50 volte dolce. Viaggio attraverso l’Italia del Passito

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Ebbene sì, sono proprio 50 (anzi più una!) le etichette italiane che ho selezionato e provato per approfondire il tema del vino dolce che, per dirla subito, ci rende ancor più un Paese unico e straordinario. Come sappiamo la maggior parte dei produttori, specialmente nelle zone dove la vocazione al passito è radicata, conservano per tradizione spesso tramandata di generazione in generazione un legame particolare e viscerale con questo vino, prodotto con grande cura e passione, applicando regole di vinificazione gelosamente conservate nei ricordi di famiglia. Si tratta di piccoli tesori che, per ovvi motivi di resa, si realizzano in limitatissime quantità ed esprimono, oltre al patrimonio eno-culturale del terroir di provenienza, anche uno specifico stile produttivo e un sentimento intrinseco, tali da rappresentare l’immagine del produttore stesso.

Meriterebbero ampio spazio, in questa introduzione, le diverse le tecniche di appassimento che caratterizzano le varie realtà regionali, ma una veloce overview agevolerà la lunga sezione degustativa. Tra i sistemi naturali troviamo i nobili muffati in vigna, le delicate vendemmie tardive, l’acinellatura dei Picolit o il ghiaccio degli Eiswein. Tra le molteplici e singolari modalità di appassimento in cantina, vi è invece chi appende i grappoli ai “penzoli”, chi usa cassette di legno e chi graticci di vario genere, oppure stuoie, ripiani e reti in acciaio, oppure manufatti come le “nasselle” di Ischia che sono strutture in legno di castagno e di ginestra intrecciate a mano. Per questa delicata fase si allestiscono inoltre ambienti climatizzati specifici, c’è chi usa una soffitta storica, chi il fruttaio o la vinsantaia, e c’è anche chi espone i grappoli al sole e lascia fare alla natura. Insomma, ce n’è per tutti i gusti e in questo viaggio li proveremo tutti (o quasi), di regione in regione (ben sedici), riservando magari solo brevi cenni introduttivi alle aziende, per descrivere al meglio le tecniche di appassimento e vinificazione e le note di degustazione. Ci sarebbe altrimenti il rischio (comunque non scongiurato) che l’articolo risulti pesante, perché cinquanta campioni sono tanti, ma mi sento di dire che per immergersi in questo lungo servizio, vale la pena prendersi tutto il tempo necessario, così come ce lo prendiamo quando versiamo nel bicchiere uno di questi vini, che non a caso definiamo spesso “da meditazione”.

Prima di iniziare mi corre l’obbligo di ringraziare tutti i produttori che hanno gentilmente collaborato, con i loro vini di pregio, a volte vere rarità, nonché  gli amici, giornalisti e sommelier, che hanno costituito i panel di degustazione dei vari tasting. Particolare riconoscenza infine per Maurizio della Locanda del Bere a Borgo Faiti (LT) e Diego dell’Enoteca dei Principi in Roma, amici fidati e competenti che hanno messo a disposizione i loro locali per il corretto servizio dei vini in occasione delle degustazioni.

Non si possono fare classifiche per vini così diversi tra loro, ma volendo mettere un accento sui ricordi più forti, in un’ipotetica Top Ten (anzi eleven), posso segnalare: la nobiltà del Muffato della Sala di Antinori, la fulgida eleganza dell’Essenzia di Pojer & Sandri, la meravigliosa rarità del Diclà di Cascina Gilli, l’efficace riuscita del Capitolium di Cantina Sant’Andrea, la dolce eccellenza del Picolit di Vigna Petrussa, la raffinata setosità dell’Arkezia di Fazi Battaglia, la gustosa morbidezza del Clematis di Zaccagnini, il toccante sentimento dell’Uve Decembrine di Giovanni Dri, l’estroso equilibrio dello Sciacchetrà di Bisson, la monolitica fragranza del Ben Ryè di Donnafugata e la perlacea succulenza del Vola Vola di Zamò. Ma anche tutti gli altri mi hanno divertito e appagato. E’ stato un lavoro difficile e gratificante, lungo ed esaltante, un’esperienza che mi ha regalato emozioni fortissime che spero di aver saputo trasferire, almeno in parte, nelle note che seguono … regione per regione … rigorosamente in ordine alfabetico.

ABRUZZO

PIETRANTONJ – Passito 2008

L’Abruzzo è terra di vini caldi e consistenti, particolarmente i rossi da Montepulciano sono caratterizzati da una struttura corazzata che deriva dal vitigno stesso; controllare le asperità e la generosità di queste uve è un’arte che i bravissimi produttori abruzzesi hanno imparato a fare con sapiente abilità nel corso di una storia enoica che affonda le radici in tempi remoti. Pietrantonj rappresenta duecento anni di tradizioni e otto generazioni di esperienze, che oggi si traducono in tecniche affinate ed efficaci che regalano grandi vini; tirar fuori dal Montepulciano un’anima dolce è il picco di questa capacità enologica. Le uve coltivate nella tenuta del Cerano, in piena Valle Peligna, vengono raccolte a mano tardivamente, in pieno novembre, quando gli acini già presentano una incipiente e naturale disidratazione. Accuratamente selezionati, i grappoli si collocano sui graticci per ottimizzare il grado di appassimento in un ambiente con controllo termo-igrometrico scrupoloso; dopo circa due mesi le masse si riducono del 50% e la concentrazione di zuccheri è ottimale per procedere alla diraspatura, cui segue una pigiatura soffice che avvia il mosto alla tradizionale vinificazione in rosso. La fermentazione a temperatura controllata avviene in acciaio e dura al massimo un mese, poi cessa naturalmente per effetto del titolo zuccherino; dopo la svinatura il vino matura in botti grandi prima di essere imbottigliato. Nel mio calice questo passito è rosso sangue, scuro e compatto con riflessi amaranto e unghia cremisi. Al naso è fragrante, incisivo e profondo, con profumi di visciole sotto spirito e prugna stramatura su un fondo floreale di viola e tracce muschiate. In bocca è una sorpresa, entra con incedere deciso, ma controllato, avvolge il palato con dolcezza amaricante e morbida tannicità, non si avverte alcuna ruvidezza e i sapori si dipanano fra le papille con eleganza. Ancora prugna in confettura, amarene e more, poi un tocco vegetale, mentolato, sentori di cacao e una ghiotta deglutizione che rimanda fresca balsamicità con un delicato e abboccato residuo tannico. Un vino abboccato più che passito, dolce-non dolce, quasi da provare a tutto pasto.

ZACCAGNINI – Plaisir Bianco 2008

Il Moscato di Castiglione coltivato in Contrada Pozzo è esposto a sud; i suoi grappoli, per dare vita a questo passito, vengono lasciati appassire in vigna con opportune incisioni dei tralci al fine di interrompere il flusso linfatico. Raggiunto il giusto contenuto zuccherino, l’uva viene raccolta e sottoposta a soffice pigiatura sottovuoto, per poi avviare il mosto fiore alla fermentazione in contenitori di acciaio. Successivamente il vino matura ancora in inox per affinare poi in bottiglia prima della commercializzazione che avviene l’anno successivo alla vendemmia. Un passito che non fa legno quindi, non proprio dedito all’invecchiamento, ma in grado di esprimere da subito tutto il suo potenziale, che si presenta in una veste cromatica intensa e dorata, con venature zafferano. Al naso offre un bouquet delicato e aromatico, da buon Moscato, con sentori di frutta tropicale matura, datteri e un fondo resinoso. In bocca ha un gusto ampio e piacevolmente dolce, ma con un apporto sapido equilibrante; note di albicocca, uva passa e miele sfumano su preziosi ritorni floreali e in un respiro di zafferano.

ZACCAGNINI – Plaisir Rosso 2009

Ancora Ciccio Zaccagnini e ancora Plaisir, ossia “piacere”, ma stavolta in versione rossa, ottenuto da uve Cannonau coltivate con la migliore esposizione nei vigneti di Contrada Pozzo dove, per l’appassimento degli acini vengono ancora intagliati i tralci, in modo che i grappoli possano “asciugarsi” al meglio sulla pianta. La procedura è la medesima del Plaisir Bianco, le uve giunte al desiderato grado di disidratazione sono raccolte e pigiate per poi essere avviate alla vinificazione in rosso: macerazione, fermentazione e svinatura prima del riposo in acciaio inox prima ed in bottiglia poi. Il vino si presenta di un bel rosso vivo, amaranto con riflessi violacei e unghia lievemente scarica. Il riscontro olfattivo è di una delicata aromaticità fruttata, di sottobosco e vagamente vegetale. Al palato sviluppa subito sensazioni di bacche nere, more di rovo e mirto, poi marmellata di prugne e un timido cenno floreale; una tannicità accennata che stempera il registro dolce accompagna il finale che riporta ancora leggere note vegetali.

ZACCAGNINI – Clematis 2005

Questa è una perla rossa che Zaccagnini ottiene da uve Montepulciano d’Abruzzo nel cuore delle sue vigne, dove la tecnica di appassimento è quella comune ai Plaisir con incisione dei tralci e attesa del giusto tenore zuccherino prima della raccolta. Anche la vinificazione riprende la filosofia degli altri passiti aziendali, con pressatura soffice, macerazione e fermentazione a temperatura controllata prima della svinatura. E’ la maturazione che fa una differenza importante, con permanenza di ben tre anni in caratelli di rovere francese di piccolissima capacità (50 litri), cui segue un periodo di affinamento in bottiglia prima di essere posto sul mercato. Il colore è scurissimo, viola impenetrabile, con tracce blu di Prussia; i profumi sono molto profondi, con aromi di frutta nera e sottobosco, terra umida, cuoio e caffè. L’ingresso in bocca è voluttuoso, denso, dolce ma dal vivido nerbo acido, con tannini docili e pastosi; le fragranze fruttate ricordano il lampone, il ribes e la marmellata di more, poi visciole sotto spirito, sciroppo d’acero e, deglutendo, ritorni speziati e compositi di liquirizia, tabacco e cacao.

ALTO ADIGE

ERSTE & NEUE – Anthòs 2007

E’ antichissima la storia di questa azienda, che nasce dalla fusione delle due storiche cantine sociali di Caldaro, la Prima e la Nuova. Ci sono oltre 450 orgogliosi vignaioli che secondo tecniche tramandate da generazioni lavorano sui terrazzamenti che incorniciano il Lago di Caldaro. Le uve, metà Moscato giallo e metà Gewürztraminer e Sauvignon blanc in egual misura, vengono vendemmiate a piena maturazione e poste ad appassire per tre mesi. Segue la pigiadiraspatura, poi il mosto viene fatto fermentare a temperatura controllata fino al raggiungimento del tenore zuccherino desiderato (250 g/l), che viene fissato forzando l’interruzione del processo fermentativo. Dopo un lungo affinamento in barriques, l’Anthos si offre al calice in una dorata tonalità cromatica con luminescenze ambrate. I profumi sono raffinati e il complesso aromatico è ricco di fiori bianchi appassiti e frutta esotica, con sentori di miele e mandorla. In bocca è coerentemente composito e fresco: uva passa, confettura di albicocche e fichi secchi; in chiusura un respiro nocciolato, un ricordo fungineo ed un lungo ritorno di melannurca.

HOFSTÄTTER – Gewürztraminer Vendemmia Tardiva Joseph 2008

I vini di Hofstätter raccontano la sua storia e non credo serva ricordarne qui la grande tradizione e la maestria che hanno condotto a questa magnifica espressione dolce di Gewürztraminer. Le uve sono vendemmiate stramature a novembre avanzato e sottoposte a pressatura soffice; il mosto appena sedimentato avvia naturalmente il processo di fermentazione sotto un rigido controllo termico. Dopo la svinatura, si passa in barriques di rovere per oltre un anno, dopo il quale avviene l’imbottigliamento ed un ulteriore periodo di affinamento in cantina di sei mesi. Il vino è giallo paglierino carico, con riflessi dorati, e unghia più scarica; i profumi sono incisivi a dispetto del colore mite, tappeto floreale, biancospino e gelsomino, frutta tropicale e cedro candito, poi sentori di resina e vaniglia. Al palato è gentile, il registro fruttato richiama l’ananas sciroppata, poi si passa a note varietali e più speziate di zafferano e noce moscata; la deglutizione restituisce un piacevole aroma balsamico.

CAMPANIA

FEUDI SAN GREGORIO – Privilegio 2007

Anche dei Feudi di San Gregorio ho già scritto molto, quindi lascio al vino il racconto di un nuovo incontro. Le uve di Fiano e Falanghina vengono lasciate appassire in appositi locali per circa due mesi e, dopo la pigiatura, si avvia la fase di vinificazione che prevede un mese di fermentazione in barriques. Successivamente il vino matura un anno ancora in barriques e dopo l’imbottigliamento affina altri dodici mesi in cantina prima della commercializzazione. Il colore è giallo oro limpido con riflessi luminosi; al naso è dolce, complesso e aromatico, con aromi di caramello, nocciola, arancia candita e leggere note di fieno essiccato. In bocca è vellutato, con fragranze di composta di albicocca, miele di zagara e cannella; l’equilibrio fra zuccheri e acidità risulta ideale e il vino non è mai stucchevole.

VILLA RAIANO – Aedòn 2005

Altra espressione dell’irpinia e del suo vitigno a bacca bianca che più amo, il Fiano di Avellino, questa volta passito da un’azienda relativamente giovane, sotto il profilo enologico, ma ottimamente condotta sui binari di una qualità di eccellenza. Le uve dell’areale di Candida vengono raccolte surmature e quindi vinificate in bianco. Il vino si presenta dorato e luminoso, con profumi incisivi, di resina e frutta secca, con note tropicali e salmastre. In bocca è leggero e vellutato, la componente dolce è una traccia tra la spalla acida e il timbro minerale; una nota citrica emerge sopra le righe, poi cede il passo a un ritorno di macchia mediterranea che arieggia nel palato sul ricordo dolce. Tutto molto bello, ma un po’ corto.

CALABRIA

LIBRANDI – Le Passule 2008

Di Librandi è nota la storia e l’applicazione nella valorizzazione dei vitigni autoctoni, come questo Mantonico,  i cui grappoli, vendemmiati a ottobre, vengono lasciati appassire in appositi locali almeno due settimane fin quasi ad assumere le sembianze di “uva passa”, da cui il nome del vino tradotto in dialetto locale. Dopo la pressatura soffice, la fermentazione viene avviata in acciaio per completarsi in barriques di Allier dove, una volta svinato, ritorna per quasi un anno a maturare; prima di essere posto sul mercato, il vino imbottigliato riposa sei mesi in cantina. Il colore risulta dorato, piuttosto luminoso, con venature ambrate; i profumi appaiono fragranti, con sentori di albicocca candita, amaretto, fichi secchi e scorza d’arancia. L’assaggio regala sensazioni di pera, pesca sciroppata, mandorla, uva passa e coerenti note agrumate; una cremosità potente ed elegante abbinata ad una dolcezza dal timbro sapido che non disturba mai.

EMILIA ROMAGNA

FATTORIA PARADISO – Frutto Proibito 2008

Il Frutto Proibito è davvero un concentrato di ricerca e sperimentazione unite a esperienza e tradizione vitivinicola. Le uve mature, coltivate con basse rese e selezionate tra i migliori cru di Albana gentile a Bertinoro, nella zona di Capocolle, vengono intagliate nei tralci per il interrompere il flusso linfatico e favorirne l’appassimento in vigna. La successiva vendemmia, rigorosamente a mano, avviene quando è raggiunto il tenore zuccherino desiderato e gli acini iniziano a manifestare presenza di muffa nobile. La macerazione sulle bucce si svolge in un ambiente termo-controllato, dove avviene la temperatura viene abbattuta sotto lo zero simulando le condizioni tipiche degli eiswein. Dopo un paio di giorni gli acini sono pronti per la pigiatura e la vinificazione, che avviene in barriques povere di tostatura; successivamente il vino affina sei mesi in nuovo legno e poi altri sei in bottiglia. Un prodotto estremo, figlio di lunghe sperimentazioni e tecniche innovative, che hanno portato alla luce il massimo potenziale di questo vitigno. Perfino l’etichetta è un oggetto raffinato e d’autore, opera del maestro Tonino Guerra, con rilievi ed elementi in foglia oro, trattata per resistere nel tempo ai raggi UV. Un vino ambrato e luminoso con riflessi dorati; profumi subito dolci, di miele e confettura di pesca, poi un’apertura floreale e vagamente mentolata. In bocca è incredibile, la mielosità s’intreccia a un insospettato timbro acido, albicocca e melacotogna, poi datteri ed un velo agrumato; nel post beva un ritorno di fioritura appassita e vaniglia.

FRIULI VENEZIA GIULIA

CANTARUTTI ALFIERI – Picolit 2007

Antonella Cantarutti e Fabrizio Ceccotti, uniti dall’amore reciproco e da quello per il vino del loro territorio, alimentano il loro lavoro con questo sentimento riuscendo a coniugarvi tradizione e innovazione. Dopo l’ultima e limitatissima produzione datata 1996, tornano quest’anno con il loro Picolit, anzi due; ritroviamo infatti il loro vino più pregiato in ben due versioni 2007 e 2006, impreziosito da un packaging avvenente, che si fregia ormai della docg, e che recepisce le vinificazioni in bianco esclusive che stanno dando tante soddisfazioni nei vini secchi. I grappoli, acinellati e spargoli, selezionati a ottobre e appassiti, vengono raffreddati in un tunnel con azoto liquido che regola la temperatura intorno allo zero. Il processo evita il congelamento della materia, ma agevola una diraspatura efficace che conduce i preziosi acini alla pressa pneumatica dove, sempre sotto azoto, si effettua con delicatezza la pigiatura. Fermentazione e affinamento richiedono diversi anni e si svolgono interamente in barriques, dove il mosto completa anche la malolattica. La criomacerazione delle uve e l’attenta vinificazione consentono a questo vino di proporsi con un bouquet aromatico estremamente ampio e composito, introdotto da una veste cromatica dorata di grande effetto per i suoi riflessi cangianti. Tornando al naso, si apprezzano note floreali di acacia e zagara, frutta stramatura e uvetta, infine spezie dolci come tabacco e zenzero. In bocca è una frustata dolce e calda che avvolge il palato, ma masticando il sorso si avverte un tonico nerbo acido che bilancia il gusto e apre la porta a fragranze di agrumi candita e fichi secchi, pasta di mandorle e miele di castagno con un bel respiro finale vagamente mentolato.

CANTARUTTI ALFIERI – PICOLIT 2006

Come detto per il campione precedente, il ritorno sul mercato del Picolit Cantarutti si avvale anche di questa edizione 2006 che fa gode delle lavorazioni applicate al 2007, incluse malolattica e lenta maturazione in barriques selezionate, ma si avvale di un anno di invecchiamento in più. Di contro, offre riscontri sensoriali più evoluti che certamente possono intrigare i palati che ricercano note più calde e raffinate. Il vino appare già diverso nel bicchiere, l’ambra fa la sua apparizione ed i riflessi diventano meno luccicanti e più biscottati con venature tenné. Al naso la componente floreale ricorda la camomilla, mentre quella fruttata vira sul registro disidratato, con nuance tostate di nocciola e un respiro balsamico che richiama il patchouli. In bocca entra con più calore e compostezza del 2007, pur denotando una densità caramellata notevole che smorzata per altro da un fondo iodato morbido; fragranze di fichi secchi, datteri e miele di eucalipto si intrecciano fino alla deglutizione, che restituisce tracce di scorza d’arancia candita, anice stellato e una leggera nota funginea.

GIOVANNI DRI – Ramandolo 2007

In molti testi, opinioni, guide o articoli dedicati al Ramandolo, troverete scritto lo slogan “vino dolce non dolce”, un concetto e una definizione più che azzeccata per questo passito. Non posso scrivere nulla di originale in merito, solo trasmettere l’unicità che ogni vignaiolo infonde nel proprio vino, così come fa Giovanni Dri, la cui passione ed il cui amore per le terre che lo hanno visto da sempre protagonista enoico, animano il suo Ramandolo. Questo in particolare esprime in modo fedele e trasparente la vitalità del vitigno e la sua naturale propensione a legare timida dolcezza a soffice ruvidità. Un vino ottenuto come sempre dalla vinificazione di uve Verduzzo appassite, ma che non vede legno nel corso della sua lavorazione, svolta in acciaio inox. Un passito che veste i colori chiari del giallo paglierino animati da venature cangianti dorate, dai profumi eleganti che si aprono su fragranze di mimosa e ginestra, che sviluppano su note di ananas e pesca stramatura, per chiudersi con tracce di miele ed un velo mentolato. Al palato esprime freschezza e verve gustativa, snodandosi abboccato fra le papille e liberando sapori di albicocca disidratata e agrumi canditi, di marmellata di pesca e di uva passa, di caramello e mou. Deglutendo restituisce un respiro minerale e lascia un lungo ricordo ammandorlato

GIOVANNI DRI – Ramandolo Il Roncat 2006

Non conosco Giovanni Dri, ma vorrei incontrarlo. I suoi vini denotano un forte legame con il territorio, che si traduce in un affiatamento quasi simbiotico con vigne altrimenti impossibili da lavorare, come quelle del Ramandolo. Filari di Verduzzo friulano inerpicati su una sorta d’impervio e naturale anfiteatro che, solo tra i comuni di Nimis e Tarcento, sui Colli Orientali del Friuli, compongono la docg Ramandolo. Il nome è derivato dalla piccola frazione di Nimis epicentro di questo terremoto enoico, proprio in un’area che nel ’76 fu devastata dal terremoto vero, che ha reso ancora più difficile qui il sogno di fare vino. Ecco, i vini di Giovanni Dri mi danno la netta sensazione che questa esperienza abbia fortificato il rapporto fra uomo e vigna, una relazione che è peculiare e certamente comune a tutte le realtà dell’areale; qui il Ramandolo è come un vecchio amico, un confidente con cui si sono condivise difficoltà poi superate insieme, con l’aiuto reciproco l’uno dell’altro, giorno dopo giorno, anno dopo anno, facendo tesoro della storia comune e dei segreti fra uomo e terra che sono il segno di una complicità madre di ciò che poi, brillando nei calici, il Ramandolo trasmette ad ogni attento degustatore. Mi sono dilungato in un’introduzione forse stucchevole per qualcuno, ma doverosa per me che la sentivo, recupero saltando la descrizione del ciclo produttivo, di cui segnalo solo il passaggio di un anno in barriques, riportandovi a seguire le mie impressioni sensoriali. Colore oro vivace con riflessi metallici e ambra chiaro; profumi ampiamente fruttati, con sentori di sciroppo, miele, zabaione e vaniglia. Al papato è polposo, dolce e pieno, ma lievemente tannico e finemente sapido; alla pesca in confettura si uniscono fragranze di zafferano, pasticceria secca e cannella.

GIOVANNI DRI – Uve dicembrine 2005

Lo confesso, questo preziosissimo nettare me lo sono degustato in solitaria, trovando il giusto senso dell’accezione “vino da meditazione”. La vendemmia di questo Verduzzo avviene a dicembre, quando il naturale appassimento sulla pianta ha concentrato un fisiologico bagaglio zuccherino negli acini e la neve comincia a vestire di bianco le vigne dell’aspra collina di Roncat a Ramandolo. I grappoli vengono allora raccolti uno a uno delicatamente e condotti ad una leggera pigiatura; il mosto ottenuto sviluppa una lenta fermentazione, al termine della quale viene travasato in barriques di rovere francese per maturare un anno. Una prelibatezza d’oro vivo, intenso e limpido, che dal calice sprigiona aromi di frutta matura con velature floreali di acacia e viola e note speziate sottili di nocciola e tabacco. Assaggiarlo regala un’immediata sensazione di piacevolezza, ricco e amabile, con un accenno tannico che bilancia la dolcezza di fondo; fragranze di ananas e albicocca sciroppata, arancia candita, fichi secchi, caramello, e vaniglia. Un vino appagante e a mio modo di vedere intimo, con un lungo respiro minerale che stimola la beva.

GIOVANNI DRI – Picolit 2006

Nel Picolit di Giovanni Dri ritrovi una dolcezza e una consistenza forse figlie del fenomeno naturale e peculiare di questa uva, ma forse figlie anche dell’intesa che caratterizza il fare vino in questi luoghi e in quest’azienda. Le uve, che già subiscono l’effetto dell’acinellatura, vengono raccolte tardivamente e vinificate con perizia e sentimento, lasciando poi maturare il vino in barriques per un anno. L’aspetto è brillante, tra il giallo paglierino intenso e l’oro, con un’incisiva carica olfattiva floreale che ricorda la viola e la camomilla, vi s’intrecciano note di frutta esotica e spezie con sentori salsoiodici. In bocca non si scompone mai, nonostante la cremosa mielosità appare equilibrato da una freschezza mirabile unita al tocco sapido; le fragranze di frutta secca, datteri e crème caramel avvolgono il palato che si pulisce alla deglutizione lasciando un lungo ricordo di armonia e gustosa pastosità.

LA RONCAIA – Ramandolo 2007

La Roncaia è un’azienda del gruppo Fantinel, una realtà giovane e dinamica che ha saputo cucirsi addosso una credibilità enologica cristallina grazie all’impegno, alla serietà ed alla competenza di chi la anima, lavorando al meglio e rispettando con umiltà tutti i tempi dettati dalla natura e dal ciclo produttivo che dà vita a grandi vini. La punta di diamante di una produzione già pregiata, sono le docg di Picolit e Ramandolo, due facce di una medaglia che non ha “rovescio”. Le uve Verduzzo sono selezionate e raccolte con cura in pieno ottobre, quando gli acini presentano già un primo appassimento naturale, che viene completato in cantina ponendo i grappoli prima in fruttaia e poi al sole per raggiungere, in un paio di mesi, il giusto concentrato zuccherino. Sgrappolati a mano, gli acini sono sottoposti a pressatura ed il mosto viene avviato al lungo periodo fermentativo che si esplica in barriques di Allier per circa nove mesi, durante in quali ripetuti batonnage per favorire la benefica sospensione delle fecce fini. Quando ormai è passato un anno dalla vendemmia, il mosto subisce un travaso che elimina le fecce grossolane e consente di assemblare il vino per ricollocarlo nelle stesse barriques dove matura per un anno prima di essere imbottigliato e decantare qualche altro mese prima della vendita. L’occhio viene colpito dall’intrigante e cangiante luminosità di questo Ramandolo, che appare di un colore oro vivo con riflessi metallici; il naso si bea di aromi di frutta secca, miele di castagno e cera d’api, con un’apertura moderatamente floreale ed un finale vanigliato. In bocca le fragranze dolci si avvalgono di una freschezza acida sostenuta e benefica: albicocca disidratata, nocciola, ancora miele e zafferano; si percepisce un sottile velo tannico che accompagna la deglutizione, da cui tornano aromi di agrumi canditi, pasta di mandorle e zenzero con una piacevole sensazione sapida che contrasta la dolcezza del sorso.

LA RONCAIA – Picolit 2007

Molti ristoranti si adoprano per costruire carte dei vini di alto livello da accostare ai loro menù, ma è raro che si arrivi a comprare vigneti e avviare direttamente una produzione di qualità per auto-fornirsi. Mario Fantinel, albergatore e ristoratore, imprenditore vero, alla fine degli anni sessanta ha fatto proprio così ed oggi, a distanza di tre generazioni, la famiglia Fantinel gestisce un marchio multilivello in cui La Roncaia è una gemma in terra di Nimis, dedicata alle denominazioni dei COF che, con oltre 30 vigneti da cui si selezionano i migliori cru, vanta la più grande superficie vitata a Picolit, questo raro e “rarefatto” vitigno in grado di regalare emozioni uniche. Le uve provenienti dalle colline di Attimis vengono selezionate e vendemmiate a fine ottobre, ad avanzato stato di disidratazione, e sottoposte ad attenta appassitura fin quasi a dicembre. Al momento giusto i radi e piccoli acini vengono diraspati a mano e pressati ottenendo il mosto che viene avviato alla fermentazione, parte in barriques nuove di Allier e parte in acciaio, sotto rigido controllo delle temperature. Ultimata questa fase, le parti vengono assemblate e poste in affinamento per circa un anno in barriques prima dell’imbottigliamento e successiva commercializzazione dopo circa tre mesi di riposo. Il vino è denso e viscoso nel calice, si muove lento e ambrato aggrappandosi al cristallo dove lascia grosse lacrime a comporre archetti ampi nella loro ricaduta. I profumi sono complessi e profondi, con note di uva passa, resina, burro di arachidi e mandorla, poi tracce di tostatura, vaniglia e tabacco. Il gusto e suadente, caramellato, succulento, con nerbo acido e supporto tannico che giocano ruoli di controllo ed equilibrio della componente dolce. Le fragranze sono gustose, fichi secchi, datteri, miele di acacia, frutta candita e pinoli, poi una scia minerale che accompagna la deglutizione e riporta al retronasale sentori agrumati e iodati.

PIERA MARTELLOZZO – Fiola 2009

Ho già parlato di Piera Martellozzo quando ho raccontato i suoi spumanti della linea 075 Carati, manifestando l’intento di approfondire la sua conoscenza attraverso i suoi vini. Questa occasione mi concede di osservare il suo modo di interpretare il dolce, un modo raffinato e femminile che parte dalla scelta delle uve, un blend di Traminer Aromatico,Sauvignon, Riesling e Incrocio Manzoni che denota la sottile ricerca di un passito che accarezzi il palato con misura e con sfumature dosate. Le uve dell’alto Grave, vendemmiate tardivamente in momenti diversi fra settembre e ottobre per i quattro vitigni, vengono poste sui graticci circa un mese per completare l’appassimento sotto rigido controllo termo-igrometrico. Raggiunti i parametri voluti, i grappoli vengono raffreddati a temperature molto basse per alcuni giorni e successivamente pressati; una breve macerazione dà avvio alla fase fermentativa che si protrae per oltre un mese a 15°C. Successivamente il mosto affina sui lieviti per più di un anno prima della preparazione per l’imbottigliamento. Il colore è molto luminoso, oro brillante con raggi croco; l’approccio olfattivo è intenso con aromi di frutta esotica e stramatura, nuance floreali di acacia e zagara, cera d’api e lievi accenni di zenzero. Al palato si offre con estremo garbo e sofisticata complessità, dove fragranze di frutta candita intrecciano note di miele e zafferano; la dolcezza è molto controllata, il sorso morbido e vellutato lascia una traccia minerale e un ritorno retronasale agrumato con un ricordo di fave. Un vino molto ricercato che si gioverebbe ancor più di un’incisività più marcata e una persistenza maggiore.

VIGNA PETRUSSA – Picolit 2007

Dalle vigne poste sulla collina di Santo Spirito, Hilde Petrussa ricava le selezionatissime uve che concorrono a ricavare il migliaio di bottiglie di Picolit, vanto dell’azienda. Le uve, diradate e defogliate durante la stagione, dopo la vendemmia vengono poste in cassette di legno ad appassire, fino a dicembre, in ambienti appositamente climatizzati prima di essere avviate alla vinificazione che prevede una breve macerazione a freddo. La fermentazione avviene in barriques di rovere francese e, dopo aver svolto anche la malolattica, il vino passa con unico travaso nelle barriques per un periodo di maturazione e affinamento che dura fino a venti mesi. Una volta imbottigliato riposa altri sei mesi in cantina prima di essere commercializzato. La tonalità cromatica è molto viva, ambra chiaro con riflessi biondi; l’approccio olfattivo è suadente, con apertura floreale di mimosa, respiro fruttato distribuito su aromi di agrumi canditi e datteri, e fondo speziato con ricordi di nocciola e noce moscata. In bocca è denso, dolce, cremoso, con fragranze di ananas sciroppato e creme caramel, mandorla e miele; dopo la deglutizione si avverte un benefico ritorno sapido, con un residuo aromatico di alloro e cannella. Un gran vino, strutturato ed equilibrato, fragrante e armonioso.

VIGNA PETRUSSA – Desiderio 2006

Questa è una primizia, una prima uscita che si compone di “Tocai” Friulano e Malvasia Istriana, un nuovo prodotto che Vigna Petrussa affianca al glorioso Picolit. Purtroppo non ho evidenza dei metodi di appassimento e vinificazione, ma il riscontro organolettico è ancora piacevolissimo. Colore oro antico con riflessi ambra, profumi leggeri che ricordano la frutta secca e miele di acacia, con tracce fumè e nocciolate. In bocca è molto particolare, con un timbro dolce-amaro stuzzicante in cui si ritrovano fragranze di noce e dattero, ritorni floreali e sapidità. Un bel complesso aromatico, una dolcezza cupa, quasi amaricante, con una chiusura che lascia ricordi di intrigante contrasto fra il croccante e il torroncino.

LE VIGNE DI ZAMO’ – Vola Vola 2006

Il Vola Vola è anzitutto un regalo di Pierluigi Zamò e un vino diverso dalle icone friulane Picolit e Ramandolo, uno spaccato più agevole del potenziale “zuccherino” della regione. Un prezzo più intrigante, un’etichetta simpatica, un bel packaging ed un gusto immediato e fragrante, sono gli elementi che avvicinano questa delizia al grande pubblico. Si tratta di un blend di Sauvignon, Verduzzo e Picolit, dove la metà delle prime due uve viene vinificata a piena maturazione con criomacerazione e fermentazione a bassa temperatura. Nel frattempo l’altra metà di Verduzzo/Sauvignon e tutto il Picolit vengono fatti appassire opportunamente e quindi diraspati e pigiati. Al momento giusto le due vinificazioni vengono unite per 4/5 giorni in modo che la quota passita faccia suo il contributo dell’altra, dopodiché questo assemblaggio viene svinato e posto in tonneaux da 5 hl per terminare il processo di fermentazione fino al corretto rapporto tra alcool e zuccheri. Dopo il filtraggio il vino matura ancora negli stessi tonneaux. Alla vista si presenta oro antico con sfumature ambrate, la roteazione del calice lascia un velo di liquido aggrappato al cristallo che scende con lente e fitte lacrime dorate. L’approccio olfattivo è inebriante, arancia candita, miele di acacia e note vanigliate emergono su un tappeto floreale di zagara e camomilla. Al palato è caldo, viscoso e ricco; fragranze di ananas, albicocca e dattero si amalgamano in un collage di sapori che si completa in una lunga scia minerale che abbraccia il palato e lascia una sensazione di assoluta armonia.

LAZIO

CANTINA SANT’ANDREA – Capitolium 2008

Il Moscato di Terracina è uno dei vitigni più rappresentativi dell’agro pontino e la famiglia Pandolfo da sempre lo coltiva nel suo ambiente naturale, le vigne che respirano l’aria di mare del Tirreno, ma anche nel cuore, con la cura che si dedica ad un figlio prediletto. I vigneti sono gli stessi da cui quest’azienda ottiene anche la versione secca, durante la vendemmia i grappoli più aperti e con gli acini più ricchi vengono lasciati sui tralci per sovramaturare in modo naturale. Raggiunto il giusto tenore zuccherino, le uve sono raccolte in contenitori dove proseguono l’appassimento per più di due mesi in locali predisposti per questa fase. Dopo una delicata pigiadiraspatura e una breve macerazione a freddo, si avvia il processo fermentativo del solo mosto fiore separato e trasferito in contenitori di acciaio di piccole dimensioni, dove riposa circa tre mesi. Quando la fermentazione completa naturalmente il suo ciclo, il vino viene trasferito in botti di rovere dove matura per circa sei mesi e, dopo l’imbottigliamento, affina ancora diversi mesi in cantina. Questo nettare si presenta di colore ambrato, con riflessi nocciola; i profumi del moscato emergono intensi e profondi, con aromi di pesca e albicocca stramature, poi bergamotto, datteri, miele, tè darjeeling, resina, cera d’api, erbe aromatiche e note iodate. In bocca è dolce e pieno, vivacemente fresco e avvolgente, con fragranze di ananas sciroppato, confettura di fichi, un leggero timbro agrumato e note fumè; la persistenza è lunghissima, lascia integro il complesso aromatico a vagare nel retronasale con una sottile e stimolante sapidità al palato. Ottima persistenza.

CASALE DEL GIGLIO – Aphrodisium 2009

Paolo Tiefenthaler, enologo di Casale del Giglio, è riuscito in anni di studi e sperimentazioni a definire i vitigni che meglio si adattano al territorio pontino; con questa vendemmia tardiva ha trovato anche la giusta alchimia per far rendere al meglio tali uve in condizioni di surmaturazione. L’assemblaggio di Petit Manseng, Viognier, Greco e Fiano si assesta ogni anno su percentuali affinate in base ai riscontri qualitativi di ogni singola annata; le uve si raccolgono in diversi periodi della vendemmia a seconda del grado di appassimento riscontrato in vigna. Alla giusta disidratazione fa eco un perfetto stato fitosanitario derivante dalla cura posta in questa fase e dalle ottimali condizioni pedoclimatiche che si avvalgono del benefico effetto della brezza proveniente dal vicino Mar Tirreno. Gli acini selezionati sono sottoposti a pressatura soffice da cui si estrae solo la parte più concentrata del succo da avviare alla fermentazione, termoregolata in acciaio. L’aspetto è dorato piuttosto chiaro, con riflessi paglierini. L’approccio olfattivo è fresco e delicatamente floreale con sentori di zagara, gli aromi fruttati abbracciano albicocca e pesca gialla, con nitide note agrumate ed un sottile fondo mielato. In bocca si scopre una dolcezza aggraziata, affatto pesante, resa docile e sgrassante da un’acidità tonica e bilanciata; si avvertono fragranze di pera matura e banana, arancia candita e datteri. La chiusura è nocciolata, con ritorni di miele e mandarino, e una lunga scia minerale vagamente sapida.

FALESCO – Passirò 2007

Dalla mano dei fratelli Cotarella, in casa loro, non poteva che nascere un vino da meditazione di eccellente equilibrio e piacevolezza, ottenuto da un vitigno autoctono valorizzato proprio dalla loro opera di recupero delle antiche uve locali: il Roscetto. Raccolti a settembre inoltrato nei vigneti che si snodano tra le colline che affacciano sul Lago di Bolsena, i grappoli selezionati vengono adagiati in apposite fruttaie con attenta regolazione termo-igrometrica al fine di favorire lo sviluppo ed il controllo della muffa nobile. Successivamente, gli acini che raggiungono una botrotizzazione parziale almeno del 50%, vengono pigiati senza diraspatura e avviati alla fermentazione in tonneaux da 5 hl in cui maturano per circa un anno. Dopo l’affinamento in bottiglia, il vino si presenta giallo dorato con venature ambrate chiare e luminose. I profumi sono eleganti e compositi, con sentori di frutta tropicale, nocciola, sandalo e un ricordo di confetto. Al palato è avvolgente, morbido, fresco e gradevolmente amabile; fragranze di ananas e pesca sciroppata si intrecciano a note di cedro; deglutendo restano in bocca un velo di caramello e un respiro finemente speziato.

LIGURIA

BISSON – Sciacchetrà 2006

La cantina di Piero Lugano è in pieno centro a Chiavari, mentre le sue vigne (di proprietà o in affitto) sono distribuite fra le tenute di Trigoso e Campegli e le terrazze di Riomaggiore, a picco sul mare. Proprio da queste coraggiose e difficili colture provengono le uve Bosco, Vermentino e Albarola che concorrono sia alla produzione del Cinque Terre Marea sia, in versione passita, a questo Sciacchetrà (passito della tradizione ligure) a dir poco commovente. I grappoli più radi, manualmente ed eroicamente lavorati, vengono raccolti a piena maturazione e posti ad appassire per 2/3 mesi su appositi graticci; tra novembre e dicembre avviene la pigiatura e si avvia il lunghissimo ciclo  fermentativo, cui segue un periodo di maturazione di circa un anno e mezzo. Il vino, il cui nome deriva forse dal dialetto “sciac”-schiacciare l’uva e “tra”-togliere le vinacce durante la fermentazione, si presenta con una veste cromatica suadente, giallo paglierino carico con riflessi oro-ambrati. L’approccio olfattivo è di grande complessità, con aromi di agrumi canditi, note salmastre, quasi di scoglio, sentori di erbe aromatiche, poi erica, ginestra e zenzero. Al palato è bilanciatissimo, non smielato, ma abboccato, con la vena sapida in appoggio agli zuccheri di fondo; le fragranze di uva sultanina, anacardi e miele di castagno si amalgamano in armonia con ritorni salsoiodici, balsamici e di macchia mediterranea.

BISSON – Caratello Passito 2006

Il Vermentino, il “grande vecchio” dell’enologia ligure, e la Bianchetta Genovese, altro vitigno principe del patrimonio autoctono regionale, sono meravigliosamente assemblati in questo passito che nasce dalla tardiva vendemmia di queste due uve. La delicata morbidezza e rotondità del primo unita alla scontrosa ma efficace freschezza e sapidità della seconda in un blend sapientemente lavorato. I grappoli già surmaturi vengono raccolti e posti in apposite cassette per ultimare la fase di appassimento; in seguito gli acini vengono separati a mano dai raspi e successivamente pressati delicatamente. Il mosto svolge la fermentazione in carati di legno, con pochi e mirati travasi per terminare il processo su parametri alcolimetrici e zuccherini ideali; il periodo di permanenza in legno, incluso quello di maturazione, è di circa tre anni. Il vino si presenta con tonalità oro e ambra con riflessi metallici; i profumi risultano delicati nella misura e incisivi nelle fragranze di arancia candita, fichi secchi, caramello e vaniglia. In bocca è vellutato, in equilibrio tra dolcezza e freschezza, con note di albicocca disidratata, datteri, mandorle e tabacco dolce; nell’allungo sovviene una vena sapida ed un timbro lievemente tostato.

BISSON – Acinirari 2008

Bianchetta Genovese (90%) e Vermentino (10%) ancora sugli scudi, con quest’azienda che regala passiti eccellenti facendo sembrare semplice fare cose difficili, specie in Liguria. I migliori grappoli sono vendemmiati in leggero anticipo rispetto alla perfetta maturazione fisiologica, per poi essere destinati alle cassette di appassimento per un lungo periodo. Raggiunto l’ideale residuo zuccherino, le uve, vengono pressate manualmente, parzialmente diraspate e avviate ad una lenta fermentazione. Il ciclo si conclude in carati di legno, dove il vino rimane circa un anno e mezzo prima di essere imbottigliato. Colore dorato, con riflessi zafferano e profumo acceso di frutta esotica, nocciole e miele con sentori agrumati; il gusto è estremamente ammiccante, dolce e corposo, ricorda uvetta e marmellata di pesca, poi pinoli e mou. La deglutizione è calda e dolce, un residuo iodato stimola la salivazione e la beva, incentivata da un piacevole ricordo di caramello e resina vegetale.

LOMBARDIA

CASTELLO DI LUZZANO – Ciel d’Oro 2007

La Malvasia di Candia Aromatica è un vitigno autoctono, storico e rappresentativo dei Colli Piacentini, un’uva generosa che pochi produttori vinificano in versione passita. Maria Giulia e Giovannella Fugazza, eredi di un secolo di viticoltura tra i comuni di Rovescala (PV) e Ziano Piacentino (PC), nelle loro cantine del Castello di Luzzano, concorrono a conservare le tradizioni dell’areale dell’Oltrepò Pavese e proprio dei Colli Piacentini. Il loro passito è un omaggio al “cielo in oro” che orna il Monastero di S. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, un vino dolce e raffinato, leggiadro e delicato, che si ottiene dall’appassimento, prima in vigna e poi in cantina, di questa particolare uva. Pressata con molto garbo, vinificata con cura e scrupolosa attenzione, e quindi affinata in barriques, dà vita a un vino estremamente morbido e setoso che accarezza i sensi con dolce eleganza. Colore paglierino vivace, con riflessi dorati chiari e luminosi; bouquet floreale e aromatico che ricorda il moscato e propone sensazioni di rosa e fresia, di frutta tropicale e agrumi, di erbe aromatiche e tostatura. In bocca esprime un’abboccata sapidità, corredata da equilibrio acido e sobria dolcezza, con sentori di pesca, albicocca e ananas, cedro candito, frutta secca, miele di acacia e vaniglia.

MARCHE

FAZI BATTAGLIA – Arkezia Muffo San Sisto 2005

Il vigneto San Sisto è un vero e proprio cru di Verdicchio che ha raggiunto i vent’anni di età e da cui si ricava una pregiata riserva; due soli ettari, affacciati sul fiume Esino per un giusto tasso di umidità che favorisce lo sviluppo della muffa nobile, sono dedicati alla produzione dell’Arkezia. Le uve vengono lasciate sui tralci fino a novembre inoltrato, proprio per godere del benefico effetto della Botrytis Cinerea; verso la fine del mese, a cavallo con dicembre, i grappoli botrotizzati almeno per metà vengono selezionati a mano ed avviati alla vinificazione. La fermentazione dura circa un mese e mezzo, segue un periodo di maturazione in barriques di quasi un anno e mezzo; dopo l’imbottigliamento il vino affina altri sei mesi in cantina. Nel calice brilla dorato con riflessi cangianti; al naso offre profumi vivaci di frutta a pasta gialla in confettura, pesca e susina, con una nuance di mimosa e una gradevole tostatura. In bocca si avverte subito una raffinatezza d’insieme, con ingresso dolce e vellutato, una componente fruttata di albicocca candita con note agrumate ed un ricordo di strudel. Il complesso speziato chiude la deglutizione, con sentori di nocciola, miele di zagara, mandorla, curry e una traccia di polline per un finale molto lungo e articolato.

GAROFOLI  – Brumato 2005

Il Verdicchio dà prova di grandi capacità espressive nella versione passita, e la famiglia Garofoli ha imparato, nella sua storia secolare, ad assecondare questa propensione, lasciando surmaturare i grappoli già in vigna, per poi completarne l’appassimento in apposite celle termoregolate che ne abbassano la temperatura. Dopo la pigiadirasparatura, e una breve sosta sulle bucce, il mosto viene lasciato fermentare per circa 40 giorni in barriques; segue la svinatura e un periodo di maturazione in legno che può arrivare anche a due anni. Una volta imbottigliato, il vino sosta ancora un anno in cantina prima di essere commercializzato e giungere a noi con un aspetto ambrato, piuttosto cupo, dai tenui riflessi dorati. L’approccio olfattivo è complesso e aromatico, con note di arancia candita e nocciola, caramello e tracce di fieno essiccato. In bocca denota struttura e densità, la spalla acida contiene il forte timbro zuccherino, fragranze di marmellata di albicocca e miele riempiono il palato e aromi di uva passa e fichi secchi lo avvolgono alla deglutizione.

GAROFOLI – Dorato

Ottenuto da uve Moscato fatte appassire prima in vigna e poi in apposite celle frigo in cui la temperatura viene mantenuta bassa e l’umidità controllata. Raggiunte le condizioni parametriche desiderate, i grappoli vengono diraspati e gli acini sottoposti a pressatura soffice per poi essere vinificati con una breve macerazione sulle bucce. Una volta terminata la fase fermentativa, il vino matura circa sei mesi in legno prima di essere imbottigliato. Dorato di nome e di fatto, si offre al naso con un bouquet floreale di rosa, con cenni di frutta esotica matura e un respiro di tè bianco al gelsomino. Dolce e vellutato al palato, ricorda la cotognata, il gelso bianco e il miele d’acacia, con buon sostegno acido che dona freschezza e un ricordo di pompelmo rosa. Discreta persistenza.

IL POLLENZA – Pius IX Mastai 2007

Nella regione del Verdicchio il conte Aldo Brachetti Peretti, imprenditore e petroliere, ritrova il contatto con le origini della sua famiglia e della sua terra, nell’areale di Tolentino. Per onorare il ricordo di Papa Mastai Ferretti, ultimo Papa re e antenato, pensò di creare un vino dolce che prescindesse dal vitigno principe delle Marche. Il Pus IX nasce così da uve Sauvignon Blanc e Traminer aromatico che vengono lasciate appassire prima in vigna e poi in “pinata” ottenendo anche un’incipiente velo di muffa nobile. Dopo la pressatura il mosto viene lasciato illimpidire staticamente per decantazione e quindi avviato alla fermentazione che avviene sotto stretto controllo termico; segue un periodo di affinamento sulle fecce, in vasche di cemento vetrificato, che dura quindici mesi prima dell’imbottigliamento. Il vino appare ambrato con riflessi oro antico, emana profumi molto complessi e ricchi di sfumature aromatiche; apertura floreale con rosa e lavanda, poi frutta candita, pasta di mandorle, miele, tabacco dolce e orzo. In bocca è denso, ampio, concentrato e grasso, con sentori di mela cotogna, albicocca essiccata, uva sultanina, zucchero di canna, noci e mandorle fresche; più freschezza acida che calore alcolico nel sostenere la spinta dolce, un sorso lungo e oleoso con un gradito residuo sapido. Passito ricco di materia, ambizioso e importante, che non fa sconti.

PIEMONTE

CASCINA GILLI – Dlicà

La Malvasia di Schierano è un vitigno storico delle colline del basso Monferrato, che Gianni Vergnano ha saputo recuperare e valorizzare con un lavoro paziente e appassionato, al punto da rappresentare oggi un riferimento per la tipologia. Nelle vigne di Castelnuovo don Bosco da cui Cascina Gilli trae le uve per la sua versione spumeggiante e dolce, nelle stagioni particolarmente favorevoli, dopo la “prima vendemmia” alcuni grappoli vengono lasciate sui tralci recisi per appassire naturalmente sulla pianta. Tipicamente a novembre, si svolge la vendemmia tardiva, l’uva si lascia quindi in appositi ambienti per completare la fase di appassimento fin quasi a fine anno. Dopo una soffice pressatura il mosto viene lasciato fermentare fino a spontanea conclusione e quindi svinato per essere posto metà in barrique (una sola!) e metà in acciaio a maturare per un anno. Una volta riassemblato viene imbottigliato in soli 300 esemplari, riposa altri sei mesi in cantina e poi reso disponibile per un mercato davvero di nicchia; una tiratura limitatissima che valorizza a dismisura il nostro campione e il gesto dell’azienda nel fornircelo. Nel calice appare rosso e vivido, rubino con riflessi carminio. I profumi evidenziano una netta traccia fruttata, con sentori di bacche di rovo, lamponi e fragoline di bosco; poi l’apertura aromatica fine e fresca conduce a note floreali di viola e rosa per un finale lieve e appassito. Entra in bocca morbido e caldo, con una ricchezza espressiva e un sostegno acido che apportano bevibilità e freschezza; fragranze di confettura di ribes e ciliegia, con ritorni speziati di pepe rosa e noce moscata e con morbidi e avvolgenti ricordi di tannino, tra cui si snodano venature dolci sapientemente dosate. Un vino “virtuale” (300 bt.) per pochi fortunati.

TENUTE OLIM BAUDA – Moscato Passito San Giovanni 2003

Non poteva mancare in questo viaggio sensoriale attraverso le tradizioni e la cultura dei passiti delle nostre regioni, uno dei più classici vitigni del Piemonte. I fratelli Bertolino, forti di una storia lunga quattro generazioni, ne propongono un’espressione fedele al terroir del Monferrato e allo stile qualitativo a esso riconducibile. Le vigne della cascina San Giovanni forniscono la materia prima, grappoli selezionatissimi di Moscato raccolti in pieno autunno già surmaturi, che vengono adagiati sui graticci di appassimento fino al momento ideale per avviare la vinificazione. Il mosto sviluppa il processo fermentativo in barriques, dove in seguito matura ancora per un anno e mezzo; un altro anno di affinamento in bottiglia conclude i tre di lavorazione prima della commercializzazione. Nel bicchiere brilla di un colore oro vivo, con riflessi ambra e mandarino; accostando il naso all’orlo, si percepisce un complesso aromatico tipico, con tracce floreali di acacia, sentori di uva passa, fichi secchi, vanillina, miele e salvia, e con una scia vagamente muschiata. Al palato è caldo e avvolgente, con una vena acida viva che ne sostiene il tenore zuccherino, comunque solido; fragranze di pesca e albicocca sciroppate si amalgamano a note speziate di tabacco biondo, cannella e zafferano prima del lungo respiro finale che lascia un ricordo di mandorle e arancia candita.

PUGLIA

CANDIDO – Paule Calle 2007

Il Salento è un terroir dal profilo vitivinicolo affascinante e potenzialmente esplosivo, “espressione di colori, profumi e atmosfere intense e irripetibili” recita il sito aziendale della famiglia Candido, che da tre generazioni trasmette tutto ciò nei suoi vini. Il Paule Calle ne rappresenta un’anima dolce, gustosa, frutto di tradizioni e passione applicati ad uve Chardonnay e Malvasia. In vendemmia si lasciano la metà dei grappoli di Chardonnay a surmaturare per un mese in vigna prima di raccoglierli e porli ad appassire in un fruttaio climatizzato assieme alla quota di Malvasia. La pressatura soffice e la lenta fermentazione danno luogo al vino che viene lasciato affinare più di un anno in barriques. Il colore è limpido, dorato con venature cadmio; l’espressione aromatica è aperta e incisiva, con sentori di frutta esotica, uva passa, miele di castagno e note tostate. In bocca è caldo e succoso, la dolcezza viene stemperata da un efficace sostegno minerale; il gusto ricorda la confettura di albicocca, fichi disidratati e nespole, con un finale lievemente ammandorlato ed un ritorno floreale che lascia in bocca un respiro di ginestra e macchia mediterranea.

CANDIDO – Aleatico 2002

L’Aleatico è un vino di origini antichissime che solo recentemente è stato riscoperto e riportato sui mercati più pregiati. In Puglia la tradizione che accompagna questa produzione è radicata e l’interpretazione che ne fa Candido è figlia di questa tradizione. Le uve Aleatico appassite, dopo la pigiadiraspatura, si lasciano macerare qualche giorno sotto rigido controllo termico per poi procedere con la fase fermentativa. Al momento desiderato, con l’azione di travasi ripetuti, vengono forzosamente eliminati i lieviti interrompendo così la fermentazione e ottenendo il giusto residuo zuccherino (140 g/l). Il vino matura in botti di legno prima dell’imbottigliamento e la commercializzazione. L’aspetto visivo è intrigante, rosso cremisi con riflessi vermigli e unghia tendente al ruggine; si offre al naso con aromi “moscati” e freschi di frutta rossa e sottobosco, con note balsamiche, vagamente vegetali, ed una traccia ossidata in chiusura. In bocca è amabile, con un timbro acido interessante, un cenno di tannini più che vellutati, un ritorno speziato di pepe rosa e chiodi di garofano per chiudere con una lunga scia iodata.

SICILIA

DONNAFUGATA – Ben Ryè 2008

Ben Ryè è un’icona, un vino storico e blasonato che rappresenta il Passito di Pantelleria per eccellenza. La raccolta dello zibibbo è già un evento sull’isola e parte in genere a metà agosto per protrarsi oltre un mese attraverso le 11 contrade di Pantelleria in cui viene coltivato ad alberello. Il controllo termico delle uve fresche è volto a proteggerne le qualità aromatiche, segue una pressatura soffice da cui nasce il mosto; in esso, durante il periodo di fermentazione, vengono immesse frazioni di uva passa sgrappolata a mano la quale, durante la macerazione, libera un ricchissimo e prezioso bouquet aromatico. Il vino riposa quattro mesi in acciaio ed affina altri sei mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Il 2008 ha una luce ambrata, brillante e intensa, che sa di aristocratico; i profumi sono ampi e complessi, con note floreali di fresia, fruttate di albicocca secca e tracce di ananas matura, poi sentori più dolci di caramella al mou, mandorla e cera, e un cenno balsamico. In bocca è un’esplosione di fragranze amalgamate in una densa e piacevole struttura vellutata; confettura di pesca, cedro candito e miele di zagara, deglutendo si mette in luce un fondo sapido che compensa i toni mielosi donando al vino un equilibrio e un’eleganza avvincenti. Un passito di sostanza che resta a lungo tra palato e retronasale.

PLANETA – Passito di Noto 2008

Da questa proprietà di Buonivini, Planeta ottiene due vini straordinari frutto dei vitigni che in questo areale trovano condizioni pedoclimatiche estremamente favorevoli: il Nero d’Avola Santa Cecilia e questo Passito di Noto. In esso si identifica chiaramente la filosofia aziendale, volta a realizzare vini moderni che riflettano lo straordinario carattere di un territorio unico. I grappoli di Moscato appena raccolti sono posti in un ambiente a temperatura e umidità rigidamente controllate per circa 40 giorni, dove avviene la fase di surmaturazione e appassimento. Segue la diraspatura ed una pressatura soffice, da cui il mosto che viene lasciato decantare e chiarificare; nel limpido vengono quindi inoculati i lieviti selezionati per l’avvio della fermentazione in acciaio. Vasche inox vengono utilizzate anche per la successiva fase di affinamento, che si protrae fino a marzo, quando il vino viene imbottigliato. Una sfortunata campionatura “offesa” dal tappo ha reso necessario un mini-tasting di recupero che mi ha regalato un passito raggiante e luminoso, giallo oro con riflessi paglierini. Approccio olfattivo intenso ed esotico, miele di acacia, tè nero e note agrumate, poi un’apertura floreale di camomilla e rosa appassita. In bocca risulta denso, caldo, ricco di frutta candita, datteri, nespole e scorza d’arancia; dalla deglutizione ritorna un aroma muschiato ed emerge la nota acida che aiuta a sostenere il pingue tenore zuccherino. Fragrante e giustamente tonico, discreta la persistenza.

TOSCANA

ANTINORI – Vin Santo Tenute Marchese Antinori 2005

Parlare della famiglia Antinori è un po’ come parlare dell’Italia, quasi si studia nei libri di scuola, praticamente otto secoli di storia di cui cito solo una testimonianza: l’iscrizione da parte di Giovanni di Piero Antinori all’Arte dei Vinattieri nel 1385. Detto ciò, basti pensare che il Vin Santo, che in Toscana ha origini antichissime ed è considerato una specialità regionale, viene prodotto da sempre dalla famiglia Antinori. Questo particolare Vin Santo Naturale è in produzione dal 1987 aderendo al rigido disciplinare; le uve Trebbiano (in maggior parte) e Malvasia, provenienti esclusivamente dalle tenute in Chianti Classico, sono state accuratamente selezionate e vendemmiate a più riprese secondo il grado di maturazione dei grappoli per avere materia prima più acida ed altra più zuccherina in un prefetto assemblaggio. La delicata fase di appassimento, che dura fino a fine anno, si svolge su stuoie dedicate nell’appassitoio allocato nella Tenuta di Tignanello, dove i grappoli vengono disposti con cura e continuamente controllati. Il mosto ottenuto da una delicata pigiatura viene immesso in tipici caratelli di legni diversi e diverse capacità (50-200 litri) per il lento e lungo periodo di fermentazione, ed vi permane altri tre anni prima di essere riassemblato e quindi imbottigliato. Di colore ambrato carico con tendenze ocra, sprigiona un complesso aromatico ampio dove si avvertono nitidi i profumi di nocciola, mandorla dolce, miele, burro di arachidi, e vaniglia. L’abbraccio che avvolge il palato al primo sorso è caldo, denso e dolce, con fragranze di pesca sciroppata, fichi secchi, uvetta, torroncino, orzo e mou; un ghiotto assaggio che lascia in bocca un tocco sapido e un ricordo di frutta candita per un tempo che sembra interminabile.

FELSINA – Vin Santo 2001

La storia della Fattoria Felsina non è di quelle secolari, ma è di quelle che comunque in quarant’anni di vita ha tracciato solchi inequivocabili nella storia di questa terra, scrivendo pagine di grande fascino e indimenticabili del suo patrimonio enoico; il Vin Santo ne è un esempio. Le uve di Malvasia e Trebbiano (80%), cui si unisce una quota di Sangiovese (20%), provenienti dai vigneti di Castelnuovo Berardenga, vengono selezionate con estrema cura e adagiate sui graticci ad appassire per 4/5 mesi. La vinificazione avviene nella maniera più classica e il vino riposa per sette lunghi anni nella vinsantaia, all’interno di caratelli che conservano un piccolo residuo addensato delle annate precedenti. Dopo l’imbottigliamento un altro anno di affinamento in cantina completa il ciclo produttivo. Ammicca biondo dal calice, con cromìe ambrate e bronzee dalle venature ramate; incanta il naso con aromi aristocratici che dopo quasi dieci anni sprigionano intatti profumi di frutta esotica stramaura e confettura di albicocca calda, poi creme brulé, vaniglia e cannella. Il gusto è solido ma morbido, consistente, dolce e rotondo; accarezza il palato con fragranze di pesca sciroppata e datteri, poi sentori di croccante e pinoli. La deglutizione lascia in bocca una piacevole ed elegante traccia speziata accompagnata da un profondo respiro mentolato.

CASTELLO DI VOLPAIA – Vin Santo 2003

Castello di Volpaia è un piccolo borgo medievale nel comune di Radda in Chianti che vive nel presente rivivendo la storia di quei luoghi, dove entusiasmo e competenza animano la famiglia di Giovannella Stianti e Carlo Mascheroni nella guida di un’azienda modello, con la superba collaborazione di Riccardo Cotarella. Il Vin Santo è un vino in cui ogni produttore toscano ritrova se stesso e il suo legame con la terra, attraverso le tradizioni che hanno consentito al vino stesso di mantenere intatto il suo valore e la sua anima da sempre. Le uve di Trebbiano e Malvasia, selezionate a ottobre, sono fatte appassire secondo tradizione sui penzoli della vinsantaia per circa quattro mesi fino al raggiungimento del grado zuccherino desiderato. Dopo la pressatura il mosto fermenta nei classici caratelli di rovere dove matura fino a cinque anni, dopodiché svinatura e illimpidimento concludono il lungo processo produttivo che conduce all’imbottigliamento e al nostri calice, dove appare decisamente ambrato, fitto, con riflessi scuri e nocciolati. L’approccio olfattivo ha richiesto qualche minuto e un’ossigenazione abbondante per sdoganare un’incipiente chiusura su lievi note di riduzione; poi Il profumo si è aperto penetrante e profondo, forse un filo pungente, ma con buona personalità. Sentori di frutta secca, caramello appena cotto, resina, cuoio, caffè e note di tostatura. Al palato ci arriva con incedere virtuoso, un passo alla volta, dipanando le componenti in una sequenza non particolarmente armonica, ma ricca di fragranze. Si avverte subito una cremosità dolce-amara che si smorza attraverso il residuo tannico, poi uva passa, succo di acero, nocciola, croccante, malto e orzo. Buona lunghezza, equilibrio instabile.

TENUTA DELLE RIPALTE – Aleatico dell’Elba Alea Ludendo 2007

Il nostro Paese è davvero un’infinita fonte di sorprese e di piccoli miracoli che si ripetono; in particolare l’enologia delle isole minori rappresenta una vera e propria icona di questo fenomeno. Insieme a Pantelleria e Lipari, l’isola d’Elba può vantare una tradizione “dolce” di grande fascino, qualità e ricchezza sensoriale con il suo Aleatico, uno degli incredibili e preziosi capolavori della viticoltura e della maestria cantiniera che rendono i passiti italiani unici e apprezzati in tutto il mondo. Fattoria delle Ripalte, che interpreta questa viticoltura da oltre un secolo, nell’ultimo decennio ha svolto un grande lavoro per portare il suo Aleatico a livelli qualitativi di eccellenza riuscendovi con grande successo. Dalle vigne del Poggio Turco, le uve vengono selezionate con cura e raccolte manualmente quando sono pienamente mature per poi essere poste sui graticci della terrazza che sovrasta la cantina ad appassire per una settimana per effetto diretto del sole e della brezza marina che spira sempre sull’isola. I grappoli che meglio completano la fase di appassimento vengono diraspati e pressati, lasciando poi il mosto a macerare sulle bucce per circa cinque giorni. Successivamente avviene il travaso, per gravità, in serbatoi di acciaio inox dove il vino completa il suo lento ciclo fermentativo che si arresta naturalmente dopo circa otto mesi per effetto del rapporto alcol/zuccheri. Dopo l’imbottigliamento affina almeno tre mesi in bottiglia prima di essere posto sul mercato. Si presenta con un bel mantello amaranto dai riflessi rubino e carminio, limpido e profumato, con aromi che richiamano il moscato e si aprono con piacevole fragranza. Note di sottobosco fresco, con bacche nere mature e succulente accarezzano il naso, che si bea di vellutati sentori floreali di rosa appassita e viola. In bocca il gusto fruttato prevale: gelso, ribes e confettura di more; il sorso bacia l’interno delle guance con una spalla acida rotonda che contiene la spinta zuccherina, accompagnata da un velo tannico morbido. La deglutizione restituisce un respiro che ricorda il cioccolato dolce e il caramello, e lascia una scia sapida elegante e stimolante.

TRENTINO

POJER E SANDRI – Merlino 07/93

Mario Pojer e Fiorentino Sandri dal 1975 accendono con pedissequa continuità e scientifica lungimiranza, in quel di Faedo, la scintilla del genio e della creatività applicata al vino, pur radicando il leitmotiv che unisce tutti i loro prodotti nella storia e nella tradizione del territorio trentino. Il Merlino è un esempio perfetto di apertura mentale, visione a trecentosessanta gradi e capacità imprenditoriale, un vino liquoroso di nuova concezione che, alcuni anni fa, si è inserito sul mercato come una specie di Porto italiano: un Lagrain fortificato. I grappoli, raccolti a piena maturazione, vengono posti prima in cella-frigo (1/2 giorni) per abbatterne la temperatura, quindi sgrappolati e trasferiti per caduta in un contenitore per la macerazione a freddo (5/6 giorni). Quando il mosto raggiunge i 4 – 5° di alcol svolto, la fermentazione viene mutizzata con l’aggiunta di brandy, ma non un distillato qualunque, bensì il Divino, il brandy Pojer e Sandri. Prodotto con due varietà di uva locali, la Schiava e il Lagarino, distillati separatamente con alambicco discontinuo a bagnomaria, il Divino è un liquore invecchiato ben 10 anni. Questa delicata fase, realizzata con l’attento controllo della temperatura del distillato (-10/-15°) integrato in fase di rimontaggio per evitare di “ustionare” il vino, blocca la trasformazione di zuccheri in alcol per effetto dell’etanolo contenuto nel brandy che inibisce i lieviti protagonisti di tale azione. Questa tecnica consente di conservare inalterata la carica aromatica ed il contenuto zuccherino che rimane infermentescibile, in un composto che si attesta intorno ai 20° di alcol. L’affinamento avviene negli stessi fusti di provenienza del brandy per 8/10 mesi. Il Merlino è rosso cupo, praticamente viola e impenetrabile; gli aromi sono intensi, prevalgono marasca e amarena, poi note speziate di caffè, cannella e vaniglia. In bocca è caldo e dolce, ancora bacche rosse, ribes e mora, poi di nuovo spezie, chiodi di garofano, cacao e un po’ di tannino. Se nell’Essenzia l’alcol (solo 9,5°) è un corredo che accompagna le fragranze, nel Merlino è un supporto che esalta i sapori senza coprirli; un nettare gustoso e lunghissimo, impagabile.

POJER E SANDRI – Essenzia 2007

La storia di questo vino, che festeggia il quarto di secolo (prima edizione 1985), attesta la ricerca di una qualità indiscutibile, palesata nelle annate in cui la mancanza di condizioni ideali ne ha compromesso la produzione finanche a rinunciarvi (1987 e 1983). Un nettare ideato pensando ai Trockenbeerenauslese che, dall’iniziale binomio Chardonnay/Kerner, si è evoluto fino all’ormai consolidato e raffinato blend di Chardonnay, Sauvignon, Riesling renano, Gewürztraminer e Kerner secondo percentuali variabili in base all’annata. E’ importante che la Botrytis Cinerea attacchi gli acini solo a piena maturazione e che la vendemmia sia molto tardiva, generalmente tra novembre e dicembre, per raggiungere temperature notturne sotto lo zero. Affina sette mesi in acciaio e un anno in bottiglia prima di offrirsi in una veste paglierina dalle luminosità dorate e con profumi di frutta tropicale e miele, fichi secchi e foglia di pomodoro, con nitide tracce iodate. In bocca è setoso e gioca su un equilibrio dolce-sapido perfetto, tra fragranze di pesca sciroppata e confettura di albicocca, pera e agrumi canditi. Il tenore alcolico è molto contenuto, il vino è fresco e si beve con grande agilità; chiusura ammandorlata e ritorno piacevolmente minerale per un riscontro di grande armonia ed eleganza.

UMBRIA

ANTINORI CASTELLO DELLA SALA – Muffato della Sala 2006

Questa etichetta rappresenta un vero termine di paragone per tutti i vini dolci che si avvalgono dell’azione positiva della muffa nobile, sia italiani, sia stranieri. I vigneti del Castello della Sala, nei mesi più critici che hanno preceduto la vendemmia 2006, hanno goduto di condizioni climatiche favorevoli per il corretto e progressivo attacco della Botrytis Cinerea. La raccolta, avviata a inizio ottobre con le uve più precoci (Traminer), si è così conclusa a novembre (Grechetto) con la perfetta sintonia dei requisiti parametrici di tutte le componenti. Si tratta di un blend di Sauvignon Blanc (60%) con un corredo di Grechetto, Traminer e Riesling, frutto di un lungo perfezionamento iniziato 23 anni fa. Giunti in cantina i grappoli sono scrupolosamente selezionati in base al grado di botrotizzazione e sottoposti, completi di raspi, ad una soffice pressatura. I mosti fermentano separatamente per 18 giorni a temperatura controllata, poi le diverse vinificazioni sostano in barriques per sei mesi prima di essere assemblate e imbottigliate. Di colore giallo oro con riflessi ambrati e cangianti, si offre al naso con un’armonia d’insieme eccelsa che si bilancia elegantemente tra sentori di pesca candita e ananas, tra sfumature dolci di dattero e miele e note più aspre di agrumi e pietra focaia. In bocca è finemente strutturato, caldo e vellutato, con un nerbo acido che “marca” il registro dolce senza concedergli eccessi; frutta tropicale sciroppata, un cenno di caramello e una scia minerale che accompagna la deglutizione, restituendo un respiro ancora agrumato, con tracce di mandorla e cocco.

CESARINI SARTORI – Semèle 2006

La tradizione (finanche medievale) che voleva il Sagrantino passito sulla tavola del pranzo pasquale ad accompagnare l’agnello, viene centrata nel Semèle di Luciano Cesarini (e Luca D’Attoma) con la ricerca del giusto bilanciamento tra dolcezza e tannicità. Il residuo zuccherino è volutamente basso, tale da evitare l’effetto marmellatoso in cui è facile lasciarsi indurre sia per scelte di mercato, sia per effetti fermentativi non debitamente controllati. Il processo di vinificazione delle uve, raccolte manualmente surmature verso fine ottobre, sfugge al rigoroso disciplinare della docg per una macerazione prefermentativa a freddo cui segue il vero e proprio processo di fermentazione a temperatura controllata. Il vino, che non viene filtrato, invecchia due anni in barriques e riposa altri 12 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Il colore è impenetrabile, rubino scuro e compatto; i profumi di frutta rossa e matura ricordano la ciliegia e l’amarena, con cenni di fiori secchi ed un’impronta speziata composita con pepe e vaniglia su tutto. In bocca si avverte il residuo zuccherino, ma il vino graffia; la prugna essiccata e i mirtilli si snodano su un intreccio di liquirizia, cacao, e caffè, in un finale lungo e piccante con un ritorno balsamico al rabarbaro. Il Semèle può sembrare un po’ scomposto, ma la ruvidezza del tannino va gestita nel tempo e si percepisce il grande potenziale aromatico che aspetta solo di aprirsi … negli anni.

COLLE CIOCCO – Sagrantino di Montefalco Passito 2006

Il Sagrantino è un’uva forte e generosa, austera e scorbutica, degustarne la versione passita è un’esperienza emozionante e suggestiva, sia per l’insospettabile dolcezza di un vitigno tannico e nervoso, sia per la sua storia che affonda proprio in questa sua particolare espressione. I fratelli Spacchetti fanno di questo vino un vero monumento; i grappoli vengono posti su appositi graticci in un locale ventilato a temperatura costante, dove si lasciano appassire per almeno tre mesi; successivamente avviene la vinificazione in acciaio cui segue un anno di affinamento in tonneaux di rovere da 5 hl. Dopo l’imbottigliamento il vino riposa ancora 12 mesi in cantina prima di giungere nei nostri calici, dove appare rosso rubino intensissimo, con un accenno granato sul bordo. I profumi sono incisivi, profondi, inizialmente cupi, ma poi si entra in un sottobosco ricco di bacche rosse e humus, con sottili riverberi di tabacco dolce e un cenno di eucalipto. In bocca entra deciso, denso e fragrante, con sentori di mora, visciola e ribes, poi la nocciola e il cacao; l’equilibrio fra zuccheri e tannini è quasi perfetto, il vino si aggrappa alle gengive, ma si resta imbarazzati dalla dicotomia fra il pugno ruvido del Sagrantino e il guanto di caramello che lo riveste.

SCACCIADIAVOLI – Sagrantino di Montefalco Passito 2005

Come l’azienda trae il suo nome dall’antico esorcista che viveva in un vicino borgo, questo passito ricava la sua anima da quella dell’azienda stessa e dall’atmosfera magica che la famiglia Pambuffetti ha saputo preservare attorno ad un luogo in cui si respirano storia e tradizioni legate ad una viticoltura del passato, che si traspone in un passito. Le uve vengono poste sui graticci per alcuni mesi e fatte appassire fino al raggiungimento dei parametri ideali; la fermentazione viene svolta in acciaio inox, poi il vino matura oltre un anno in barriques e altri 12 mesi in bottiglia. Nel calice è rubino intenso, fitto, con unghia leggermente granata; al naso offre aromi carnosi di prugna e più asciutti di rovo, un alito floreale e note di cioccolato e china che tengono viva la chiusura aromatica. Al palato è corposo, con fragranze di ciliegia in confettura, gelso, vanillina e tabacco da pipa; i tannini sono vivi e dolciastri, e la deglutizione restituisce un lungo respiro balsamico. Un Sagrantino che si avvale di uno stato evolutivo più avanzato rispetto ai 2006, deciso e maschio comunque, nonostante l’impronta dolce.

VENETO

SARTORI VERONA – Recioto della Valpolicella Rerum 2008

L’areale è quello della Valpolicella, in particolare delle colline a nord di Verona dove, dalle stesse uve, seppure con percentuali abbastanza ampie da personalizzarne a piacere il blend, deriva anche il prezioso Amarone. Nelle cantine immerse nel parco dell’antica Villa Maria, la famiglia Sartori produce ormai da quattro generazioni espressioni eccellenti del terroir della Valpolicella come questo Rerum, le cui uve, attentamente selezionate, vengono lasciate appassire per 4-5 mesi in ambienti in cui ogni parametro termo-igrometrico è scrupolosamente controllato. Quando le uve sono pronte per la pigiatura si avvia il processo di vinificazione, che prevede una lentissima fermentazione in acciaio protratta fino a primavera. Seguono sei mesi di maturazione in rovere grande e, dopo l’imbottigliamento, ulteriori due mesi di affinamento in cantina. Di colore rosso violaceo intenso con riflessi granati, penetra il naso con invitanti profumi di frutta rossa matura, con velature floreali di viola e rosa avvizzite e un fondo di caffè in polvere e liquirizia. Al palato è dolce e fruttato, more e ribes, poi amarene sotto spirito che si legano a ciliegie in confettura in una fragranza vellutata di sottobosco, dove i tannini fanno da collante al gusto abboccato. La deglutizione regala un ritorno aromatico con sentori di chiodi di garofano, poi un residuo ancora di caffè e liquirizia dolce per un finale di discreta persistenza.

SARTORI – Recioto di Soave Vernus 2008

Ancora la famiglia Sartori ed ancora un’espressione dolce dell’areale Veronese, con un Recioto di Soave da uve Garganega con un 10% di Trebbiano di Soave. Il periodo di appassimento di queste uve è di diversi mesi e termina non prima del gennaio successivo alla vendemmia; gli acini subiscono quindi una pressatura soffice e il mosto ottenuto viene posto in vasche di acciaio per avviare la fase fermentativa, con una breve sosta sulle bucce, ultimata poi in barriques. La maturazione prosegue in legno per circa un anno, durante il quale vengono sistematicamente operati batonnage che agevolano l’autolisi dei lieviti in favore di una struttura maggiore e di un migliore sviluppo aromatico. A fronte di una cromìa dorata e luminosa, il Vernus offre aromi piuttosto contrastanti: un accenno vinoso con note casearie si intreccia a sentori di pesca matura, miele di acacia e vaniglia raccolti in un abbraccio citrico. In bocca è piuttosto sottile, caldo e gradevolmente dolce; albicocca sciroppata, scorza di cedro candita e dattero, poi una chiusura ammandorlata e vagamente tannica. Il sostegno acido è la virtù primaria in un corredo aromatico dal registro piuttosto stretto; un vino dolce ma non troppo, che strizza l’occhio ad abbinamenti meno pasticceri rispetto ai passiti più corposi.

Riccardo Brandi

Riccardo Brandi (brandi@acquabuona.it), romano, laureato in Scienze della Comunicazione, affronta con rigore un lavoro votato ai calcoli ed alla tecnologia avanzata nel mondo della comunicazione. Valvola di sfogo a tanta austerità sono le emozioni che trae dalla passione per il vino di qualità e da ogni aspetto del mondo enogastronomico. Ha frequentato corsi di degustazione (AIS), di abbinamento (vino/cibo), di approfondimento (sigari e distillati) e gastronomia (Gambero Rosso). Enoturista e gourmet a tutto campo, oggi ha un credo profondo: degustare, scrivere e condividere esperienze sensoriali.

18 COMMENTS

  1. caro Riccardo,
    mi spiace non vedere alcun vino santo trentino… per me il massimo! Ben lontano dalla ossidazione, ha freschezza e sentori di botrite unici. Provalo! Ti consiglio quello di Pedrotti.
    ciao
    Enzo

  2. Mi sarebbe piaciuto leggere le sensazioni prodotte da Giardini Arimei , vino passito secco di ISchia, dall’omonima Tenuta dei Fratelli Muratori. Da non perdere, in un confronto sì interessante .Provare per credere . Josè

  3. Bella lista prò se posso fare un appunto
    mancano tra gli altri due mostri sacri del settore
    acini nobili Maculan
    vin santo di Avignonesi
    come mai non rientrano nella lista?

    saluti Max

  4. Una bella carrellata, senza dubbio. Ormai non c’è casa vinicola che non sforni un vino dolce, magari passito. Una proliferazione che immagino dettata anche dal mercato, il dolce è una sensazione che mette tutti d’accordo, è difficile vedere facce strane dopo un sorso di zuccheri. Di contro mi rendo conto di aver probabilmente cambiato gusti, e se una volta mi dava piacere avere sempre un passito in cantina per la migliore occasione, proprio qualche giorno fa mi sono accorto che le bottiglie di dolce si stanno affastellando sui miei scaffali. Magari è perché son toscano, e così a fine pasto, anche sul dolce (magari un biscotto secco o un bel buccellato) ci finisco comunque il rosso rimasto nel bicchiere…

  5. Lascio un messaggio per luca dicendogli: a differenza di tanti produttori friulani il nostro Picolit è un picolit della vecchia tradizione, non dolcione, non appassito. E’ fresco inebriante completo sensuale e la descrizione di Riccardo Brandi veste a pennello. Un saluto e buone bevute. p.s. se le serve qualcuno ad aiutarla a svuotare la cantina, ci chiami non sarà un problema.

  6. Eh sì, il problema del vino dolce è proprio che arriva solitamente al momento del,,,, dolce. Prima di lui le più o meno abbondanti libagioni in bianco e in rosso potrebbero far declinare la richiesta.
    Più seriamente, parlandone con alcuni produttori e con alcuni ristoratori, pare che il vino da dessert non stia attraversando un buon momento di mercato, quantomeno in italy. Parrà una ovvietà ma nei ristoranti sembra che il bicchierino della staffa sia ormai cosa desueta. Per i distillati momento out, neanche se te lo offrono; per i vini dolci, che poi in genere (ma non sempre) significano 15-16 gradi dans la bouche, meglio evitare. Lo spauracchio etilometro impera. Non sembrerebbe ma è così. Si tende a sacrificare il vino dolce ( magari si chiude impropriamente con il rosso rimasto anche con il dolce, come dice Luca) piuttosto che la boccia di bianco o di rosso ad accompagnare il pasto.

    Detto questo, ottimo lavoro Riccardo, approfondito e stimolante. Conta niente che tu incensi un Muffato della Sala. Ma i gusti son gusti. Però ottimo lavoro.

    fernando

  7. Eccellente racconto, Riccardo. Trasuda passione e competenza e poi…..ci accomuna molto la top ten!!!

  8. @ Riccardo
    Bravo Riccardo, ma quanto tempo ci hai lavorato per fare e recensire tutte queste degustazioni ?

    @ Enzo
    Ti riferisci a Gino Pedrotti immagino ? Il miglior Vin Santo Trentino sui 7 produttori esistenti
    Auguri a Tutti

  9. @ Max, Enzo e Josè, anzitutto voglio ringraziarvi per i preziosi suggerimenti, ma per alcuni, tipo il Vin Santo trentino, il tentativo l’ho fatto, ma non sono riuscito ad averlo. Più in generale ci terrei a spiegare che la lista dei vini si è costruita un po’ da sola, sono partito da alcuni contatti per poi allargarmi a qualche etichetta che avrei desiderato inserire (Vin Santo trentino, Sciacchetrà, Muffato, Recioti, ecc), alcuni produttori hanno aderito, altri no. Certo non avevo la pretesa di scrivere una guida completa, ma neanche avrei sperato di arrivare a 51 etichette per 16 regioni, che comunque rappresenta, a mio giudizio, uno spaccato piuttosto ampio, variegato e rappresentativo del nostro Paese.

    @ Luca, questo articolo nasce da una mia particolare predilezione per i vini da meditazione che è vero, come dice anche Fernando, oggi sono un po’ in declino causa il rischio di mandare in tilt il “malaugurato” etilometro, ma accompagnano al meglio un’altra mia grande passione: dolci e cioccolata. Inoltre c’è da considerare che il mercato del vino si sta aprendo sensibilmente al femminile, un ambito in cui i rossi sono il nemico, i bianchi profumati e fruttati l’amico ed il passito l’amante … mmm … mi sa che questa affermazione scatenerà le critiche delle fans dei rossi, che certo non mancano. Comunque è vero e fai bene ad osservare che, in questa fase evolutiva del mercato del vino, i vini a gradazione più alta subiscono un certo stallo.

    @ Antonella, al di là del mio grazie per la tua preziosa e reiterata disponibilità, sfrutto il tuo intervento per accennare anche ad un altro tema che mi ha spinto a questa ricerca, dettata proprio dai commenti che ho sentito da molti produttori, davvero legati visceralmente al loro vino dolce che, nella maggior parte dei casi è un vero e proprio tesoro di famiglia. Poi ci sta anche che molte aziende lo inseriscano nella propria produzione al fine di coprire una fascia di mercato comunque importante, magari forzando le tecniche di appassimento, e non sempre il risultato è eccellente.

    @ Fernando, grazie per l’apprezzamento sul lavoro che, detto da te, per me, vale doppio. Non credo però di avere incensato nessuno in particolare, anche se alla fine una sorta di Top Ten si è delineata. Rassicuro te e tutti i lettori che i panel di degustazione, fatte salve rare eccezioni (pure dichiarate nel pezzo), sono stati sempre costituiti da almeno 6 persone competenti, ed i giudizi espressi sono il frutto di un ragguaglio complessivo. Farei davvero fatica a dichiarare un mio personale “favorite” tra quelli provati, come scegliere tra Essenzia, Vola Vola, Uve Decembrine o il Caratello di Bisson? Forse non sarebbe stato il Muffato, ma non posso negare che mi sia piaciuto molto anche lui e che nel gruppo di lavoro sia emerso tra i migliori.

    @ Roberto e Salvatore, grazie davvero, è stato un lavoro difficile e complicato, non ero neanche preparato per una cosa del genere, ma l’entusiasmo dei produttori mi ha contagiato e mi ha spinto a trovare soluzioni organizzative e logistiche adeguate. Ci ho messo più due mesi per fare tutto caro Roberto, ma alla fine è stata una vera soddisfazione.

  10. Un “complimenti per l’articolo” è quanto meno doveroso: articolo lungo ed esaustivo, bravo.
    Però, fino a poco fa, mi sarei unito anch’io a chi lamentava la completa assenza di alcune perle enioche: il Vino Santo dei Laghi, il Recioto di Gambellara, l’Erbaluce di Caluso, il Torcolato… ma adesso prendo atto della sua ultima risposta.
    Sia bene inteso che la mia non veniva espressa come critica denigratoria bensì costruttiva (magari come spunto per un prossimo post!).
    Cordialità

  11. Forza Rik, ormai la strada di “50 volte dolce 2” oppure “Così fan 100 volte dolce” è tracciata!
    Se non fosse per la distanza ti darei moooolto volentieri una mano, anzi un palato.

    Continua così,
    Leonardo

  12. bella discussione! A parte l’etilometro che come sapete è ormai un mio amico “speciale” e truffaldino. Il Vino Santo trentino (proprio quello di cui parla Roberto) è reperibile solo in loco (non per niente ogni volta che vado a sciare vicino a Madonna di Campiglio mi fermo a fare una sosta proprio dalla simpaticissima famiglia Pedrotti, dove si può mangiare qualcosa e soprattutto una trota eccezionale e formaggi squisiti, oltre che recupare due bottiglie di Vino Santo per le serate “nevose”).
    Come dice Fernando, tuttavia, passito NON vuole dire alta gradazione alcolica. Anzi, proprio per il residuo zuccherino, spesso e volentieri i gradi non arrivano ai livelli di una grande rosso piemontese… Mi ricordo un Kracher di soli 9 gradi che si tagliava col… coltello… ma che meraviglia!

  13. Come produttore recensito (ma non per il risultato ottenuto, per il quale siamo molto molto felici!!!!!!!) dobbiamo fare i complimenti per questo articolo non solo per la mole di lavoro che è stata fatta e la completezza degli argomenti trattati, ma per la PASSIONE che traspare dalle descrizioni di ogni vino assaggiato.
    Un produttore spera sempre che chi assaggia un suo vino trovi e percepisca tutto l’amore, l’impegno e la passione che sono stati messi per ottenere quel vino….e quando questo capita, come nel Vostro articolo, la soddisfazione è immensa.

    A chi trova difficile oggi bere un bicchiere di vino dolce, voglia per la gradazione voglia per gusti “passiti” impegnativi…tirando l’acqua al nostro mulino..suggerisco di assaggiare un Ramandolo che per la sua bevibilità è famoso (12-13 gradi alcolici) …magari invece che col dessert con un buon pezzo di formaggio, matrimonio ideale.
    E’ vero molte aziende hanno inserito un vino dolce nella propria gamma di prodotti e spesso con risultati eccelsi ma anche”passitoni”…ma ci sono molte aziende come la nostra che fanno del vino dolce il proprio cavallo di battaglia e da sempre la produzione aziendale è per la maggior parte vino dolce….e allora contro la crisi cominciamo brindando con le bollicine, molto di moda oggi, ma chiudiamo con un buon bicchiere di vino dolce!!!!BUON NATALE a tutti

  14. Innanzi tutto vorrei fare i complimenti all’amico Riccardo per il lavoro svolto. Quando mi ha raccontato di volersi dedicare un pò ai vini dolci, chiedendomi anche qualche “dritta” sul mio caro Abruzzo, non pensavo che stesse preparando un’opera “monumentale”… Al di là dei gusti, comunque, la crisi commerciale dei vini da dessert mi sembra evidente. Ho quasi l’impressione che questi gtandissimi vini, spesso vere e proprie “chicche”, si riducano ad essere bevuti solo durante gli aventi di premiazione delle guide o in occasione di qualche raro banco d’assaggio dedicato. Magari è solo una mia impressione, ma andando in giro di gente che ordina vini dolci ne ho incontrato ben poca…Ed è un peccato, perché come dice Riccardo, spesso i produttori trattano questi prodotti come “tesori di famiglia”, riservati come dono agli amici fidati.

  15. Complimenti davvero, faticoso leggere tutto d’un fiato, ma molto illuminante.
    E’ vero che manca qualche etichetta a me cara, ma c’è molto e di più, inclusa qualche chicca che non conoscevo, il tutto raccontato con estrema cura e passione.
    Se posso muovere una critica, visto che in futuro da 50 chissà dove arriverete, potreste dividere il lavoro chessò, in categorie, in fasce territoriali o regionali, insomma, fare un pò un racconto a puntate per rendere a noi lettori il compito più agevole.

    Grandi comunque. Romolo

  16. Bellissimo! Davvero un bel leggere, complimenti. Peccato per la poca lombardia e pure di confine, ma non mi permetto certo di criticare un lavoro così grosso… Personalmente avrei elevato nella Top Ten il Joseph di Hofstatter, ma anche su questo, rispetto l’opinione altrui.
    Se posso consigliare un’etichetta, il Sole d’Autunno di Maso Martis.
    Alla prossima
    Renato

  17. Cercavo un buon passito da bere con i dolci del veglione e sono capitata qui. Mi avete messo in un bell’imbarazzo, adesso non so proprio cosa scegliere 🙂
    Ci sarebbe stata bene anche l’indicazione sui prezzi, ma in rete si trova sempre tutto.
    Comunque bravissimi! Ho impiegato quasi un’ora x leggere tutto quanto e alla fine ero affascinata da un mondo fatto di dolcezze, uve delicatissime e sapori succulenti.
    Alla fine credo che mi affiderò all’istinto e alla simpatia del nome, così mi metto alla caccia del Vola Vola … 😀

    Buon anno a tutti
    Roberta

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