per sostituire il sale e il poco condimento disponibile durante l’anno.

Lo sapeva bene Ancel Keys, il medico e fisiologo statunitense trasferitosi a Pioppi, frazione di Pollica, dove visse per 30 anni curando il suo orto e la sua vigna e proseguendo i suoi studi, quando lanciò, negli anni ’70, la dieta mediterranea come elisir di lunga vita.

Da un punto di vista strettamente ampelografico, di conseguenza, vecchio e nuovo si mescolano tra loro e termini come autoctono o alloctono difficilmente possono identificare questo o quel vitigno in una matassa il cui bandolo è difficile trovare. Barbera, sangiovese, cabernet sauvignon, piedirosso, primitivo, aglianico, asprinio, biancolella, falanghina, fiano, greco, moscato bianco, sciascinoso, verdeca, aglianicone, aleatico, bombino bianco, cesanese, coda di volpe bianca, malvasia nera, malvasia bianca, merlot, montepulciano, montonico bianco, trebbiano toscano rappresentano solo una parte del patrimonio di vitigni presenti, senza considerare le specie non ancora identificate.

Da un punto di vista viticolo ed enologico la parola tradizione può assumere significati e interpretazioni diversissime a seconda dell’interlocutore, lasciando al ricercatore un sapore d’indefinito al palato. In sintesi, basterebbe pensare a quali energie economiche e umane i produttori stanno riversando sulla produzione dell’aglianico o del fiano vinificati in purezza, ben giudicati da gran parte della critica, apprezzati dal mercato ed etichettati come Igt Paestum, piuttosto che, stando alla gerarchia prevista dal disciplinare di produzione, alla Doc Cilento dei mille e uno vitigni!

Ecco, il Cilento si mostra, quindi, come un pout pourri di antico e nuovo, di esperienza e sperimentazione, un luogo dove ad un manipolo di giovani produttori visionari, De Conciliis, Maffini e Rotolo, in grado di stravolgere le vecchie aziende di famiglia da poco più di dieci anni a questa parte, si sono affiancati oggi tanti piccoli produttori e una generazione di giovani enologi, Sebastiano Fortunato, Vincenzo Mercurio, Sergio Pappalardo per citarne alcuni. Ciò ci pervade della speranza che, qui, possa nascere una nuova frontiera della viticoltura campana.

Gli Assaggi

Rimandando alla successive parti di questo reportage il racconto dell’attuale realtà vitivinicola cilentana e una più profonda analisi del territorio, dalle altimetrie alle specificità dei terreni delle vigne, vogliamo qui sottolineare un aspetto di fondamentale importanza che possa servire come primaria chiave di lettura. È l’inesperienza e l’impossibilità di attingere al bagaglio di conoscenze dei padri e dei nonni, che hanno costretto i vignaioli di oggi ad agire in modo razionale, ad elaborare propri percorsi tecnici e stilistici, a fare innovazione ed esperienza allo stesso tempo, insomma. Da questo punto di vista altamente istruttiva è stata la verticale del Naima, aglianico di razza dei Viticoltori De Conciliis, che presentiamo di seguito dalla prima all’ultima annata mai prodotta. Al di là delle differenze climatiche esistenti tra un’annata e l’altra, è l’approccio mutevole, tanto in vigna come in cantina, a rivelarci quello che è stato ed è il Cilento: un laboratorio a cielo aperto. Leggerete così di alcune annate in cui, come rivelatoci da Bruno De Conciliis, è la ricerca Proustiana (o Maroniana) del frutto perduto a guidare l’istinto del vignaiolo, così come, negli anni a venire, sarà maturata una consapevolezza ed una padronanza dei mezzi tecnici ben diversa. In conclusione, vogliamo segnalare due annate in particolare: la 1999 e la 2004 selezione Willburger. Entrambe di pregevole fattura, maturate in epoche diverse: una nata quasi per caso, l’altra ben congegnata. E se la prima era ad un passo dall’emozione, l’altra, nella sua ancor giovane espressione, emozionante lo è: a conferma che questa è terra ancora in fasce, che se e quando si esprimerà pienamente, darà immense soddisfazioni.

Prima di lasciarvi alle note di degustazione alcuni ringraziamenti alle persone senza le quali, in pratica, questo servizio non sarebbe mai potuto esistere. Tutti i produttori, innanzitutto, così disponibili nel raccontarmi la loro storia; i giornalisti Adele Chiagano e Luciano Pignataro che mi hanno fatto scoprire questi luoghi meravigliosi; Bruno De Conciliis, preziosa fonte e Mario Cavallaro, grafico e gourmand, che nei nostri pochi incontri, con i suoi racconti ha sempre suscitato in me una gran curiosità e una gran fame.

Ai figli Paola, Luigi e Bruno De Conciliis, coadiuvati da Giovanni Canu, il compito di continuare il lavoro di papà Alessandro. Dal 1996 si è stravolta l’origine di questa antica azienda agricola puntando tutto sul vino e sulla qualità. Da poche migliaia di bottiglie e in poco più di dieci anni in una cavalcata senza arresto si è arrivati a circa duecentomila bottiglie prodotte, dove spicca, come prodotto di punta, il Naima, aglianico in purezza, ambasciatore di questi luoghi.

Perché questo è il principale merito di quest’azienda, aver investito nel territorio per farlo conoscere a tutti. Come se non bastasse sono numerose le consulenze prestate ad altri produttori della zona. A questo proposito segnaliamo due assaggi effettuati:  l’Igt Rosso Paestum Lauro 2008 curato per i Fratelli Laureana del ristorante Il Ceppo di Agropoli, che dispongono di una piccola vigna da cui nascono tremila bottiglie di un vino fruttato e floreale, contadino nel senso buono del termine e di facile beva e il Calamona (prodotto in appena 300 bottiglie per Terre di Ale)  Igt Paestum Primitivo 2008: potente e muscoloso. Tornando ai De Conciliis, oltre il Naima, segnaliamo la bella espressione del Fiano Donnaluna 2008: il naso ha una sua intrinseca eleganza, la spinta aromatica è tenuta a bada, mentre al palato è teso fino al finale sapido.

Naima, Aglianico Igt Paestum 1997
Rosso rubino leggermente spento e che degrada nel granato. Naso maturo, intrigantemente crepuscolare, che sollecita note di cacao e carrubo, di fiori secchi e foglie, di funghi, sottobosco, sandalo e cuoio, spezie orientali e origano, per lasciarsi andare, ad un’ora dall’apertura, a note di brodo. Al palato l’attacco è dolce, il cuore del sorso leggermente calante, il finale, non lunghissimo per persistenza aromatica, è sorretto dall’acidità, in parte malica, che lo vivacizza. Chiude con un tannino leggermente polveroso e un leggero sbuffo alcolico.

Naima, Aglianico Igt Paestum 1998
Rosso rubino pieno e vivace. Attacco arrembante di frutta e spezie, di note leggermente verdi e piccanti, di legna arsa e cenere, ben accompagnate da una nota di canfora accennata. Al palato il sorso ha più corpo del precedente e risulta anche più lungo. Tannini fermi e decisi. Buona prova, a tavola soprattutto, quando ha accompagnato il cibo.

Naima, Aglianico Igt Paestum 1999
Rosso rubino di affascinanti trasparenze. Meraviglioso da subito. Nella trama speziata di precisa articolazione: pepe nero, tamarindo, noce moscata e liquirizia. Arricchito nel tempo dagli echi di fiori secchi, di china, di tabacco dolce, di cuoio, che accompagnano un frutto ora sussurrato, poi note di mentuccia e grafite. Al palato, il sorso è elettrizzante, fluido, elastico: vibrante grazie ad un’acidità integrata e saporosa. Il ritorno per via retrolfattiva è un tessuto precisamente ornato e ricamato, fatto di dettagli di limpida chiarezza. Alla notizia che si trattava della penultima bottiglia disponibile in azienda, una lacrima stava per solcarci il viso.

Naima, Aglianico Igt Paestum 2000
Già alla vista si presenta più carico e denso. Il naso si apre e si chiude mostrandosi con difficoltà. Vive di una dualità: da una parte la componente fruttata ed estrattiva, dolciastra, statica, dall’altra le note terziarie di tabacco, liquirizia e foglie secche. Al palato è integro, solido, per certi versi prevedibile nel suo sviluppo, ma risolto in una buona progressione gustativa che lascia il palato pulito, grazie anche ad un tannino di pregevole fattura considerata l’annata calda. All’assaggio del giorno dopo mostrerà le sue qualità palesandosi intatto.

Naima, Aglianico Igt Paestum 2001*
Il peggiore della batteria. Per onestà del produttore ci limitiamo a citare: “ho rovinato una grande annata”. Vino estrattivo, pervaso dal legno, al naso rilascia sentori di prugna matura, pelle, cuoio, aglio, parzialmente ingentiliti dall’afflato balsamico. Al palato è succoso all’ingresso ma scisso nella componente alcolica e segnato, oltre dalle note di cioccolato fondente nel cuore del sorso, dalla stretta tannica eccesiva, legnosa, che lascia la bocca amara.

*L’unica bottiglia non proveniente dall’azienda, la cui non perfetta conservazione può aver esasperato l’evoluzione eccessiva del vino.

Naima, Aglianico Igt Paestum 2002
Tappo, purtroppo.

Naima, Aglianico Igt Paestum 2003
Rosso rubino carico. Naso di chiaroscuri, di frutta integra, non cotta come ci si aspetterebbe, di toni fumè, di cola ed erbe balsamiche: semplice, ma non stucchevole.
Al palato è succoso, pieno, muscoloso, corto nella sua persistenza, ma pulito nell’esecuzione.

Naima, Aglianico Igt Paestum 2004
Al colore già persuade e seduce. Naso ancor compresso, giovane. Lascia intravedere un’intelaiatura di erbe aromatiche di sicuro fascino, di frutta turgida, di mineralità di “matrice agrumata”, di sbaffi floreali e minuziosa speziatura. Poi grafite, la nota di eucalipto a dargli ampiezza, roccia bagnata. Al palato abbisogna ancora di tempo: mostra, frattanto, una beva facile, semplice e fluida. La giusta stretta tannica ci regala una tessitura pregiata pur interrompendo la progressione aromatica. Giovane è già bello.

Naima, Aglianico Igt Paestum 2004 selezione Willburger
Rispetto al classico Naima, continua il suo affinamento per ulteriori 18 mesi in botti da 30 ettolitri di rovere di Slavonia. È commercializzato in poche migliaia di magnum. È il Naima del futuro e noi non possiamo che rallegrarcene. Ricalca, grosso modo, il fratello minore, con la differenza che qui tutto appare più chiaro, leggiadro, aereo. Un’intrinseca forza motrice ne detta il ritmo tanto al naso quanto al palato, dove l’ossatura agrumata riverbera note nitide di arancia sanguinella. Al sorso è leggiadro, succoso, diretto fino alla fine, il tannino è seta sapida, e un leggero tocco metallico, di adamantina purezza, chiude il sorso e fa scorrere un brivido dietro la schiena: siamo sicuri, questa è terra che in potenza può esprimere rossi emozionanti.

Naima, Aglianico Igt Paestum 2005
Rubino con sfumature, appena accennate, purpuree. Il naso è sporco, il vino in una fase di riduzione da cui non uscirà neanche lasciando la bottiglia aperta e riprovandolo il giorno dopo. Ci accontentiamo del palato: l’annata fredda e piovosa ci regala un vino di facilissima beva, ancor stretto nel suo sviluppo, ma il cui finale e le note retrolfattive di erbe aromatiche ci hanno piacevolmente colpito. (Il campione di botte del pari annata Willburger, si mostrava, come nel caso dell’annata precedente, ancora più espressivo).

Nota: Tutti i vini che saranno presentati via via in questo servizio sono stati degustati a Napoli e riassaggiati a 24 ore dall’apertura, eccezion fatta per l’intera verticale del Naima dei Viticoltori De Conciliis, le cui bottiglie sono state prelevate dall’Azienda e contestualmente aperte il 10 gennaio 2010 in compagnia dei giornalisti Adele Chiagano e Luciano Pignataro e del produttore Bruno De Conciliis, con cui si è ripetuto l’assaggio, come nostra consuetudine, il giorno dopo.

Le tre foto in bianco sono di Michele Calocero, che ringraziamo insieme a Bruno de Conciliis, che ce le ha fornite. Quella del Naima del nostro archivio.

Viticoltori De Conciliis
Località Querce, 1
84060 Prignano Cilento (SA)
tel: 0974 831090
info@viticoltorideconciliis.it
www.viticoltorideconciliis.it
Bottiglie prodotte: circa 200.000

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