Le tre domande (e le tre risposte) di Angelo Gaja per Vinitaly

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Angelo Gaja

1- Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?

RISPOSTA – E’ compito dei produttori di applicarsi per conoscere le dinamiche dei mercati e scegliere se, come e quando affrontarli. Mercato interno e mercato estero sono complementari. Ancorché diversi per dimensione sono i leader dei diversi settori, Santa Margherita, Campari, Armani, Barilla, Ferrero … ad insegnare che il mercato interno va curato con attenzione.

2- Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?

RISPOSTA – Un problema di comunicazione? A loro modo i produttori comunicano tutti, in Italia sono 35.000. I giornalisti che occasionalmenteitualmente scrivono del vino italiano sono più di 1.500. Sono più di 500 le cantine che organizzano premi giornalistici. Oltre 50 le guide che giudicano i vini. Vino nei convegni, turismo del vino, vino in piazza, vino alla radio ed in televisione, di vino si disserta sui blog … Il mondo del vino sprizza vivacità, fa gola ai politici che sono interessati al territorio ed al turismo, alle associazioni che offrono servizi, alla finanza che vorrebbe trovare il modo di entrarci. Ci siamo ormai abituati a questo frastuono, non sappiamo farne a meno. Siamo in molti a ritenere che parte delle sovvenzioni pubbliche destinate alla promozione vengano sprecate. C’è chi propone di farle convergere in una cabina di regia alla quale affidare il compito della promozione. Come evitare che diventi l’ennesimo carrozzone al servizio di politici e qualche privilegiato? Chi la guiderebbe? Da dove gli deriverebbe l’autorevolezza? Sarebbe capace di lavorare nell’interesse di tutte le categorie? Io avrei una mia ricetta: per abbassare i decibel servirebbe tagliare il 50% delle sovvenzioni destinate alla promozione del vino italiano e orientarle alla formazione di soggetti destinati a svolgere attività di rappresentanza di vini italiani sui mercati esteri; e dare maggiore impulso all’apertura di scuole di formazione di chef di cucina italiana nei paesi BRIC.

3 – Perché al contrario il trend dell’export è in crescita?

RISPOSTA – Il trend dell’export è in crescita perché le cantine italiane abituali esportatrici hanno contribuito a
costruire nel tempo una domanda che non va soltanto a loro esclusivo beneficio ma rimbalza
successivamente in Italia ad opera di importatori che vengono alla ricerca di altri produttori italiani in grado di
fornire loro vini delle stesse tipologie ma meno cari, oppure di migliore qualità, oppure più esclusivi, meno
distribuiti. Vinitaly è il palcoscenico del vino italiano al servizio degli importatori provenienti dal mondo. Da anni
l’Italia è il primo paese esportatore di vino in volume e lo è stato ancor più nel 2010; la Francia lo è in valore.
La Francia, che in volume nel 2010 ha esportato il 50% in meno dell’Italia, se non vuole espiantare vigneti
dovrà esportare di più. L’Italia, che vende sui mercati esteri con un prezzo medio per litro di 2,5 volte inferiore
a quello della Francia, deve cercare di vendere meglio e per farlo occorrerà migliorare sia la qualità che il
marketing. Però il successo dell’Italia è innegabile. A chi va il merito? Alle varietà autoctone? Al territorio?
Questi sono fattori della produzione. Il merito va ai 35.000 produttori di vino italiano di cui oltre 25.000 artigiani
dalle dimensioni medio- piccole molti dei quali si applicano con sacrificio, passione, entusiasmo,
intraprendenza. Succede abbastanza spesso che i vini degli artigiani vengano accreditati per la loro qualità
contribuendo così a consolidare l’immagine del vino italiano. Gli artigiani sono complementari alle cantine di
grandi volumi alle quali vendono all’ingrosso la totalità o parte del vino che producono. E’ un sistema
ottimamente integrato che ha funzionato egregiamente. La frammentazione della produzione vinicola è
caratteristica dei paesi europei, il nuovo mondo ha altre peculiarità.

La manfrina dell’Italia del vino inadeguata a competere sui mercati esteri a causa della frammentazione della
produzione e della zavorra dei troppi piccoli produttori che non saprebbero stare sul mercato perché fragili e
destinati al collasso è sonoramente smentita dal successo dell’export del vino italiano.

L'AcquaBuona

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