Storie di Borgogna: Charlopin-Parizot

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di Claudio Corrieri*

Lungo la strada che da Gevrey Chambertin porta a Dijon, all’altezza del celebre caseificio Gaugry, si  intravede un edificio moderno, grigio, di quelli che ti immagini adibiti alla produzione di oggetti inanimati e simil-industriali; invece è la cantina del Domaine Charlopin-Parizot, il luogo dove Philippe Charlopin elabora  il frutto dei suoi prestigiosi vigneti nonché meta del nostro viaggio di oggi.

Come si affretta a dire durante la nostra visita, Philippe aveva bisogno di spazio, di ambienti ampi e ben organizzati, dove l’arrivo delle uve e la loro completa vinificazione non incontrassero delle problematiche durante le varie fasi di elaborazione. In effetti, una volta entrati, ci riappropriamo alla vista di forme familiari per i viaggiatori enoici: vasche inox, presse pneumatiche, pompe peristaltiche, barrique di prestigiose tonnellerie, tutti ingredienti per un menu moderno, tecnico ma gustoso e saporito. La cantina è divisa in aree di competenza: arrivo delle uve, con cernita e passaggio nella pressa, nella prima sala; prima vinificazione con vasche inox a cappello sommerso nella seconda sala; fermentazione in legno e conseguente affinamento in barrique nella terza sala, climatizzata. Insomma, un classico dell’architettura  vitivinicola contemporanea.  La cantina non offre appigli al romanticismo, come accade ad alcuni storici Domaine borgognoni (vedi la cantina duecentesca dei Dugat Py, affascinante emergenza  architettonica di Gevrey Chambertin), ma in compenso offre a Philippe la possibilità di lavorare con raziocinio. E questo, stando a come la pensa lui, è più che sufficiente.

In effetti,  Philippe è l’icona del senso pratico della vita: partito con l’eredità del padre nel 1976 – appena 1,8 ettari di terreno vitato-,  grazie a un lavoro meticoloso e passionale è arrivato a possedere circa 15 ettari vitati e a mettere nel contempo in piedi un progetto, seguito in cantina dal figlio Yann, enologo lui stesso, per la produzione di vini bianchi da terreni di Chablis, Pernand Vergelesses e Aloxe- Corton, ciò che ha portato recentemente ai primi frutti. A tal proposito, l’assaggio da barrique del suo Corton Charlemagne 2009 non ci è dispiaciuto affatto: intenso e grasso, sia pur ancora aromaticamente in subordine alle note mentolate e “caramellose” del legno, rivela prospettive interessanti grazie alla precisa identità stilistica e alla maturità del frutto, corroborata da elegantissime note floreali e speziate.

Nei primi anni di conduzione dell’azienda, Philippe cercava di ottenere vini maturi, pieni, consistenti, ben estratti, assecondandoli con vendemmie tardive e pre-fermentazioni macerative, legni ben tostati (tonnellerie Chassin di Rully), continui rimontaggi e lunghi affinamenti. Ma i tempi cambiano, le teste cambiano. Philippe intuisce la nuova direzione stilistica della Borgogna e dall’inizio del nuovo secolo abbassa i toni: potature a verde con rese basse (35-40 ql per ettaro); raccolta non tardiva ma in linea con l’andamento fenolico della pianta; doppia selezione delle uve sul banco di cernita; vinificazione (quando possibile) con percentuali di uve con i raspi; prima fermentazione in infusione, ovvero senza rimontaggi ma con cappello sommerso continuo per 4-5 giorni; uso di legni molto meno tostati (botti nuove solo nei G.C. e nei vini da vigna vecchia), élevage in riduzione senza travasi né batonnage.

Ed ecco che nei vini comincia ad emergere una eleganza tutta borgognona e al tempo stesso una tessitura  fitta, fine e vellutata, per bicchieri piacevolissimi da bere e solo apparentemente semplici. Non inganni infatti la semplicità di beva, è solo il segno distintivo di una selezione accurata e di una vinificazione pulita e trasparente. D’altronde poi, la riproduzione fedele delle caratteristiche dell’annata, con l’effettivo valore della vigna (specialmente nelle aree più quotate), ci pongono davanti a un vignaiolo serio e scrupoloso.

E basta scegliere fra i suoi Fixin o Marsannay per capire che il vino non è solo blasone o etichetta ma il risultato di un progetto e di un lavoro consapevoli che non risparmia i cosiddetti vini ”minori”, da quando ne cogli l’inaspettata caratterizzazione. I prezzi, nonostante tutto, rimangano in ambito umano, se riferiti ovviamente a quella vera e propria élite produttiva che è la Borgogna.

Charlopin-Parizot ci ha guidato in una doppia degustazione fra le annate 2008 (in bottiglia) e 2009 (ancora in barrique ma ormai prossima all’imbottigliamento). Le caratteristiche delle due annate sono diametralmente opposte: 2008 ricca in acidità, fresca e piacevole, casomai carente in struttura , colore e maturità di frutto; 2009 che invece mostra muscoli, ampiezza, colore e una maturità profonda e zuccherina, senza peraltro poter contare su una acidità ficcante. Considerazioni generali queste, si badi bene, ovviamente contestabili se inquadrate nel particolare, quando,  andando a selezionare ogni singolo cru, possono intervenire fattori micro-ambientali e stili di vinificazione diversi ad innescare differenze sensibili fra vino e vino, seppur provenienti dal solito terroir! Ma questa è la Borgogna, bellezza!

Bourgogne Rouge 2008: forse un po’ rigido e legnoso, comunque godibile nella veste sua più consona di vino quotidiano, da tutto pasto.

Marsannay Rouge 2008: inizialmente ridotto, si apre sulle classiche note terrose e speziate, emergono la tostatura e un finale intrigante, di stampo salino e minerale. Per gli amanti della mascolinità, un Village molto buono.

Gevrey Chambertin V.V. 2008 : naso sfumato e dettagliato fra rosa, viola e spezie. Vigoroso e profondo al palato, con finale rustico ma piacevolissimo. Da vigne di oltre 40 anni.

Clos Vougeot Grand Cru 2008: il territorio dice la sua sia nei profumi, fini e precisi, che nella struttura, dinamica eppur poderosa. Acidità ficcante e leggera sensazione carbonica, che ce lo prospettano in una forma migliore se lo attenderemo qualche anno. Proviene dalla zona sud del Clos, nella parte più argillosa e definita inferiore dai conoscitori più eruditi. Sarà, ma intanto a me datene una damigiana!

Franc de Pied 2008: da vigne prefilossera, isolate dagli altri vigneti -possibili contaminatori- grazie a un terreno oltremodo sabbioso, reimpiantate da Philippe per ottenerne un vino divertente e piacevole, con note spumeggianti al naso che ci ricordano i piccoli frutti rossi, la pietra spaccata, lo iodio e la pierre à fusil. Ampio comunque, e tannico nel finale.

Dopodiché ci siamo divertiti in cantina, con pipetta e passione:

Marsannay Blanc 2009: sulla frutta tropicale e sulla mela matura, scorrevole con poca tensione e poco contrasto, ma di una sua “tecnica piacevolezza”.

Marsannay Rouge 2009: immediato, piacevole e rustico al tempo stesso, come se unissimo il fiore, lo zucchero e il sale nero in uno shaker e miscelassimo il tutto con acqua di roccia. Complicato?

Gevrey-Chambertin V.V. 2009: la barrique è di secondo passaggio,non lascia troppe tracce di sé alla beva ma amplifica le note speziate e i tannini rotondi del finale. Naso piacevolissimo e floreale. Si integrerà bene nella cuvée finale con i vini delle altre pièce.

Clos  Vougeot G.C. 2009 : da legno nuovo. Il marchio della tostatura è in questa fase prevaricante. Alla beva comunque si distingue per la solita impressionante acidità e per un finale lunghissimo. Da riassaggiare nell’assemblaggio finale ma……

Charmes-Chambertin G.C. 2009 : da due preselle, una situata nel cru Charmes Chambertin (finezza & finezza), l’altra nel Mazoyeres-Chambertin (volume , potenza, profondità). Tabacco, chiodi di garofano e pepe verde; notevole espansione al palato. Pugno di ferro e guanto di velluto. Bello.

Chambertin G.C. 2009: da una piccola presella di un grande terroir. Bella dolcezza aromatica, molti fiori. Profumi intensi che marcano la memoria olfattiva, ma senza strappi. Ampio e vigoroso al gusto, morbido e caratteriale,  lunghissimo nel finale.

Ci siamo salutati davanti a una bottiglia di Clos Vougeot Grand Cru 2004, forse la peggiore annata del decennio in Borgogna, per cercare di capire un po’ di più circa l’evoluzione e la terziarizzazione dei vini della casa. Beh, sicuramente manca dell’allungo decisivo, ma resta pur sempre un interessante banco di prova per la memoria di questo Grand Cru: piacevole, fresco, con un volume di bocca medio e una terziarizzazione semplice, magari poco dettagliata, ma assolutamente “gourmande”. Come ci dice Philippe: “i miracoli si fanno a Lourdes, in vigna si può soltanto di interpretare l’annata mettendoci tutta l’esperienza che hai”. Una “cosa”, quest’ultima, che qui non manca affatto!

* Claudio Corrieri, oltre ad essere grande appassionato di vino, gestisce anche il ristorante In Vernice a Livorno che, manco a dirlo, ha una straordinaria cantina…

L'AcquaBuona

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