De gustibus… nella Via Lattea

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La valutazione della qualità di un cibo può essere una capacità estremamente soggettiva. Non tutti i gusti sono uguali, soprattutto nell’immensità della Via Lattea. Il fatto di cronaca che riporto in questo articolo può essere molto istruttivo a riguardo.

Le missioni spaziali dedicate allo sfruttamento e alla colonizzazione del Sistema Solare continuavano a ritmo incalzante. Sicuramente gli asteroidi rimanevano uno dei punti chiave. Le loro risorse in elementi chimici pesanti e preziosi garantivano un futuro più che roseo per l’umanità. Ed erano anche facili da raggiungere. Inoltre la loro bassa gravità garantiva tutte le condizioni migliori per costruire miniere e per il trasporto del materiale.

La Luna era invece considerata un sito incomparabile per lo sviluppo del turismo, non fosse altro per la splendida visione del nostro pianeta che si poteva ammirare dai punti predisposti per l’osservazione. Anche gli astronomi avevano stabilito laboratori sul nostro satellite e avevano costruito giganteschi telescopi.

Marte sarebbe sicuramente stata la prima vera colonia stabile per alleggerire la Terra dal problema della sovrappopolazione. Si era capito come fare a modificare l’atmosfera e ormai si pensava, in un prossimo futuro, a una tranquilla sopravvivenza senza tute e maschere speciali. L’acqua era piuttosto abbondante e bastava sicuramente al fabbisogno dei residenti. Le cupole di plastica sintetica garantivano le coltivazioni di ortaggi e le mucche cibernetiche potevano tranquillamente scorrazzare per il pianeta fornendo un latte altamente nutriente e ricco di minerali.

Per avere i combustibili necessari ai trasporti e alle maggiori industrie terrestri bastava andare su Titano e sfruttare al meglio i suoi laghi di metano misto ad altri idrocarburi. Acqua in abbondanza si trovava negli altri satelliti di Saturno.

Proprio su questi si stavano compiendo gli sforzi più recenti. Mima, Teti ed Encelado erano i satelliti al centro degli studi tecnologicamente più avanzati. Si doveva riuscire a trasformare in acqua il ghiaccio che costitutiva la maggior parte di essi, poi filtrarla per eliminare le impurità e infine incanalarla verso la Terra. Un grosso problema senz’altro, ma che sarebbe stato in breve superato con le risorse attuali.

Una di queste missioni stava lavorando su Encelado, un corpo celeste di circa 500 km di diametro, composto quasi totalmente da ghiaccio d’acqua che sembrava anche di grande purezza.
L’equipaggiò sbarcò sulla distesa ghiacciata e quasi candida del satellite e iniziò le analisi in loco. I primi risultati mostrarono leggere contaminazioni di origine incerta, che variavano sensibilmente da luogo a luogo. Anche l’odore che ne derivava dava strane sensazioni. Si prelevarono varie “carote” e furono portate in laboratorio per analisi più approfondite. Niente da fare. Gli elementi chimici che sembravano essere presenti in minima percentuale nel ghiaccio non assomigliavano a niente di conosciuto. Erano probabilmente prodotti di sintesi generatisi a seguito d’impatti con comete e di strane reazioni avvenute durante la storia geologica del corpo celeste. Una volta trasformate in acqua, le “carote” mostrarono anche leggere differenze di colore. Alcune davano luogo a un liquido leggermente rosato, altre a uno di tenue colore arancione, altre ancora avevano riflessi azzurrognoli. Qualsiasi cosa fossero quegli strani elementi chimici potevano essere probabilmente filtrati in modo più che soddisfacente e la questione rimaneva essenzialmente di tipo teorico piuttosto che pratico.

Fu solo per puro caso che il sergente Steve Tyron pose una mano sul ghiaccio della carota “rosa”. Era estremamente freddo e per pura reazione istintiva si leccò le dita senza riflettere. La paura di essere stato contaminato lasciò subito il posto a una grande meraviglia che gli fece subito dimenticare il pericolo che stava correndo. Il ghiaccio aveva un sapore meraviglioso! Sembrava un misto di fragola, lampone e mirtillo. Una squisitezza. Portato subito in infermeria gli furono fatte analisi cliniche accuratissime. Fortunatamente non si trovò nessun batterio o microbo sconosciuto e tutte le ricerche diedero esito negativo. Passato un periodo di quarantena, per essere completamente sicuri dell’inoffensività dello strano ghiaccio, si cominciarono a fare studi sensoriali diretti.

Il comandante in capo della spedizione volle essere il primo a provare. Cominciò con il ghiaccio rosa e confermò il meraviglioso sapore di frutti di bosco. Poi assaggiò quello arancione. Un soave gusto di agrumi, dal cedro all’arancio, dal mandarino al limone, inondò la bocca del capitano. Tentò con quello azzurrognolo e di nuovo ne scaturì un intenso e raffinato sapore non definibile, ma di estrema bontà. Furono mandate subito delle pattuglie per prelevare campioni di ghiaccio in altre zone. Le “carote” che furono analizzate erano completamente diverse dalle prime. Se ne trovò una al gusto di cioccolato e caffè, un’altra che ricordava la prugna, un’altra ancora che dava la sensazione di un grande nebbiolo invecchiato. Non vi erano più dubbi: la superficie e forse anche l’interno del satellite erano una vera miniera di “gelato”! E di qualità mai assaggiata sulla Terra. La quantità estraibile era immensa e appena la notizia si sparse sul nostro pianeta, le maggiori industrie dolciarie fecero a gara per acquistare i diritti di estrazione.

Encelado sarebbe presto diventato il mondo del gusto e del piacere gastronomico. In fondo vi erano molti altri satelliti composti di acqua “pura” e il satellite di Saturno poteva benissimo essere sfruttato solo come delizia dolciaria. E così fu. Anche il palato aveva fatto una conquista “spaziale” e non c’era niente di male in questa inaspettata scoperta. Nacquero in fretta esperti che dimostrarono la loro perfetta conoscenza dei gusti provenienti dalla luna di Saturno. Si scrissero libri e si prepararono le prime guide sui gelati planetari.

Quando la Terra stava assaporando ormai da sei anni le meraviglie di Encelado, e la cultura gastronomica aveva creato una nuova branca (la gelatostronomia), il capitano della gigantesca astronave da trasporto “Antalius”, del quinto pianeta della stella Deneb, era a rapporto davanti all’ammiraglio in capo dei trasporti intergalattici. Tutto sudato, stava facendo una grande fatica a convincere il suo superiore che era stato il danno al motore iper-neutronico di destra a costringerlo, otto anni prima, a svuotare i rifiuti organici liquidi dell’intero viaggio proprio nel bel mezzo di un sistema planetario abitato!

Vincenzo Zappalà

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