L’oste che non c’è – Santo Stefano (TV)

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di Federico de Wolanski

“Federico de Wolanski, da Treviso, giornalista professionista di 31 anni, appassionato di storie, vita, ma anche vino e viaggi”. Così si presenta l’autore del bel pezzo che segue, il primo che appare sulla nostra rivista on-line.

Un casolare sulla cima di una collina, la porta aperta, un frigorifero pieno di bottiglie di vino e una credenza di bicchieri e piccole golosità, dai formaggi ai salumi, fino alle semplici e sincere uova sode. Inizia anche così uno dei tanti racconti al profumo di prosecco tra le colline di Valdobbiadene, nella Marca trevigiana. È una storia di vino, ma senza osti o camerieri di mezzo. Sotto quel tetto infatti non c’è nessuno a servire o controllare la cassa. Ci sono i cavatappi, i coltelli e un salvadanaio in legno bene ancorato. Chi ha fame o sete più servirsi da sé, come fosse a casa sua, “basta rispettare il luogo” recita un cartello appeso alla parete. La firma? “L’oste che non c’è”.

Trovare il posto non è cosa facile. Non esistono insegne, non ci sono indicazioni. “Dista poche centinaia di metri dal paese di Santo Stefano“, tra i filari del Cartizze, fratello nobile del Prosecco. Di più, solitamente non si dice. L’unico modo per andare a colpo sicuro è chiedere alla gente del posto, locandieri compresi. Perché alla fine quella della cosiddetta “Osteria senz’oste” più che concorrenza è un buon indotto di visitatori, incuriositi da una voce che passa di bocca in bocca da ormai tre anni, da quando una passeggiata tra i filari incontrò quella porta aperta, ed entrò a versarsi un bicchiere de chel bon (di quello buono).

Il casolare è piccolo, un focolare al pianterreno e una sala al secondo piano. L’arredamento semplice. Tavoli in legno, sedie, un paio di panche; tutt’attorno vecchi strumenti di lavoro contadino e artigianale, mensole, fotografie e qualche ciocco di legno per ravvivare il fuoco d’inverno. Fuori, una vista mozzafiato sul dondolare dei crinali pettinati da poche, fortunate aziende agricole. Dentro, in un angolo, un vecchio frigorifero all’americana pieno di bottiglie di tipiche bollicine alla trevigiana: prosecco dry, spumante, prosecco fermo e non filtrato, coltivazione bio ed esperimenti di altre cantine. Tutto di zona. Si sceglie, si stappa e si versa. Poi è l’ospitalità a riempire o meno il calice anche a chi potrebbe entrare in casa qualche minuto dopo. Il pane, finché non finisce, è su un ripiano vicino al camino, lo stesso dov’è posato un cestino di formaggi e qualche condimento… non si sa mai. Al muro, in una bacheca aperta, pendono salami e salamini per ogni gusto. Il tagliere? Un palmo più in là, pronto all’uso.

All’Osteria senz’oste non c’è fretta. L’ultimo rintocco è una luce rossa che si accende alle 23 e invita gli ospiti tardivi a pagare il conto e tornare sulla via di casa. E il bello è proprio questo: pagare. Bottiglie, salami o formaggio hanno un costo. Dai sei ai dieci euro il vino, otto i salumi. La somma è semplice; poi si infilano i soldi nel salvadanaio e si va via. Unica accortezza? I bicchieri, da riporre gentilmente sul davanzale di casa. E tanti saluti all’oste.

Sulla furbizia vince l’ospitalità silenziosa di chi, per un giorno o pochi minuti, offre una casa in collina e di un buon bicchiere di vino sul silenzio della valle. Perchè l’oste non c’è, è vero, ma passa per rassettare, riempire il frigo, appendere nuovi salumi e scappar via prima che arrivi qualcuno.

Si chiama Cesare De Stefani, uno dei due fratelli che gestiscono l’omonimo salumificio giù in vallata. Ha aperto le porte dell’osteria “per gioco”, racconta, ma col tempo ha capito d’aver creato una piccola leggenda, un luogo d’incontro unico e difficile da imitare. Ogni giorno riempie la cantina con prodotti della zona; le bottiglie arrivano da cantine familiari e grandi produttori, stessa cosa per quanto riguarda formaggi e salumi, che in questo caso sono i suoi. Ospiti non mancano mai, d’inverno e d’estate. C’è una palizzata in legno per affacciarsi e godere il panorama, e per più viziosi c’è perfino una terrazza a sbalzo sul pendio dove siede il casolare. Uno dei tantissimi bigliettini di ringraziamento lasciati al muro dagli ospiti di turno lo definisce “un luogo fuori dal mondo”.

E l’oste se la ride, tanto nessuno lo vede.

Le foto sono dell’autore.

L'AcquaBuona

3 COMMENTS

  1. Mamma mia che bellezza! Il paesaggio ha perfino un ché di Toscana 🙂 Bella l’idea dell’osteria dove l’oste non c’è, pubblicità indiretta, ma mi chiedo quanti paghino davvero quanto consumano. Comunque da segnare e andare a scovare…

  2. Mi ricorda la buriana, una piccola casa rimasta dimenticata nel tempo. Una vita di ricordi, i bimbi piccoli, il cane Tommy che ne era innamorato, venti anni di intenso rapporto con la natura.
    L’antica vigna di vermentino fatta di pochi filari tramandata nel tempo, un vino che non era mai eccezionale ma ti riempiva di gioia quando lo degustavi per la splendida vista mare che il luogo ti regalava.
    Un idea per promuovere la vicenda, meravigliosamente raccontata “dove l’oste non c’è”, anche per la Versilia a volte troppo caciarona, così da riscoprire un valore ormai dimenticato.

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