

Prende il via, con questo contributo enogastronomico condito da suggestioni di viaggio, la collaborazione tra Maria Lucia Nosi (assaggiatrice ANAG – Associazione Nazionale Assaggiatori Grappe – ma anche appassionata di meno alcoliche sostanze) e L’AcquaBuona
Beh, non è proprio il massimo viaggiare da soli verso zone sconosciute quando sai che molti tuoi amici stanno trascorrendo un fine settimana tra le vie di Valenzia festeggiando il carnevale con fiumi di sangria e oceani di tapas. E mentre ti avventuri in macchina dentro un breve paesaggio innevato la mente seppure vigile vaga tra i ricordi di una settimana movimentata dove la nomina alla commissione tanto aspettata, la comunicazione della prima riunione annuale che coincideva con un fine settimana organizzato da tempo e l’immagine una Spagna da cartolina che si allontanava si affollavano nella mia mente turbinando con una piccola lacrima di rimorso. Tuttavia alle volte anche le passioni hanno il loro piccolo prezzo da pagare. E la mia passione per la grappa richiedeva di rinunciare a un po’ di più o meno sano edonismo. Ma alla fine, direte, anche fare chilometri per la grappa certo non sembra così male. Ed effettivamente pregustando gli assaggi il cuore, lo stomaco e soprattutto la gola sembravano risollevarsi per poi chiudersi un po’ al pensiero di una riunione dove si sarebbero stabilite regole, fatte votazioni e quant’altro una commissione deve fare.
Per tale motivo, richiamata dal dovere spinto da un pizzico di piacere, mi sono diretta in Veneto, più precisamente nella zona dei Colli Berici, che, data la mia scarsa attitudine alla geografia, ho conosciuto solo pochi anni fa grazie proprio alle sue Doc. È la zona che unisce la pianura padana ai Colli Euganei e presenta un terreno calcareo che consente una buona coltivazione di vitigni come il pinot bianco, il merlot, lo chardonnay e la garganega, e non solo, ma che, grazie al clima particolare, consente anche la coltivazione dell’olivo.
Immerse in quelle strade si trovano poi tanti piccoli luoghi di interesse turistico ed architettonico, in particolare le famose ville venete che si stagliano grandi e imponenti all’interno di giardini verdissimi e cieli che si rivelano limpidi e decisi appena è passata la nebbia. Così come si sarebbe rivelata Villa Fogazzaro Colbachini il giorno dopo. Ebbene sì, con mia somma sorpresa andavo a dormire proprio davanti alla villa di Antonio Fogazzaro, l’autore di uno dei più famosi romanzi dell’800: “Piccolo mondo antico” (1895). E un brivido di passato calava nostalgico così come la sera su quel nuovo paesaggio.
Proprio all’interno di uno di queste zone, nella zona di Montegalda (VI), si trova l’azienda agrituristica Il Palazzone, gestita dai proprietari della distilleria F.lli Brunello, attiva già dal 1840. Un ambiente non molto grande e con stanze arredate in modo semplice ma fortunatamente calde e funzionali, l’agriturismo offre quello che a una esausta cittadina può richiedere dopo 4 ore di viaggio spezzate da piccole soste autogrilliane, litigate con un navigatore mai usato e un inevitabile errore di inserimento della destinazione, un’uscita sbagliata e ore e ore di musica nelle orecchie solitarie: il silenzio!
Dopo quel viaggio che sembrava interminabile, all’inizio mi aspettavo di trovare il mio premio da single-rinuncitaria-di-una-splendida-gita-a-Valenzia, una storia tipo il vecchio telefilm anni ’80 Love Boat: mi immaginavo che arrivata a destinazione mi sarei imbattuta nell’uomo della mia vita e ci saremmo innamorati nell’arco di 2 ore per vivere poi felici per sempre. Logico, no? Certo che a pensarci ora, era un telefilm pieno di illusioni altamente devianti … E invece, appena arrivata mi ha aperto una gentile signora dai capelli bianchi e candidi come la neve, lo sguardo gentile, l’accento vicentino (credo che lo fosse, non ne ho molta esperienza) e un bellissimo placido sorriso che si è trasformato in una smorfia di stupore quando si ha saputo che ero venuta “da sola! Dalla Toscana!”. E a queste parole già la mia immagine solitaria nella stanzetta singola strideva con il pensiero di bicchieri pieni di sangria dei miei amici che tintinnavano nella mia mente. Tuttavia ormai ero lì, la scelta era stata fatta. Quindi mi sarei fatta una doccia veloce e poi… beh e poi tutti i miei progetti di un avventurosa puntata verso la vicina Venezia sono state scacciate dalla seduzione di un letto morbido, comodo, caldo e ingannevole tanto da rendere i famosi “5 minuti e poi mi alzo” un sonno profondo in stile Bell’Addommentata.
Naturalmente niente baci al risveglio se non quello piccolo ripieno di cioccolata comprata in una delle varie stazioni di servizio. E naturalmente l’aria fresca e per mio naso cittadino pulita di una zona tranquilla dove tutto aveva il sapore delle cose semplici come la tipica colazione con pane, burro e ovviamente marmellata fatta rigorosamente in casa dalla piccola sorridente signora della sera prima. E poi, nell’attesa dei ritardatari alla riunione, una passeggiata verso quella villa dal nome così importante per il turismo del luogo, ma che per me aveva anche il sapore di un ricordo di bambina con mia madre che mi raccontava appassionata la storia dei protagonisti, seguito poi da un passione letteraria da secchiona liceale.
Eretta su ordine di Giovanni Antonio Fogazzaro dall’architetto Antonio Caregaro Negrin nel 1846 su un nucleo del XVII secolo, la villa è caratterizzata da uno stile definito tardo neoclassico. Si trova all’interno di un giardino ben curato e guardando dalla strada si nota un piccolo parco attraversato da un piccolo fiumiciattolo sovrastato da piccoli ponti. Per quanto “Piccolo mondo antico” sia ambientato in provincia di Como, non potevo non guardare alla villa, ai ponti, al parco senza sentire riecheggiare le parole di Franco e Luisa, della piccola Maria, e le descrizioni di paesaggi semplici, quasi immobili ma di una pungente bellezza da contemplare in contrasto con un’Italia che cambiava, che si muoveva e cantava libertà e unità anche coperta da coltri di nebbia.
La stessa semplicità l’ho poi trovata anche dopo. Chiusi all’interno di un’ampia stanza dell’agriturismo, ci siamo ritrovati come gruppo ristretto di assaggiatori e distillatori del nord e centro Italia per discutere, dibattere, stabilire e ridere sul passato, presente e futuro di una commissione ancora da nutrire e da ridefinire ma legata da una passione comune: l’amore per la grappa. Un po’ conservatori e un po’ rivoluzionari le nostre voci e le nostre idee sconvolgevano per un la quiete circostante, per trovarsi, allontanarsi, incontrarsi e scontrarsi per essere poi sacrificate sulla tavola, o meglio A tavola: quando si mangia e si beve bene tutto si placa. E si placa nella semplicità del luogo e del gusto dove anche le lontananze sembrano non esistere più. Uniti ai salumi del luogo e a delle ottime scaglie di Parmigiano, il delegato dell’Umbria aveva portato direttamente dalla Campania l’Asprinio d’Aversa Brut prodotto dalla fattoria di Torre Gaia. L’Asprinio è uno di quei pochissimi vitigni che si coltivano con l’ausilio di un tutore vivo, in questo caso i pioppi o gelsi. Le piante vengono “accoppiate” all’albero crescendo e arrivando a una altezza di 15-20 metri e la vendemmia viene effettuata con l’ausilio di lunghissime scale. “Beh l’Asprinio è un vitigno rivalutato molto recentemente e questo vino in particolare ha una buona acidità che ci permette di abbinarlo benissimo a molti piatti, anche, ad esempio, ad un antipasto a base di formaggi e salumi” ci ha spiegato il delegato umbro. Ed effettivamente lasciava in bocca una sensazione di pulizia senza però contrastare con il sapore dei salumi stessi, anzi, cosa stupefacente, riusciva a far risaltare ancora di più il sapore del Parmigiano.
Era un invitante inizio per un pranzo che si è svolto secondo la migliore tradizione vicentina con un brodo di gallina che potrei definire buono, dato che non sono un’appassionata, ma soprattutto con un baccalà preparato secondo i tempi placidi di un luogo un po’ fuori dal tempo. Perché ci vuole tempo e si deve essere fuori dal tempo stesso per poter cucinare le vecchie ricette di un piccolo mondo ancora antico. Naturalmente si sa che chi ben inizia è a metà dell’opera, perciò il baccalà deve rimanere sotto l’acqua corrente per almeno 24 ore, “E” sottolinea Paolo Brunello “ALMENO” come se delle lettere cubitali uscissero dalla sua bocca. E poi una leggera impanatura, una leggera scottatura, cottura nel latte con cipolla, prezzemolo e il delegato di Varese sembra percepire “forse qualche acciuga”.
“Beh” chiedo “Forse?” e cerco con lo sguardo la conferma di Paolo che però mi sorride impenetrabile. È una ricetta di famiglia, e non si può rivelare il segreto. Ma sicuramente c’è sempre quel qualcosa in più di particolare che non è dato certo dalla polenta con cui viene servito come la tradizione vuole. E con vini rigorosamente DOC Colli Berici, tra cui eccelleva un ottimo Pinot Bianco sempre dei Fratelli Brunello. D’altra parte il pranzo era organizzato da loro ed erano orgogliosi di farci conoscere nel modo migliore i loro prodotti. E quale occasione migliore ci potrebbe essere se non un pranzo tra golosi appassionati? E tra bocconi che riempivano bocche affamate di benessere e tradizione, piccoli discorsi su uomini e donne, impossibili gite verso casinò sloveni, siamo arrivati al dolce dove insieme a una burrosa pasticceria secca trionfava una cubana portata direttamente dal Friuli. Dolce calorico ripieno di uvetta e frutta secca, e spolverato di zucchero a velo, è stato più o meno equamente diviso tra i golosi astanti accompagnato dal prodotto che tutti stavamo aspettando: la grappa.
Naturalmente ne avevamo un’ampia scelta visto chi erano i nostri ospiti, ma quella che più mi ha colpito è stata la grappa di Zibibbo della linea I Ricordi. Il sapore dolciastro, che non metteva in ombra l’alcolicità, si abbinava al dessert esaltandone le note passite e cullando un po’ la bocca lasciandoti andare a ricordi di tenerezze passate e voglia di cullarsi e stare bene. Ma non è per questo che la linea si chiama così. Il suo nome nasce dalla voglia di riscoprire e ricordare vitigni antichi o poco conosciuti come il carmenere dei Colli Berici, l’enantio della Valdadige, il catarratto di Monreale ed altri. Creare non solo una grappa monovitigno, bensì anche uno strumento per conoscere l’arte della distillazione tramandata di generazione in generazione insieme a un po’ di storia del nostro gusto e, letteralmente, delle nostre radici. Dare al passato uno spazio nel futuro. Un piccolo mondo che forse così antico allora non è più.
PER GLI AMANTI DELLA GRAPPA: Se non l’avete mai fatto, vi consiglio di assaggiare (meglio se direttamente in loco) le grappe della PREMIATA DISTILLERIA PAGURA, a Castions de Zoppola (PN): è fantastica! soprattutto quella di Refosco. Per fortuna c’è ancora chi produce grappa a 50°!!!!
Troverete tutto su http://www.distilleriapagura.com