Le guide dell’editoriale L’espresso, edizioni 2011

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FIRENZE – La pur breve passeggiata dentro il Mercato di San Lorenzo, fra bistecche e lampredotto, panini col bollito e salsa verde, frutta e funghi porcini, fornisce una buona base di concretezza per quello che avverrà poco dopo al piano superiore dove saranno presentate pubblicazioni, le guide ai ristoranti ed ai vini d’Italia, che dopotutto si occupano di luoghi dove si cuociono cibi e vinificano uve. La sala è gremita (c’è meno spazio che nella passata sede, la stazione Leopolda, con conseguente riduzione degli inviti) e sul palco c’e anche il fresco neo direttore de L’espresso Bruno Manfellotto, a sancire (forse) una maggior vicinanza del settimanale dalla costola enogastronomica del gruppo editoriale, o perlomeno una distanza minore (ricordate Velenitaly?).

Poi ci sono i curatori, al completo. C’è Enzo Vizzari, naturalmente, che dirige tutto il comparto ed è direttamente coinvolto nel settore ristoranti; per i vini, Ernesto Gentili e Fabio Rizzari (il quale quando può evita: “non amo le riunioni con un numero di persone superiore a sei”, ammette) che sono i primi ad intervenire. E’ un momento complicato per questo tipo di pubblicazioni, sia per il mercato che si è fatto affollato sia per i contenuti nella rete che, fatte salve le risse deprimenti e le smanie di protagonismo, costituiscono una seria concorrenza alla carta stampata. Forse proprio per questo, perché i metodi e le linee guida del lavoro contano sempre di più, si è  sentito il bisogno di mettere qualche puntino sulle “I” e questa volta Ernesto Gentili non ha parlato a braccio ma ha letto un vero e proprio comunicato.

Primo, le degustazioni si svolgono alla cieca “ma ‘degustazioni alla cieca’ non vuol dire nulla se poi i risultati non vengono rispettati, e noi lo facciamo al limite dell’ingenuità, senza timori reverenziali, spartizioni geografiche, ammiccamenti”. Gli assaggi avvengono in equipe, ma niente media aritmetica: vale la pena approfondire se ha ragione chi crede di aver individuato un vertice, ascoltarne le ragioni ed eventualmente premiarle. E se il vino è un bluff, se è gonfiato o fatto per stupire, lo si “sgama” con la tecnica del riassaggio, il riesame della stessa bottiglia fatto qualche giorno dopo. Il risultato sono 20mila vini assaggiati, 10mila recensiti, 231 “eccellenze” (i vini con punteggi maggiori o uguali a 18/20), e poi 50 outsider, che colpiscono per il loro carattere, e segnalazioni per ogni regione ai vini con miglior rapporto qualità prezzo. In testa, il quintetto formato dalla sarda Malvasia di Bosa 2006 di Columbu (20/20), dai piemontesi Barolo Monprivato Cà d’Morissio Riserva 2003 di Giuseppe Mascarello e figlio e Barolo Riserva Monfortino 2002 di Giacomo Conterno, dai toscani Il Caberlot 2007 de Il Carnasciale e Le Pergole Torte 2007 di Montevertine, tutti a 19.5/20.

Per il resto, in Piemonte grandi risultati da Barolo e Barbaresco, in Lombardia Valtellina (ma non Sfurzat) e Franciacorta, in Veneto si contendono la gloria Soave e Amarone, in Toscana bene il Chianti Classico e la Riserva 2004 del Brunello di Montalcino, nel sud spiccano gli autoctoni forti come l’aglianico in Campania (Taurasi), e in Basilicata (Aglianico del Vulture), il nerello mascalese nell’Etna, il cannonau in Sardegna.

Ma più che per i vini, le luci della ribalta sono come di consueto rivolte agli chef, da qualche anno star ed attori di un nuovo spettacolo, anche se Enzo Vizzari preferisce esordire parlando delle chiusure, che sono state nel biennio 2009-2010 di più che in tutti gli otto anni precedenti della sua esperienza come direttore. Chiusure ma anche “riposizionamenti”, e nuove strategie che guardano al low cost. E a livello alto, quello appunto delle star, si avverte talvolta una certa insofferenza alla critica, al mezzo punto limato.

17 ristoranti hanno meritato i “tre cappelli” (almeno 18/20) e al vertice c’è Massimo Bottura, per il quale viene “introdotto” il punteggio (più alto di sempre) di 19.75. Cuoco bravissimo, anche mediatico e “girandolone”, bistrattato dalla televisione nel brutto episodio di Striscia la Notizia e amato dai blog nei quali è sempre molto presente (e i blogger sono presenti in questa edizione della guida a dire la loro sui ristoranti più amati). Poi Alajmo de Le Calandre di Rubano e Gianfranco Vissani del Vissani di Baschi a 19.5/20, Heinz Beck del La Pergola dell’Hotel Rome Cavalieri di Roma e Mauro Uliassi dell’Uliassi Senigallia, e nel sud più Sicilia, con Pino Cuttaia de La Madia di Licata e Ciccio Sultano del Duomo di Ragusa, entrambi a 18/20, che Campania, con Gennaro Esposito de La Torre del Saracino di Vico Equense a 18/20, e il Don Alfonso 1890 di Sant’Agata dei Due Golfi che si ritrova di nuovo una scheda critica e il punteggio fermo a 16.5/20. Infine l’importante premio “pranzo dell’anno” attribuito al giovane abruzzese Nico Romito del Reale di Rivisondoli.

PS: dagli assaggi delle “eccellenze” de I Vini d’Italia 2011 (l’elenco completo qui)

Una vera bomba atomica il Barolo Riserva Monfortino 2002 di Giacomo Conterno, di intensità e persistenza superlative, al palato ancora giovane ma con un andamento di beva travolgente. Più lirico il Barolo Monprivato Cà d’Morissio Riserva 2003 di Mascarello Giuseppe e Figlio, dall’ingresso floreale, quasi timido, ma dalla crescita autorevolissima e dalla persistenza infinita. Impeccabile, elegante, dal frutto rosso non invadente e cesellato il Cirò Rosso Classico Superiore Riserva Volvito 2007 di Caparra & Siciliani; il Kurni 2008 di Oasi degli Angeli incanta e lascia pensosi allo stesso tempo con la sua opulenza, la sua estrema maturità dei toni ma anche la sua indubbia forza di seduzione. Il Brunello di Montalcino 2005 di Poggio di Sotto tarda un attimo a trovare il suo assetto ma poi si mostra ficcante e di grandissima lunghezza nel finale. Interessante il Piave Raboso Gelsaia 2007 di Giorgio Cecchetto, prodotto con un 25% di uve appassite (da un quintale di uva si ottengono otto litri di vino) solo in annate favorevoli (prima annata 1994, e poi ’97, ’00, ’02, ’03, ’05 e ’07), dalla bella beva compatta e fragrante all’inizio, più matura nel finale.

Dei tre premi dati a Roagna, colpisce molto il Barbaresco Montefico 2005, un vino trascinante sia nella progressione che nell’allargamento in bocca, quasi esplosivo; il Barbaresco Pajé 2005 mostra una trama più larga, più avvolgente e meno trascinante. Da Beppe Rinaldi un Barolo Brunate – Le Coste 2006 largo ed espansivo ed un Barolo Cannubi S. Lorenzo – Ravera 2006 finissimo e floreale, meno dirompente e anzi un pochino contratto nel finale. Altro vino trascinante il Barolo Ciabot Tanasio 2006 di Francesco Sobrero e figli, compatto e potente, mentre sono belle la forza scalpitante e la freschezza del Barolo Runcot 2004 di Elio Grasso.

Sempre dal Piemonte, il Lessona 2006 di Proprietà Sperino è fruttato, morbidissimo, di maturità forse un tantino stancante mentre il Dogliani Sirì D’Jermu 2008 dei fratelli Pecchenino è fragrante e “croccante”. Squillanti i toni del nervoso Taurasi Poliphemo 2006 di Luigi Tecce, pieno e un tantino “caffeoso” il Pinot Nero Mazzon Riserva 2007 di Bruno Gottardi (più delicato il Valle d’Aosta Pinot Nero 2008 di Elio Ottin). Dalla Sicilia, fra un Etna Rosso Il Musmeci 2008 di Fessina, delicatissimo ma con qualche sbavatura alcolica, ed un Etna Rosso Guardiola 2008 di Terre Nere ostico nel finale, appare complessivamente più informa ora come ora il Contrada Rampante 2008 di Passopisciaro che coniuga forza ed intensità di frutto a bella eleganza. Fra i vini dolci, da segnalare il Colli Piacentini Malvasia Passito 2008 de Il Negrese, di grande persistenza ed intensità, carezzevole al palato e gentile nel suo finale di moderata dolcezza, la vera confettura di rose rappresentata dal  Moscato Rosa 2008 di Zeni e poi il buonissimo, speziato, selvaggio Albana di Romagna Passito Riserva AR 2006 di Zerbina, evoluzione del “mitico” Scacco Matto.

(con la collaborazione di Luca Bonci)

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Riccardo Farchioni

12 COMMENTS

  1. Ho assistito alla presentazione di Fabio Rizzari che ancora una volta non ha resistito e di fronte a tutti (e a un Gentili allibito) ha ancora una volta ringraziato Umberto Pone, il fantomatico ingegnere che altri non è che un simpatico gioco di parole che ongi buon toscanaccio dovrebe ben comprendere. E ho ascoltato la lelttura del comunicato di Gentili, secondo me persino troppo denso di precisazioni non richieste. Va bene togliersi i sassolini, ma quando si raggiunge l’autorevolezza che ormai la guida de L’espresso ha raggiunto, mi piacerebbe che si sorvolasse sulle piccole immancabili polemiche. Per il resto bella l’ambientazione e bella anche la degustazione, nonostante i profumi di carni, pesci, verdure che salivano dal sottostante mercato, un decisa nota materiale che si sovrapponeva alla rarefatta eleganza di alcuni dei vini.

  2. Ostia cane per una volta mi dilungo su un commento. Non riesco a trattenerni, questo è, perciò lo dico. E lungi da me qualsiasi tentazione da saputello, ché non mi appartiene. Solo e soltanto, come puntualmente accade quando si ha a che fare con le pagine della nostra AcquaBuona, in quanto partecipe di una esperienza, quella guidaiola, sulla quale vorrei dire due o tre cose che avevo in serbo da un po’.
    Premetto che non ho riscontrato accenti polemici nel discorso di Ernesto Gentili. O non ricordo di accenti polemici. Magari se è più chiaro, Lonci, capiamo di più tutti. Si è trattato di considerazioni legate esclusivamente al modo di operare e al modo di vedere le cose del vino da parte di un gruppo di lavoro, da fin troppo tempo sottaciute o forse supposte come comprese dal vasto pubblico dei lettori, siano essi eruditi, siano essi neofiti, siano essi produttori. Un po’ di chiarezza in più non guasta. La Guida Espresso, la cui autorevolezza se l’è guadagnata sul campo, ha una sola occasione, ahinoi, per salire alla ribalta ( intendo presentarsi “in carne e ossa” davanti a qualcuno e accennare al lavoro svolto). Non esistono altre occasioni se non questa qua. Casomai non si leggesse nelle righe della Guida ( ho detto nelle righe e non “tra le righe”, differenza non banale) come la pensiamo e di conseguenza quale sia lo spirito che anima quel gruppetto di degustatori idealisti, i curatori hanno pensato bene di renderlo più manifesto, tanto per non saper né leggere né scrivere, come si dice dalle mie parti.
    Ogni tanto, e sono passate 8 edizioni della Guida sotto l’egida Gentili-Rizzari, bisogna pur fare il punto, semmai se ne fosse smarrito il segno.

    Ma il messaggio più importante che mi sento di sostenere, PUNTO CENTRALE DEL MIO INTERVENTO QUI, e che da solo vale la fiducia di chi come me si ostina a pensare che un porto franco della critica enologica, in questo mondo angusto, sia ancora possibile, è che lì – udite udite- si riesce a lavorare senza alcuna pressione esterna. Nessuno, fin qui, dall’alto, a dirti “ma” o a dirti “se”, in ragione di qualcosa o qualcuno da favorire. Che poi niente c’azzecca con la qualità presunta o percepita di un bicchiere di vino. Esprimerti per quello che senti, e per quello che sai: questa, secondo me, la gratifica più bella. L’indipendenza nuda e cruda; la valorizzazione delle tue intuizioni e delle tue capacità, misurate solo e soltanto nell’atto intimo e avvincente di una degustazione e dentro un lavoro di gruppo sano e consapevole. L’indipendenza nei giudizi, questa la base ( questa l’ovvietà) su cui si può legittimamente confrontare un lavoro critico con un altro. Se questa base viene a mancare non è proponibile alcun confronto. Perché diverse sono le prerogative che ne stanno alla base, e diversi gli obiettivi, anche se a parole possono sembrare gli stessi. Non si confrontano disomogeneità.

    Dove sta allora la difficoltà di tutto questo arzigogolo purista che vi sto raccontando? che nessuno ovviamente ammetterà mai l’esistenza di meccanismi “altri” a decretare predilezioni e graduatorie vinose. L’onestà intellettuale impera sempre e comunque, quale dote addirittura cumsustanziale, da non mettersi assolutamente in discussione. In effetti sono certo che qualsiasi persona che si cimenta in un lavoro di critica assimilabile a quello delle Guide porti con sé, oltre alla buona volontà, quote importanti di sensibilità interpretativa e reale capacità critica. Insomma, porti con sé la sua brava onestà intellettuae. E non solo fra i cosiddetti professionisti del mestiere, sia ben chiaro. Ciò che però va immancabilmente a scontrarsi con il contesto in cui ci si trova ad operare, con i metodi di lavoro assunti, con gli obiettivi ( palesi e meno palesi), con certi “meccanismi” più o meno limpidi e che non dipendono dal singolo ma che ti passano sopra e che annientano in piccola o grande misura il tuo sincero contributo alla causa.
    Chi oggi, nelle stanze della critica enologica, può vantare una reale indipendenza di giudizio, avulsa da contaminazioni dubbie, più o meno goffamente “secretate” e fastidiose?
    Non posso che parlare della mia esperienza. Non di altre. So soltanto che questa indipendenza -salvifica – è la sola cosa che mi tiene lì, orgoglioso di esserci. Con la presunzione, stavolta sì, di parlare anche per gli altri del gruppo. Sono certo del loro sentire, ed è un bel sentire.
    Fernando Pardini

  3. Purtroppo non si trova nessuno che ammetta che il suo giudizio è condizionato da qualcosa o qualcuno e dunque è difficile capire quali sono i degustatori/critici intellettualmente onesti e quelli no.
    Quando poi si leggono i nomi delle aziende e dei vini premiati da tutte le guide ogni anno , che molto spesso si ripetono, è ancora più ardua la distinzione. Io conoscendoti non ho dubbi sul gruppo della Guida dell’Espresso , ma purtroppo non tutti hanno la tua onestà intellettuale…. d’altra parte errare è umano. Ciao lamberto

  4. perseverare (come alcuni) è pero diabolico!!! Non è certo il caso di Fernando…Anzi, ce ne fossero…

  5. E’ vero Lamberto che nessuno mai metterà in dubbio l’indipendenza del giudizio e la mancanza di costrizioni e condizionamenti. A volte, come detto, non dipendono neanche dal singolo degustatore, ma dalla struttura che lo sovrasta. In effetti, allo stato dell’arte, non c’é nessun altro modo di accorgersi, o quantomeno subodorare, di differenze di visione critica se non andandosi a leggere per davvero le singole guide e capire se esiste una prospettiva critica coerente ( fermarsi alla lista delle eccellenze è limitante e poi, proprio per quello che dicevo sopra, si rischia di confrontare liste disomogenee perché frutto di un lavoro disomogeneo. Per esempio, se tu non giudichi solo la qualità del bicchiere ma metti nel contesto altre “voci”, più o meno dichiarate, si tratta di un lavoro disomogeneo con quello fatto chessò dall’Espresso, quindi francamente non confrontabile).

    In fondo ste benedette Guide sono libri non libri per antonomasia; non sono saggi né romanzi, hanno mille trame e soprattutto gli manca il finale. Sono libri di “transizione”, che da parte del lettore trovano senso compiuto, e finale, quando si traducono in un assaggio o in una verifica de visu ( chessò, l’enotecario di turno che ha acquistato quel tal vino di cui si parla bene e si accorge che viene apprezzato dalla sua clientela). Uno allora potrà farsi una idea se quel suggerimento -per i suoi gusti e per il suo grado di conoscenza della “materia”, per il grado di apprezzamento dei clienti o per l’attrattiva commerciale che quella etichetta suscita- sia da ritenersi affidabile oppure no.

    Ma chi è, a ben vedere, che può giudicare in maniera organica l’affidabilità critica di un lavoro immane come quello di una Guida se non qualcuno che sia addentro nello stesso settore e abbia avuto la possibilità di assaggiare un mare di vini ( solo questo presupposto significa in realtà farsi una idea), magari in condizioni di degustazione comparabili ?

    Insomma, non è certo semplice la questione di giudicare questo tipo di lavoro. Però mantengo l’illusione che un modo di avvicinarsi alla “verità”, o per meglio dire alla autenticità, di un lavoro critico vi sia. E’ difficile, richiede tempo, anche conoscenza della materia del contendere, ma un appassionato non può cadere in certi “tranelli”. Di certo un modo che non consisterà nel fidarsi delle parole di un amico o di una persona che si conosce e di cui apprezziamo le doti etiche e professionali.

    Riguardo poi alla ripetizione di nomi e di etichette che ogni anno ti pare di ritrovare in testa alle graduatorie delle guide, dipende da che cosa intendi. Se ti riferisci alla medesima Guida, il fatto che ci siano nomi ed etichette che si ripetono non lo troverei così strano: significa che quella azienda propone, a detta di quei critici, una continuità qualitativa degna di nota. Certo, ritrovare sempre gli stessi, invariabilmente sempre gli stessi, al vertice preoccupa ma mi preoccupa di più quando in quei vertici non mi ci riconosco proprio. Così come c’è da preoccuparsi se ogni anno cambiasse radicalmente la lista dei vini e dei produttori migliori.

    Se intendi invece fare di tutta un erba un fascio, cioé sostenere che da una lista all’altra non si notano differenze, beh, su quello non sono così d’accordo. Le differenze si notano. Pur nella limitata ( e limitante) visione prospettica offerta da una lista di eccellenze, si scorgono differenze significative di etichette e di nomi.
    Tanto per incasinarmi un po’, prendi ad esempio Guida Espresso e Guida Gambero nuova edizione: su 400 e passa vini da 3bicchieri solo il 12% circa è anche una eccellenza de L’Espresso ( ovvero vini da 5 bottiglie). Una aderenza men che piccola in percentuale. Se allargassi il campo mettendoci dentro anche i vini a cui L’espresso ha dato una valutazione di 4 bottiglie ( range 16,5-17,5, ovvero vini da molto buoni a ottimi, ma non d’eccellenza), la % di “aderenza” si allarga certamente ma risulterebbe ancora che circa il 60% dei vini tre bicchieri l’espresso li ha considerati vini di almeno 2 categorie inferiori ( magari buoni ma non molto buoni, né ottimi né tantomeno eccellenti).
    Sulle ragioni di queste differenza non mi soffermo. Ma sarebbe campo di indagine interessantissimo.

    Andando per sommi capi però dico che se tutte le guide fossero appiattite sui medesimi giudizi sugli stessi vini e sugli stessi produttori ci sarebbe qualcosa di preoccupante nell’aria; se però fra una guida e l’altra i giudizi normalmente stridono, beh, da lì a pensare che la critica sia tutto un bailamme il passo è breve. La situazione è confusa sotto al sole, le voci critiche ( cioé le guide) sono tante e forse troppe. L’ovvietà del mio intervento consiste nel sostenere che fare delle scelte, da parte del lettore potenziale, si rende oggi ancor più necessario di un tempo.Mi auguro che quelle scelte discendano da una buona opera di analisi delle differenze.

    Non so poi se potrà aiutare alla decodifica di intenti e di buoni propositi, di onestà intellettuale presunta o conclamata, però ai miei occhi appare molto istruttivo leggere una guida anche nell’ambito delle distinte tipologie di vino lì “radiografate”, x vedere se c’è coerenza o incoerenza nelle scelte, se cioé sia possibile leggervi una linea interpretativa o se essa appaia irrimediabilmente confusa, sconclusionata, zoppa….. tutte cose interessanti, che mi piacerebbe davvero tanto discutere in profondità.

    Fernando Pardini

  6. Caro Fernando, la tua disamina è come sempre obbiettiva e se volgiamo anche sentita profondamente. Io che, come sai pur “subendo” i giudizi delle guide non muovo un dito per influenzarli, tant’è vero che leggo i giudizi solo dalle guide ormai pubblicate, porto però con me una convinzione di base che purtroppo si scontra con la realtà delle cose. Ho fatto molti corsi per sommelier e alla fine dico sempre che raggiunto il traguardo del diploma bisogna studiare i vini conoscerli e approfondire personalmente per potere così dare un giudizio personale che nasca non dall’indicazione di qualcuno, a volte neanche in possesso dei requisiti minimi ( alle volte si vedono critici che poi scrivono che neanche sono più in grado di degustare!) , ma dalla propria competenza e conoscenza e anche vivaddio dal proprio gusto personale. E invece nella maggior parte dei casi si sentono e si vedono sommelier che rincorrono le aziende premiate dalle guide e scorrono gli stand ( pesa a vinitaly ) con la guida sotto il braccio. Detto questo so anch’io che la selva delle etichette é “selvaggia e aspra e forte” e che qualche guida il consumatore non particolarmente addentro alla materia deve averla, ma mi auguro che velocemente se ne emancipi e la usi come si usano tutte le guide del mondo : più per sapere la strada che per decidere dove dove la strada lo deve portare.
    Ciao Lamberto

  7. Parole sante Lamberto. Usare una Guida per emanciparsi e poter andare con le gambe ( e il gusto) proprie. Ecco, fare riprove personali sulla base di ciò che ti indica una Guida sarà una ovvietà immensa ma è ne più ne meno quello che ci vuole per farsi una idea di affidabilità. E’ né più né meno quello che “chiede” una Guida.
    Potrà succedere perciò che qualcuno correrà dietro alle aziende incensate, guida sotto il braccio compresa. Ma non ci sarà solo quello. E oggi non c’è solo quello, ti assicuro. Non è come un tempo. E una maggiore consapevolezza critica da parte degli appassionati è cosa certa. Ma credo che in questo settore ( da qualunque punto di vista lo si inquadri: dal punto di vista dell’addetto ai lavori, o alla critica, che del produttore, o del tecnico, o del consumatore finale, che poi lo siamo tutti) ogni stimolo che porti a un sano confronto e alla eventuale messa in discussione di idee pregresse, con relativi preconcetti o pregiudizi, sia salvifico e rappresenti la piattaforma ideale per una reale crescita.

    Se poi mi dici che nel campo della cosiddetta critica enologica si possano nascondere personaggi di indubbia professionalità, che addirittura scrivono senza essere in gradi di degustare, ci può stare e non mi sorprende più di tanto. Probabilmente però non apparterranno a quella “scuola” con la quale tu ti trovi più in accordo, vini alla mano ( o alla bocca). Farai eventualmente delle scelte e non li eleggerai, per quanto ti riguarda, a voci di riferimento nel settore. Certo, mi dirai, questi continuano comunque a imperversare…. beh, tanto facciamo delle scelte.

    Se poi aggiungo che la selva di degustatori non preparatissimi o improbabili, sia pur volenterosi ed appassionati, sia in qualche modo stata fomentata dalla editoria stessa che sta dietro a tutto questo, per avere a costo zero mano d’opera entusiasta ( ma magari non così ferrata) per portare a casa un lavoro di grande mole, beh, penso di non andare molto lontano dalla verità.
    fernando pardini

  8. avete sollevato, tra l’altro, un problema che mi ha sempre assillato (e ho anche scritto qualcosa di mio a proposito):

    E’ più sensato che tutte le guide giudichino migliori praticamente sempre gli stessi vino o invece dobbiamo preferire che prevalga una soggettività estremamente ampia e che ognuno incoroni vini diversi?

    La risposta è comunque allarmante.

    Se gli esperti lavorassero con capacità veramente oggettive (in base a certe capacità intrinseche o sviluppate con l’esperienza) ci dovremmo aspettare che tutti facciano primeggiare i vini VERAMENTE migliori. In questo caso che senso avrebbero tante guide? Ne basterebbe una sola, tanto direbbero tutte la stessa cosa…

    Se invece fosse auspicabile che ognuna dicesse cose diverse, vorrebbe dire che il vino non può essere giudicato OGGETTIVAMENTE dai professionisti della degustazione e rimarrebbe in balia dei gusti personali, indipendentemente dalle capacità degli esperti. Ma allora…gli esperti sono proprio esperti? Oppure, ancor peggio, che senso hanno le guide se esprimono pareri di gente uguale a noi, miseri mortali? Basterebbe un elenco dei vignaioli, senza alcun punteggio…

    Un ultimo commento per il secondo caso:
    potrei anche capire che le differenze tra guida e guida siano di piccola entità. In altre parole, un 90 può diventare un 88 o vicersa, a secondo del gusto particolare dell’esperto. Ma se invece si passa da 80 a 90 (o viceversa) e anche peggio, mi fa temere che di esperti VERI ce ne sianio ben pochi. Se poi questa è la realtà dei fatti, bisognerebbe spegnere di molto il fuoco sacro dei giudizi così altalenanti…

    Senza mai pensare che i punteggi siano dati in base a ben altre motivazioni….

    Mi piacerebbe un vostro parere e soprattutto da parte di Fernando…

  9. E’ così caro Enzo. Anche se l’ultima tua frase ” senza mai pensare che i punteggi siano dati in base a ben altre motivazioni…” è una frase “last but not least”. Ma poniamo per un attimo che non vi siano influenze di sorta. Illudiamoci un po’.
    Bene, sulla attendibilità dei giudizi secondo me gioca e moltissimo il metodo di lavoro. In parte, ma meno importante del metodo, gioca anche la visione critica che una certa commissione di assaggio si è fatta su una certa zona ( insomma, tanto per incasinarci di nuovo, da una squadrata di massima alla lista delle eccellenze gamberesche, chessò in materia di chianti classico, o di brunello, o di Sicilia, ma ne potrei annoverare -anta, se confrontata con quella espressica mi vien da pensare che per il Gambero un certo stile di vini rappresenti al livello più alto quella tipologia o quella regione. Non sembra così a guardare la guida espresso). E tu mi dici: chi ha ragione? E io rispondo: non lo so. Questa però è la nostra -opinabile quanto si vuole- opinione. Quella è la loro sacrosanta opinione. Tu, grande appassionato Enzo, hai la possibilità di ritarare secondo il tuo sentire quei giudizi, e trovarti d’accordo con uno o con l’altro, o stare nel mezzo. Però il confronto ti costringe a prendere una posizione, anche verso un certo modo di fare critica enologica. Ed è così che deve funzionare.

    Però il metodo di lavoro, mi ripeto, è fondamentale. Per esempio io penso che se un giudizio su un vino espresso dal singolo degustatore non resta sulla carta o sul pc (e per giudizio non intendo un voto ma anche e soprattutto il commento al vino), si rischia che il suo lavoro affoghi nella fantomatica media aritmetica a cui solitamente vien fatto affidamento ( raramente nel caso espresso) ma che spesso non traduce automaticamente il presunto valore del vino, ma lo approssima anche in modo – appunto – approssimativo. Scrivere di un vino in quella determinata fase evolutiva, e avere la possibilità di confrontarlo con giudizi espressi sullo stesso vino non solo dai tuoi colleghi in quella giornata di assaggi, ma anche grazie ad altri assaggi effettuati in tempi diversi ( e aggiungici pure i riassaggi fatti a bottiglia aperta), offre una focalizzazione più netta di quel vino, che ti farà stare più tranquillo che se hai sbagliato il giudizio certamente è solo perché lo hai sbagliato, punto e basta. O meglio, che tutti lo hanno sbagliato pressoché allo stesso modo. Il che ti offre qualche garanzia in più che magari non sia proprio così (anche se l’errore umano è sempre in agguato, e ci mancherebbe).
    Certamente però l’elaborazione del metodo di analisi (e nel ns caso se non ci fosse il beneamato sotware applicativo che ci consente di scaricare just in time i risultati di tutti i gruppi di assaggio anzi di tutti i singoli, e tante altre cose, fino alla stampa della guida, questo non sarebbe possibile), è importante per cercare di mettere un freno alle incertezze e alla inevitabile quota di aleatorietà insita in un giudizio sensoriale, pur condiviso, che faccia affidamento su una campionatura piccola ( 2 o tre bottiglie) propostaci dal produttore stesso..

    Certamente però, se all’interno di una commissione di assaggio nascono differenze di vedute significative nel giudizio dei singoli – e ci sta, come no – non significa che il giudizio “buono” stia nel mezzo ( se uno dà 14 e l’altro 16, quel vino non è assolutamente detto che sia un vino da 15). E’ una classica situazione in cui il vino, magari la stessa bottiglia oppure una seconda bottiglia, viene rimesso in gioco nella sessione d’assaggio successiva, oppure riproposta per un assaggio futuro, anche di altre persone, per valutare se partoriscono ancora differenze o se si uniformano su una visione congiunta e condivisa. Soprattutto, oltre i voti, contano anche le parole a commento, cioé come il singolo ha “visto” quel vino rispetto a un altro, e viceversa.

    Insomma, hai ragione quando sostieni che si potrebeb pensare che ci sono delle schiappe inattendibili nel giudicare un vino, dal momento che un presunto esperto ha dato un voto antitetico ad un altro “professionista”. Le variabili eppure sono tante, incapacità compresa. Ma il metodo è fondamentale. E a proposito di incapacità, io anche in questo caso tendo a essere tremendamente ingenuo, dal momento in cui penso che ogni “storiella messa su con le stampelle”, ogni finta professionalità, abbia le gambe corte. Mi accorgo che nel mondo del giornalismo enogastronomico i tempi di risposta per smascherare finzioni non sono così rapidi come avrei pensato. Così cerco di sopravvivere, non senza lamentarmi che ci vorrebbe più trasparenza nelle azioni, nei gesti e nei modi. Penso inoltre che un numero sempre crescente di appassionati consapevoli, e in certi casi molto ben attrezzati dal punto di vista della visione critica, possa mettere sempre più in difficoltà la parte marcia del sistema, ed accorciare finalmente quei benedetti tempi di risposta.
    Fernando Pardini

  10. caro Fernando,
    grazie infinite di questa tua analisi veramente logica, sincera e onesta. Mi è servita molto, anche se ha confermato idee che già mi ero fatto personalmente. Ancora una volta, penso che sia fondamentale avere un minimo di selezione dei produttori più capaci o almeno più costanti e preparati e poi andare dietro alle proprie sensazioni che non saranno mai sbagliate. Basterebbe perciò una sola guida, che sappia confermare i valori già acquisiti e continui a cercare nuovi “talenti”. So che sembra una “sviolinata”, ma è per questa seconda parte che io seguo soltanto la guida de l’espresso, l’unica che veramente propone sempre nomi nuovi e umanamente interessanti. In fondo, il vino deve essere emozione e piacere. Ed è per questo che a volte io metto al pari di altre valutazioni anche la piacevolezza del produttore, la sua simpatia, la sua schiettezza e modestia. Se il vino è emozione, allora ben vengano anche emozioni affettive e umane. E non mi si dica che bisognerebbe valutare un vino solo per il liquido che contiene. Già si vede che nessuno sa veramente farlo in modo oggettivo e allora ben venga, almeno per l’appassionato, la possibilità di aggiungere una percentuale di valore dovuta solo alla parte emotiva e umana. Viva il vino, chi lo fa e chi lo sa gustare con umiltà e ingenuità!!
    Non per niente, seguo soprattutto i tuoi consigli per scovare nuove cantine in Toscana… E non me ne sono mai pentito. Indipendentemente che tu scriva o no per una guida. Alla vera passione (e tu ce l’hai) non si comanda!
    Grazie ancora
    a presto
    Enzo

  11. no, no, non sono abituato a sviolinare ( e voi de l’acquabuona lo sapete….), ma non ho paura di dire ciò che penso…
    Enzo

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