“Ma io faccio solo il pane!” Quattro chiacchiere con Eugenio Pol

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MILANO – All’ultima edizione di Identità Golose era uno dei più intervistati. Sicuramente il più fotografato: stazza imponente, barba folta, occhi sereni e sinceri, i fotografi se lo contendevano con i corrispondenti delle varie testate gastronomiche, e lui tranquillo a stringer mani (le sue, enormi), a scambiare saluti, a raccontare del suo pane e del suo lievito madre, a dare consigli a signore adoranti. A fatica riesco a chiedergli un momento per un’intervista, mi dà direttamente il suo numero di cellulare e mi fa: “Oggi sarò in giro qua fra gli stand: quando vuoi mi chiami, mi recuperi, mi strappi da dove sono e andiamo a fare quattro chiacchere”.

Detto, fatto: ore dopo lo trovo in mezzo a un capannello, a parlare di pasta. Eugenio Pol, quello che i negozianti e i ristoratori di mezza Italia implorano perché li rifornisca con il suo pane: Eugenio Pol, panificatore in Fobello, profonda Valsesia, nell’alta provincia di Vercelli. Ex chimico, ex ristoratore, un po’ filosofo, grande appassionato di jazz. Le sue forme di pane sono enormi archetipi rotondi. Quasi psichedeliche, sicuramente poetiche, e longeve. Per il tipo di lavorazione, per i grani che seleziona e per l’acqua di Valsesia (anzi di Val Mastallone, che dalla Valsesia si dirama verso nord) il suo pane vive per settimane. Può essere ravvivato in forno e tornare eccezionale anche dopo un mese. Guardi chi ne è l’artefice e capisci. Pol non è tipo da cose effimere.

Ecco che finalmente ci sediamo. Ce l’ho davanti, ed è inutile il taccuino in cui avevo segnato le domande da fare. Andiamo a braccio, ed è una chiacchierata piacevolissima.

-Eugenio, quanto successo, tutti cercano di parlarti, tutti ti vogliono intervistare….

-Mah, io faccio il mio lavoro con scrupolo e coscienza, mi piace farlo… Ogni tanto mi sembra addirittura che sia un eccesso questa enfatizzazione… Perché io faccio solo il pane, lo faccio perché è una cosa che mi piace e basta. Certo, capisco che oggi con tutte queste cose che si deteriorano… Ci sono cose che vent’anni fa sarebbero state considerate normali, e invece oggi sono oggetto di un’attenzione inusuale…

-Tu hai lasciato Milano per la Valsesia. Come mai?

-Ci andavo con mio padre a pescare da bambino, e mi sono innamorato di questa valle selvaggia, con un verde che ti colpisce immediatamente, con torrenti straordinari… Ho sempre amato la montagna. Quando ho avuto la possibilità di tornare, sono ritornato. Era il 1982. Ho rilevato una piccola osteria in un paesino dove eravamo quattro abitanti, in un’altra valle laterale rispetto a quella di Fobello, in Val Sermenza. Studiavo, perché sono chimico, e per passione e necessità cucinavo… e ho iniziato così. Poi da lì sono venuto via, perché era troppo difficile (ho avuto problemi con le valanghe…), e ho cominciato a lavorare in giro, finché cucinare è diventato il mio lavoro. E nel frattempo mentre facevo il cuoco ho sviluppato l’amore per il pane. Perché cucinando provavo a fare il pane con il lievito (di birra, ndr) e, nonostante andassi già a comprare le farine da Renzo Sobrino a La Morra, che è un mugnaio-selezionatore di grani straordinario, il sapore preminente che sentivo nel pane era quello del lievito, mentre quando andavo al mulino, i vari grani che scendevano dal mulino a pietra avevano dei profumi diversi. E mi chiedevo come fosse possibile che nel pane non si ritrovasse la caratteristica delle farine. All’epoca non sapevo niente, e in Italia quasi nessuno parlava del lievito madre. Sapevo che era utilizzato nella produzione di pani di grossa pezzatura nel Meridione oppure per dolci come il panettone. Ho cominciato a provare dicendo che se fermenta l’uva… sarebbe fermentata anche la farina! Ho cominciato da lì e… mi ha sconvolto.

-È interessante questa cosa: tu dalla cucina sei passato al pane, non hai fatto il percorso inverso.

-No. Io ho una frase che cito come esempio, è di Antoine de Saint-Exupery, e dice che la perfezione non si ottiene aggiungendo, ma togliendo. Ed è proprio vero. I migliori piatti che ho mangiato nella mia vita sono quelli più essenziali. Quelli che magari visivamente ti danno meno impatto, ma che li assaggi e sono straordinari; quelli in cui hai i sapori ben definiti, riesci a distinguere le cose, a capire… non la qualità… ; “qualità” è una parola che non sopporto, l’hanno inventata le industrie che si riempiono la bocca di questa parola. Ma chi è in grado di definire la qualità? Se la qualità è la grande industria che fa pubblicità dicendo che produce qualità… allora io a questo punto faccio la … scusa la parola.

-Tu hai la fortuna di toccare con mano il grano, sai cosa stai lavorando…

-Chiaro, certo…

-Ma non è così scontato. Oggi tutti vediamo il prodotto lavorato, e non sappiamo cosa c’è a monte. Si vede la farina, e si pensa che sia farina. Punto e basta

-Anche perché vedono solo farina doppio zero, zucchero praticamente, amido.

-Tu invece lavori con un altro tipo di farina…

-Senti proprio le differenze. Il grano non è mai bianco. Il grano è sempre su tonalità del giallo, matura lentamente, e non ha il diossido di cloro per sbiancarlo, o il bromuro di potassio per farlo maturare…

-Ma noi non lo sappiamo!

-Chiaro, e se tu lo dici… dovresti vedere come mi aggrediscono i grandi mulini, o i produttori di lievito… se potessero…

-Durante la tua conferenza hai detto una cosa emblematica sulla forma del pane.

-Sì, io il pane lo faccio come se lo immaginavano i deportati in Siberia, come quelli del bellissimo libro I racconti di Kolyma, di Varlam Šalamov. Lì si racconta che i deportati sognavano enormi pani di segale… Non sognavano prosciutti e salami, sognavano enormi pani. Questo è significativo.

-È vero. Se vai a comprare il pane, trovi i pani leggeri. Tu fai pani pesanti.

-Io faccio i pani veri. Se tu prendi un chilo di farina, mezzo litro d’acqua e li impasti, ti viene un panetto così, non ti può venire una cosa enorme come vedi nei negozi. Vuol dire che quello lì è pane finto. Ci sono questi grani moderni, che tu non sai che razza di intolleranze danno ai bambini, perché che hanno proteine talmente forti che il nostro organismo non riesce a distruggerle. Invece con i grani antichi, la pasta acida riesce già a distruggere la maglia glutinica, fa una specie di “pre-digestione e quindi tu digerisci molto meglio.

-Quindi questa crescita di intolleranze al glutine a cui assistiamo…

-Magari dico una sciocchezza perché non ho fatto studi in merito, ma sono convinto che una larga fetta di problematiche di intolleranza è causata dalle proteine dei grani moderni.

-Ecco, parliamo dei grani.

-La selezione dei grani è stata fatta nei secoli, scegliendo da ogni raccolto i migliori chicchi, riservandoli per la semina, per cui dal frumento monococco, – il grano selvatico per eccellenza, un diploide, ossia con spiga dotata di due file, molto piccola con stelo alto due metri – con le selezioni si è arrivati al farro. Dopodiché si è cominciato a intervenire, ossia a ibridare, per cui poi quando si è iniziato ad usare il lievito di birra, ci si è accorti che un grano con delle proteine in grado di formare glutine adatto a trattenere più gas nell’impasto, e a far le bolle più grandi, sarebbe stato più remunerativo a livello commerciale. Ma quelle proteine sono indigeste, sono faticose da digerire. E più sono potenti, più creano problemi.

-I vecchi contadini una volta dicevano che coltivavano delle varietà di grano alte due metri per avere due risultati insieme: da una parte il grano, dall’altra, con lo stelo così lungo, un’abbondante quantità di paglia utile per l’allevamento delle bestie…

-Esatto, si faceva il “letto” per le bestie. Poi davi il primo germoglio da mangiare alle bestie, usavi la paglia, addirittura da noi con la segale, la “dama”, alta due metri, facevano i tetti; aveva una fibra che sembrava quasi plastica, non marciva e potevi farci i tetti delle case. Sul monte Fenèra, dove sono stati ritrovati i resti dell’uomo di Neandertahl, – tra l’altro quel monte ha una forma particolarissima: hai presente Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupery, con il bambino sotto la montagna? Ecco, è identica!- lì facevano e fanno ancora i tetti con quella segale.

-Ma si riescono a salvare i semi antichi? Riusciamo a salvare la biodiversità?

-Mah, bisogna intervenire a livello politico, altrimenti tra qualche anno arrivano certe multinazionali e piantano dei grani sia duri che teneri geneticamente modificati e…. ce lo mettono in quel posto – scusa il termine – e noi perdiamo tutta la nostra storia, la genetica frutto dell’evoluzione millenaria…. e poi a livello alimentare spuntano fuori tutte queste intolleranze.
Guarda, qua sarebbe importante far capire che è necessario far le cose fatte bene , perché poi è tutta una catena: se tu usi grano biologico coltivato da un contadino senza infierire sulla terra, e che non usa porcherie per cui non fa male alla sua salute e quindi non fa male alla terra… Altrimenti… spero che ci estinguiamo velocemente, perché stiamo rompendo troppo le balle al pianeta! Guarda un po’: coloro che avevano rispetto della terra sono stati sempre massacrati: i nativi in Nordamerica, gli Indios in Amazzonia, i popoli della Terra del Fuoco… Noi ci atteggiamo a custodi della verità e poi facciamo queste cose. Poi per carità, abbiamo anche delle belle qualità… però…

-Parliamo di cucina. Nella grande cucina qua intorno si vede tanta serietà, ma la cucina è anche gioia…

-No, nella vera cucina non c’è seriosità, diventa un gioco: Tonino (Antonino Cannavacciuolo, con cui ha appena tenuto una conferenza, ndr) ad esempio è uno che ride e scherza sempre, è un cuoco stellato ma fa la sua cucina. Anch’io faccio quel che sento, alle volte faccio pani straordinari, altre volte faccio pani buoni ma non straordinari… Io nella mia vita solo da uno chef ho mangiato dei pasti in cui ogni piatto mi ha entusiasmato, ed era uno chef francese che tra l’altro ha chiuso l’anno scorso, Olivier Roellinger, in Bretagna. Un caro amico e un cuoco di una sensibilità e una finezza uniche. E tra l’altro un autodidatta. Quelle secondo me sono doti innate. C’è chi studia anni e anni, e diventa magari bravissimo tecnicamente, ma non ha quel guizzo che fa la differenza. Ed altri che hanno qualcosa in meno a livello di tecnica, ma hanno un estro eccezionale. Ad esempio ho un amico che ha una piccolissima cucina e non può esprimersi al meglio, ma è capace di farti assaggiare il mio pane, con le cipolle e lo scorfano… di una bontà e di una semplicità straordinaria, che ti fanno dire: “Cacchio, ho mangiato pane e cipolle, ma che bun che l’era!” Ed altri che invece che stanno lì a fare tante di quelle menate, e fanno dei piatti che alla fin fine non ti lasciano nulla… Io sono sempre per la semplicità; di fronte a un piatto arzigogolato preferisco mangiarmi pane e salame…

-Il tuo pane.

-Ah, chiaro! E anche un salame come si deve, sennò è finita la festa!

Eugenio Pol, Vulaiga Panificazione Naturale, via Rizzetti, 22 Fobello (VC)

Fotografie: le prime due © Alessandro Castiglioni – per gentile concessione di Identità Golose

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

20 COMMENTS

  1. Penso che panificare sia una delle attività più belle e più ancestralmente connesse con la natura umana. Se non persino un surrogato dell’altra attività principe, quella di far crescere qualcuno

  2. Segnalo agli appassionati dell’argomento l’uscita di un libro interessante (recensione su Tuttolibri de La Stampa di sabato scorso): Pane Nostro, di Predrag Matvejevic, scrittore 78enne nato in Bosnia-Erzegovina da padre russo e madre croata, Garzanti editore, 240pp, 18.60 euro. Di formazione cosmopolita, professore di slavistica, ha studiato l’argomento pane quasi con ossessione e il libro risulta ricchissimo di riferimenti in tutte le direzioni culturali…

  3. veramente sta tutto qui:
    …”Perché io faccio solo il pane, lo faccio perché è una cosa che mi piace e basta”…
    ..IO FACCIO…SOLO…MI PIACE…BASTA

  4. Vorrei far presente che Eugenio è arrivato a produrre i suoi pani non casualmente ma dopo una approfondita ricerca sulle reazioni delle varie farine al lievito madre ed ha raggiunto un protocollo di produzione per ogni tipo di pane . pensare che le sue opere d,arte siano frutto del suo piacere a fare pane è riduttivo se non si pensa alle sue ricerche alle sperimentazione già fatte e a quelle che seguiranno, basta aver letto la sua intervista per capire la sua voglia di mettere in bella il modo di fare il pane del passato pur non disdegnando le attrezzature oggi a disposizione

  5. Dio benedica Eugenio e i panificatori come lui, che per fortuna in Italia ancora ci sono.
    Vivendo in un paesino di montagna non è difficile trovare panificatori che addirittura coltivano il proprio grano con cui panificare, basta seguire la scia di SLOW FOOD.
    Comunque: Lunga vita a Eugenio Pol.

  6. Leggo solo ora questa bella intervista!! E’sicuramente una delle cose migliori che siano state scritte sul mio conto!!! Mi pare renda l’idea del mio appassionante e duro lavoro. Grazie. Eugenio

  7. Siamo un gruppo che aiuta una missione in Togo a Notse. Abbiamo fornito un mulino per il mais che hanno in abbondanza, col quale però fanno solo polenta. Stiamo sperimentando l’uso del GUAR per fare pane. Ma cerchiamo come fare il lievito. Hanno solo latte di capra ed olio di palma.
    Ci può dare qualche suggerimento?. Abbiamo conosciuto la sua professionalità dai giornali. La ringraziamo ella attenzione e le porgiamo cordiali saluti.
    Per il Gruppo Bar del Circolino ( tutti quasi o più che 80enni) Ferrari Giuseppe.
    P.S. Se può inviarci notizie la preghiamo di farlo tramite l’indirizzo di posta elettronica. Grazie

  8. Egregio Sig. Ferrari, se posso esserle di aiuto per una buona causa lo farò molto volentieri, mi contatti telefonicamente allo 0163/55901 lasci il suo recapito telefonico alla mia segreteria e sarà mia premura chiamarla. Cordiali saluti Eugenio Pol

  9. d’accordo, tutto bene, tutto bello, tutto magnifico!
    ma raramente ho trovato un esempio di cosi manifesta cattiva disposizione per il cliente. ho telefonato nel mese di agosto o due volte due al numero del vulaiga , perche’ non sono riuscito a trovare a fobello il suo pane . il disco dice di lasciare un messaggio che saremo richiamati.
    cosa del tutto non vera.
    non e’ un bel segno !!
    grazie
    pb

  10. Beh signor Bonino, se non ha trovato il pane a Fobello e se non ha trovato Eugenio in laboratorio, visto che è ferragosto, non credo proprio sia un esempio di cattiva disposizione, più semplicemente immagino che sia in ferie…

  11. Caro Eugenio quanto ti capisco!! Mi permetto il confidenziale in quanto siamo simili! I taleban del cibo sono mossi tutti allo stesso modo. io coltivo il mio grano e lo fermento 40 giorni in covoni e poi lo sgrano e infine lo macino a pietra in un vecchio mulino. Faccio il pane a lievito naturale ( lo tengo da 36 anni) per il mio piccolo ristorante ma avendo io un Trip con il cacao ovviamente al mio pane aggiungo solo burro di cacao e grani di cacao integrali per avere un altro effetto ma non è il tema della mia lettera. Ho 4 mucche e mi faccio i formaggi freschi per me e la legge me lo proibisce senza bollo CE ma potrei comprare latte marcio e fare ottimi formaggi pastorizzati, ma appena munto a mano da mucche in benessere non si può. Ho un gruppetto di 12 maiali che scorazzano e mi faccio tutti i salumi senza salnitro e C come Dio comanda e mio nonno insegnava. Per passione ho girato tutto il mondo alla ricerca dei migliori cacao e ho trasmesso il sentimento della qualità ai miei contadini e ora sono felice di poter dire che lavoro i migliori cacao del mondo da solo senza sponsor. Vivo a Vicoforte e sono felice delle mie colline. Bravo Eugenio siamo la resistenza umana alle regole cancerogene dell’economia. Non ti conoscevo ma dopo l’intervista sono certo che meriti la mia stima.
    un sincero abbraccio
    silvio bessone

  12. Fare bene il pane e una passione che può sfociare in un mestiere, complimenti a lei e a tutti quelli che come lei ci fanno apprezzare l’umile, ma importante arte della panificazione, grazie!

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