Una cena coreana… evviva l’immigrazione!

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C’è persino chi si preoccupa della sparizione della razza italica, questa cosa inesistente che non è altro che il mescolamento di generazioni e generazioni di esseri umani provenienti da ogni parte del mondo. Chi non vuole i kebab nei centri storici (ma gli hot dog sì), chi mangia solo spaghetti, anche quando si trova in Madagascar (o magari in Madagascar non ci va neppure perché ha il timore di non trovarli, gli spaghetti…). E questo solo per parlare delle reazioni gentili all’immigrazione, a questo fenomeno incontenibile di cui noi stessi siamo causa e che noi stessi abbiamo alimentato nei secoli passati sparpagliandoci in mezzo mondo. E come eravamo anche noi brutti e sporchi!!!

Per fortuna i nostri figli a queste cose non ci faranno caso, tanto sono abituati fin da piccoli a vivere coll’arabo, coll’albanese, col cinese… il bello della scuola! Quella pubblica naturalmente, perché qualche genitore poco saggio può purtroppo sempre rovinarli i propri figli, magari relegandoli nella riserva indiana di qualche scuola privata per ricchi e bianchi…

Ma perché lasciare solo ai propri figli i vantaggi della multiculturalità? Fare amicizia con genitori immigrati può essere una ben piacevole esperienza, anche culinaria. Ecco infatti cosa può succedere avendo in classe dei bimbi coreani…

Avete mai sentito parlare del kim-chi? Si tratta di un pestilenziale cavolo fermentato sotto sale, a cui sono aggiunti aglio, zenzero, peperoncino, e che più ne ha più ne metta, basta cercarlo in rete per trovarne numerose varianti. Comunque sia, è per i coreani quello che per noi potrebbe essere il prezzemolo, per i francesi la vinaigrette, insomma, una cosa senza cui non si può cucinare. Se non avete sentito il kim-chi beh, non potrete neppure cominciare a capire la cucina coreana, che è tuttaffatto diversa da quella giapponese o cinese (specialmente da quella che si può assaggiare in Italia) proprio per il fatto di essere declinata sui sapori forti, acidi, al limite del maleodorante, del kim-chi e di molti altri ingredienti che spesso si presentano in preparazioni sottosale e fermentate. Un chiaro lascito dell’epoca in cui non c’erano i frigoriferi, e le verdure estive andavano conservate per cibarsene durante l’inverno. A quell’epoca ogni casa coreana aveva degli orci di coccio, i kim-chi-dok (rigorosamente tenuti fuori casa!), dove stivare il kim-chi a fine estate, per preservarlo e utilizzarlo nei freddi inverni. Oggi in Corea esistono frigoriferi appositi per conservare il kim-chi, a temperatura e umidità controllate, così da farlo durare più a lungo che in un frigo tradizionale.

Un piccolo preambolo, che non spiega certo l’essenza della cucina coreana, ma può aiutare a capire le ricette che seguono, frutto di una cena cucinata appunto dai nosri amici coreani, immigrati anch’essi.

Jab Tchè (si legge con la Tch di Tchaikovsky), ovvero gli spaghetti.

Gli ingredienti per il Tchap Tchè

Questo appetitosissimo modo di condire gli spaghetti di soia mette subito in evidenza due caratteristiche comuni alla cucina orientale, quella di tagliuzzare tutto per renderlo mangiabile coi bastoncini e la cottura che avviene spesso separatamente per ogni ingrediente.

Per condire gli spaghetti si preparino spinaci, carote, cipolline verdi, funghi freschi (champignon), carpaccio di manzo e aglio. Sbucciate quest’ultimo e sbollentate gli spinaci per pochi minuti. Pulite le carote e le cipolline, senza gettare la parte verde. Pulite i funghi e spezzateli con le mani. Poi passate ai tagli. Il carpaccio fatelo a quadratozzi, le cipolline tagliatele per lungo, tritate finemente l’aglio. Per le carote ci vuole un pò di manualità: tagliatele prima a losanghe, tenendo le losanghe allineate con la mano, poi adagiatele e smazzatele un po’ come fosse un mazzo di carte, infine tagliando trasversalmente ottenete degli stecchini molto fini.

Mescolate quindi, in una zuppiera, gli spinaci sbollentati e scolati con aglio, un paio di cucchiai di zucchero, un cucchiaio di salsa di soia e due cucchiaini di olio di sesamo (l’olio di sesamo è un altro ingrediente insostituibile per ottenere un gusto coreano). Mettete da parte gli spinaci e fate lo stesso trattamento alla carne.

Si saltano le carote nel wok

A questo punto serve lo wok, la padella semisferica di ferro tipica dell’oriente, ma ce la possiamo anche cavare con una padella antiaderente, anzi, visto le diverse cotture si può procedere con entrambe. Saltate quindi rapidamente le cipolle tagliate a rondelle in olio di semi, con poco sale, ripetete l’operazione con le carote, cuocendole un po’ più a lungo, e infine con le cipolline. Mettete tutto insieme in una ampia zuppiera. Saltate anche gli spinaci che avevate condito in precedenza, ma solo per un attimo, a fuoco vicace. E infine stesso trattamento per la carne, cui si può aggiungere ancora un po’ di salsa di soia se appare troppo chiara, perché per i coreani la carne appare più buona se è più scura … appena la carne prende colore aggiungete i funghi e fate ritirare il liquido di cottura.

La frittata decorativa

Dobbiamo pensare ora alla decorazione e per questo prendete tre uova, separate i tuorli dagli albumi, sbatteteli e fatene due frittatine (una gialla e una bianca) che poi taglierete a fettine sottili.

Bollite gli spaghetti di soia in abbondante acqua a cui avrete aggiunto un po’ di olio di semi e un cucchiaio di salsa di soia, scolate, e gettate tutto insieme nello wok. Non pensate di riuscire a mescolare tutta questa roba con una forchetta, usate le mani! Infine saltate a fuoco vivace, aggiustate di salsa di soia, sale e pepe, versate in una zuppiera e decorate con le fettine di frittata…. Jab Tchè!!!

Questo poteva già bastare per una cena, naturalmente gustato insieme al kim-chi che deve sempre essere presente in tavola, e ai fogli di alghe essiccate e salate, il kim, altro ingrediente base della cucina coreana, e non solo, ma non di una cena normale si trattava, ed eccoci quindi ad un altro piatto nazionale, il kim-bab (letteralmente alga-riso) che un profano a prima vista chiamerebbe sushi… anche se non c’incastra nulla. Si tratta infatti di rotolini di riso con carne, uova, verdure, per questa sera preparati in una versione moderna, con tanto di würstel all’interno.

Ingredienti per il kim pap

Partiamo dal riso appunto, dicendo che un superfino roma può ben assolvere al compito. Lavatelo, sciacquando più di una volta e lasciatelo in ammollo per dieci minuti. Il riso va poi lessato all’orientale, ossia, in assenza di bollitore adatto, mettendolo in una pentola bassa e ricoprendolo di un dito d’acqua. Cuocetelo poi coperto, senza mai mescolare, a fuoco medio-basso. Molto probabilmente, al raggiungimento del bollore, l’acqua verrà fuori dalla pentola, ma non vi preoccupate, attendete dieci minuti e poi assaggiate il riso, se risulta abbastanza tenero date una mescolata e spegnete il fuoco. Il riso deve risultare appiccicoso.

Si arrotola il kim pap

Gli altri ingredienti da utilizzare sono il kim, ovvero i fogli di alghe, ancora spinaci sbollentati, carote, cetrioli, würstel, uova, olio di sesamo.

Affettate, per il verso della lunghezza, wurstel, carote e cetrioli in bastoncini a sezione quadrata. Cospargete i bastoncini di cetriolo con sale e quando hanno buttato fuori l’umidità sciacquateli strizzateli con le mani. Saltate i bastoncini (ma non quelli di cetriolo) in olio di semi e poi, con le due uova, fate una frittatina. Strizzate gli spinaci e mescolateli con olio di semi e un po’ di sale. In una zuppiera condite il riso con olio di sesamo e poco sale.

Ecco i rotolini

A questo punto c’è da comporre il rotolino, e grande aiuto si otterrà utilizzando la stuoietta di bambù apposita, pur potendo anche ricorrerere a un canovaccio. Stendete dunque il riso sul foglio di alghe, lasciatene però libera una striscia e spianate bene il riso utilizzando il dorso di un cucchiaio unto con olio di sesamo. Disponete i würstel e i bastoncini di verdura, aggiungete le striscioline di frittata e arrotolate, facendo pressione.

Il vostro rotolo è pronto, ma per renderlo più piacevole cospargetelo ancora con un velo di olio di sesamo e con semi dello stesso. Infine affettate per ottenere piccole rondelle tutte della stessa altezza (un paio di centimetri) e disponetele in un vassoio a formare una struttura a piramide.

Si prepara il sushi

I nostri amici coreani non sono però troppo attaccati alla tradizione, ed ecco così che hanno completato il già abbondante pranzo con alcune suggestioni giapponesi, ovvero con sushi e sashimi casalinghi, da realizzarsi anche senza avere a disposizione pesce freschissimo. Partiamo da un sushi fatto con salmone affumicato (spellato e affettato non troppo sottilmente).

Braciole con salsa

Come base prendete del riso da quello che avevate bollito in precedenza, bagnatelo con aceto di riso e formateci delle barchettine che insaporirete con una goccia di wasabi (la pasta di rafano giapponese). Adagiate sopra alle barchette le fette di salmone e servite insieme a wasabi sciolto in un poco di salsa di soia, in cui zuppare il sushi prima di portarselo alla bocca.

Ancora meno ortodosso il sashimi, per il quale prendete del tonno (questo sì fresco) e congelatelo. Tagliate il pesce ancora gelato a fette spesse, adagiatelo su un vassoio e condite con limone. Mangiatelo immergendolo in una salsa fatta con olio di sesamo, sale e coriandoli ottenuti ripiegando in piccoli quadratini un foglio di alghe.

Tutto pronto!

Basta? Macché! E’ il turno del Don Kas, ovvero del maiale fritto alla giapponese. Prendete delle braciole di maiale sottili e tagliatele e strisce. Sbriciolate con le mani del pane in cassetta e poi infarinate il maiale, passetelo nell’uovo sbattuto e infine nel pane sbriciolato. Friggete in olio di semi molto caldo. Queste gustosissime bracioline si servono condite con una salsa a base di frutta, che non saprei veramente dirvi dove trovare, se non in qualche negozio etnico, una specie di salsa ketchup dolciastra. Una variante piccante utilizza il ko-chu jang, pasta di peperoncino (il peperoncino coreano è molto aromatico, molto colorante quando è in polvere, e non piccantissimo)

Ma non eravamo noi italiani ad avere molte portate mentre in gran parte del mondo vige il piatto unico? Infatti… quello che abbiamo descritto è un piatto unico, complesso ma da servire tutto insieme in tavola, per poi dedicarsi, convivialmente, a mangiarlo nell’ordine che più piace, senza lesinare in intrecci e riassaggi. E che tavola!

Luca Bonci

4 COMMENTS

  1. molto bello questo articolo, adoro i nuovi sapori e vorrei assaggiare tutte le cucine del mondo, grazie!

  2. Grazie Simona e Luciano, in effetti vi assicuro che questa cena è stata un grande piacere, sotto tutti gli aspetti, e che la preparazione (durata non poco, come potete immaginare) è stata quasi più divertente della cena stessa. Quando viaggio la conoscenza della cucina locale è per me un passo indispensabile nell’avvicinarmi alla cultura degli altri popoli, e ora che queste esperienze ce le possiamo fare anche in Italia… diamoci sotto!

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