Puglia Bianco IGT Jalal 2009 – Cefalicchio

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Sottozona/cru: Canosa di Puglia – Alta Murgia (Barletta – Andria – Trani)

Uvaggio: moscato bianco

Data assaggio: dicembre 2010

Il commento:

Se da un vino bianco ti aspetti i profumi, qui li avrai. Belli, netti, scanditi, intensi, sinuosi, di quelli che dici, senza temere ovvietà: “che bel naso profumato!”. D’altronde fanno leva sulla proverbiale aromaticità dell’uva moscato, che quanto a fascino non scherza, per restituirti un naso leggiadro, femmineo, linfatico (quando la vegetalità si tramuta lesta in una balsamicità rinfrescante), puntualmente floreale, dai risvolti di salvia e agrume, nei cui pertugi l’istinto ti suggerisce di inoltrarti senza opporre resistenza: ti devi fidare. Tutto questo però senza tirare in ballo “peso e dimensione”, senza per forza di cose voler dimostrare tracotanza o presenza scenica, bensì puntando dritti su levità e ricamo sottile.

La bocca è tutta silhouette, slancio e dinamismo. Morigeratamente alcolica (12,5% recita l’etichetta), sentitamente equilibrata, più sapida che fruttata, mantiene coerenza con l’orizzonte aromatico ma è notevole la sensazione salmastra, stimolante la sua mineralità. Sapete quei dettagli preziosi che portano dritti alla terra, e alle radici che la scavano?

Leggero, spigliato, naturalmente espressivo, a 9 euro o giù di lì Jalal è uno stimolo continuo alla beva e al ripensamento. Sì, al ripensamento, a proposito della presunta pesantezza dei vini pugliesi.

La chiosa:

Sarà che i luoghi comuni sui vini del nostro Sud, e pugliesi in particolare, vengono qui bellamente rimescolati, ché di prim’acchito penseresti a un vino “nordico”, guarda un po’,  tanta la sottigliezza e l’equilibrio. Sarà  – molto più probabile – l’inadeguatezza delle nostre conoscenze riguardo ai fantastici terroir di Puglia (e l’ignoranza, si sa, trova conforto e nutrimento nei luoghi comuni), fatto sta che la brillantezza nell’eloquio, il garbo, la profilatura, la contagiosa bevibilità di questo bicchiere fanno di Jalal un gioiellino di stile ed originalità, che si allaccia mirabilmente ad una vocazione antica, perpetuata fino ai giorni nostri grazie ai dolcissimi Moscato di Trani, ad una ispirazione tutta contemporanea fondata sulle corde evocatrici di un vino aromatico, bianco e secco.

Jalal si muove leggero fra le pieghe del piacere, sorseggiarlo è una delizia, la beva si fa  ipnotica e coinvolgente, proprio come le danze vorticose dei dervisci, la confraternita sufi fondata dal grande poeta mistico persiano Jalal al-Din Rumi nel 1300, poeta a cui Nicola e Fabrizio Rossi -ossia le anime di Cefalicchio– non fanno mistero di essersi ispirati nel dare un nome a questo vino.

Non so dirvi se lo stato meditativo generato dal mio bicchiere di oggi abbia pretese nirvaniche o meno. Anzi, sicuramente vola più basso. Ma ho sperimentato in un vino della Murgia l’innata capacità di non farti pensare troppo. E negli ultimi giorni di un anno che cambia non sapete quanto mi faccia bene ritrovare vuoti di pensiero, angoli poco affollati di memoria da poter finalmente riempire con cose realmente diverse e realmente inattese. Come una passione nuova. O un luogo comune che muore. O un vino che danza.

FERNANDO PARDINI

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