Carbossimetilcellulosa, un nuovo/vecchio stabilizzante per le precipitazioni tartariche

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Con il recente Regolamento (CE) n. 606/2009 è stato introdotto l’uso della Carbossimetilcellulosa (CMC), o gomma di cellulosa, per la stabilizzazione tartarica dei vini. Dal punto di vista chimico la CMC è definibile come il sale sodico dell’etere carbossimetilico della cellulosa, ed è caratterizzata da un polimero a base glucidica polisostituito da gruppi carbossimetilici salificati con sodio.  Nello specifico le caratteristiche tecniche  della CMC variano in funzione di due fattori, per il campo che ci nteressa: il numero di sostituzioni e la lunghezza della catena polimerica.

Al numero di sostituzioni è legata la sua efficacia di azione nei confronti delle precipitazioni tartariche; alla lunghezza del polimero è legata la viscosità del prodotto e la sua filtrabilità. In particolare per numero di polimerizzazioni superiori a 300 si possono avere aumenti molto consistenti dell’indice di colmatazione con conseguente intasamento dei filtri e impossibilità di utilizzo del prodotto.

Ma a parte queste caratteristiche su cui torneremo, la CMC è un prodotto utilizzato universalmente nell’industria alimentare e non. Nel settore alimentare viene utilizzato me addensante, così come nell’industria farmaceutica, ma si utilizza anche nel setteore minerario, come additivo ai fanghi di trivellazione, nel settore cartario, nel tessile, nella produzione di vernici, ceramiche, refrattari, accumulatori ed elettrodi, mangimi, ecc.

Praticamente in ogni caso vi sia da controllare densità/viscosità di soluzioni acquose, la CMC fa la sua parte. Da qui la grande produzione di CMC e la sua larga disponibilità sul mercato. La purezza della formulazione è però particolarmente diversa come si capisce anche dagli usi che se ne fanno: per quello alimentare è ammessa solo quella rispondente alle caratteristiche del Codex Al.

Conosciuta ed utilizzata da tempo nel settore alimentare, i primi studi tecnici sulle sue capacità inibenti le precipitazioni tartariche risalgono agli anni ’80  del secolo scorso ad opera di Wucherpfennig.  Successivamente studi di scuola francese ne hanno riproposto l’utilità e caratterizzato l’uso fino alla risoluzione dell’ OIV n° 74 del 2001 che ha permesso l’introduzione successiva nel regolamento europeo e nel Codex OEnologicus.

Ma torniamo alle caratteristiche del prodotto: dal punto di vista dell’efficacia nel prevenire le precipitazioni tartariche nel vino. In condizioni tecniche soddisfacenti, la CMC fornisce una protezione di rilievo. Essa è sicuramente superiore all’acido metatartarico, di cui non presenta gli inconvenienti legati alla temperatura di conservazione, ed anche alle formulazioni di mannoproteine, che tendono a intorbidire il vino e a modificarne talvolta il gusto. Anch’essa però deve avere caratteristiche precise: il grado di sostituzione deve essere compreso tra 0,6 e 0,95, pena la perdita delle cartteristiche di prevenzione delle precipitazioni e numero di polimeri non superiore a 150 unità, a causa dell’ aumento della viscosità del vino che lo rende non filtrabile.

A queste caratteristiche positive (ricordiamo che le prestazioni in relazione alle precipitazioni tartariche sia con sali di potassio che di calcio sono notevoli), si affiancano anche indicazioni di criticità che è opportuno ricordare:

  • Da esperienze con vini rossi e rosati giovani con materia colorante non stabilizzata esiste il rischio di intorbidimenti per interazione tra la CMC e tali antociani;
  • La CMC deve essere utilizzata in prodotti stabili dal punto di vista proteico altrimenti dà origine ad intorbidimenti e anche con vini trattati con lisozima:
  • L’indice di filtrabilità dei vini rossi  tende ad innalzarsi dopo l’aggiunta di CMC ma il fenomeno appare temporaneo e nell’arco dell 24 ore la normalità è pressoché ristabilita.

In conclusione, un prodotto di antica utilizzazione in molti campi che oggi approda all’enologia permettendo indubbi vantaggi nella stabilizzazione tartarica dei vini ma che impone attenzione nell’uso e nella specificità dei casi.

Lamberto Tosi

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