Walter Massa e il suo Costa del Vento, una verticale

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di Claudio Corrieri

L’occasione dell’incontro è stata la presentazione di una splendida verticale del Timorasso Costa del Vento presso la sede della delegazione Fisar di Livorno, una delegazione particolarmente attiva nell’organizzare eventi e degustazioni a tema, grazie anche all’affiatato team Davide Amadei-Fabio Baroncini, esperti e profondi conoscitori del “mondovino”.

Era dal Salone del Gusto di Torino che non vedevo Walter e l’ho trovato in splendida forma, con la sua solita inesauribile verve da istrione ammaliatore. Il suo carattere esuberante -semplice se vogliamo, ma sincero e diretto- non vuole sotterfugi: da lui non ti aspetti giri di parole o ipocrisie, Walter quello che pensa lo dice, e quello che dice lo conferma nella vita di tutti i giorni. Chi lo conosce sa quanto può essere travolgente una giornata trascorsa in sua compagnia, senza esclusione di colpi.

La sua vita da vignaiolo e la passione profonda per la campagna di Monleale, sui Colli Tortonesi (provincia di Alessandria), si sono fuse per trovare nell’uva timorasso una bussola di riferimento nell’oscurità di una denominazione dallo scarsissimo appeal. Non che le sue Barbera siano da meno, sia ben chiaro, e la Bigolla ne è affidabile testimone, specialmente in certe annate memorabili (in genere quelle più calducce). Ma nell’espressività del Timorasso Walter ha trovato un prolungamento dei suoi pensieri, una rappresentazione precisa del suo ideale di vino, che ha da essere forte, robusto, impattante, senza però trascurare una certa vena sottile, dolce, ciò che accompagna come un leit motif tutta la sua produzione.

Qui lo dico e qui lo nego: in fatto di Timorasso della casa prediligo da sempre il Derthona ai ben più muscolari Costa del Vento e Sterpi (le cui uve ci provengono da due vigne distinte). Sarà una mia forma mentale, quella di ricercare nei vini una certa dinamicità e un certo sviluppo progressivo dall’ingresso bocca fino alla chiusura, fatto sta che lo preferisco.

Devo dire però che approcciandomi a questa verticale con un’ottica diversa, quasi come se mi trovassi di fronte a dei bianchi rodaniani, con la loro opulenta, dolce espressività, profusa più in larghezza che in finezza, il timorasso Costa del Vento l’ho trovato più leggibile, più intrigante e soprattutto più bevibile e scorrevole delle attese. Non me ne voglia Walter, ma anch’io dico quello che penso. Per cui oggi, sebbene avessi una piccola diffidenza verso questo cru, alla prova dei fatti il vino ha superato ampiamente la prova, dando l’impressione di un progetto ormai ben disegnato, di un lavoro ben cesellato annata per annata, costruito nel classico rapporto vitigno-viticoltore-vino e nell’ottica della esaltazione di un distinto territorio. Tralasciando così i dettagli tecnici aziendali, che si possono facilmente trovare disseminati su internet e nei vari siti di settore, mi preme ricordare solo alcuni episodi che hanno determinato le scelte vitivinicole di Walter.

Dopo le iniziali vinificazioni tutte volte a sperimentare il potenziale del timorasso( 1990-1994), fra intuizioni e approssimazioni, Walter conosce in Friuli (1995) alcuni produttori che lo introducono ad una vinificazione diversa (macerativa, sulle fecce fini ), a loro dire migliorativa quanto a profondità e finezza di estrazione. E il suo Timorasso a quel tempo aveva sicuramente bisogno di un maggior dettaglio espressivo. Conosce poi (anni 2000) la microfiltrazione, pratica che contrariamente ad altri lui trova esemplare per ottenere vini puliti e tecnicamente più stabili e longevi. Infine approda definitivamente a un’agricoltura “verde” (ma in realtà lo è sempre stata) senza certificazioni ma con tanto buon senso: inutile,dice, essere biologici e poi usare quantità inverosimili di zolfo e rame o non usare assolutamente solfiti per produrre vini fortemente ossidati! Come dargli torto, anche alla luce di certi prezzi di sedicenti produttori biologici o biodinamici, quasi giustificativi di conduzioni agronomiche estreme? Alcune volte -e ripeto “ alcune volte”, per non essere frainteso- mi appaiono mere operazioni di “marketing verde” più che sinceri propositi filosofici.

In sintesi vi scrivo le mie impressioni sulla degustazione, presentata al pubblico “fisariano”  dall’onnipresente Riccardo Margheri, conosciuto fra gli addetti ai lavori come competente wine-journalist e raffinato gourmet,  oltre che  simpatico conduttore.

Dalla nascita all’adolescenza:

1990: timido esempio del potenziale del timorasso, fra note dolci e ossidative, accenni  terziari e note canforate. Vigne giovanissime ma vigorose per un vino che è diventato un cult fra gli appassionati.

1992: annata piovosa, uve non troppe belle. Il bravo Walter prova una sorta di “chaptalisation”, visto il basso grado alcolico. Ne nasce un vino fuori dagli schemi tipologici, con riferimenti addirittura trebbianeschi, alla Valentini per intenderci. Appena un po’ di volatile in eccesso, un naso sporchetto e umorale, ”impellicciato” ma di grande espressività “emotiva” per come il dettaglio vada dal fiore bianco, al caffè, al sottobosco. Lungo finale. Insomma, il Timorasso-non Timorasso.

1995: maggior profondità, crescono le vigne (e si sente): anice stellato, liquirizia, idrocarburi e miele. Gusto succoso anche se un po’ statico.

1996: annata esile ma vino comunque godibile. La tenuta in bottiglia conferma la predisposizione all’invecchiamento, con profusioni terziarie e note ossidative ma con un bilanciamento acido/minerale in sintonia con il tutto. Ottimo in abbinamento con un maialino laccato al miele, puré di patate e mela golden.

1997: annata calda e generosa, adatta a produrre vini alcolici e potenti. Questo vino ne incarna lo spirito e propone un  insieme esplosivo di aromi sempre presenti ma soprattutto terziari, profondi e salini. In bocca è largo e generoso, anzi esuberante, ma proprio per questo mi piace. Ancora diversa strada davanti per il vino che sancisce l’inizio dell’adolescenza.

Dall’adolescenza ai mitici vent’anni:

1998: nonostante l’annata piccola il vino ne esce fuori con grande dignità, smagrito nel corpo ma continuo e abbastanza equilibrato nello sviluppo. Leggermente evoluto, con le classiche note idrocarburiche a sorreggere aromi più dolci di miele, liquerizia e rabarbaro. Amarognolo nel finale. Costa del Vento decide di iscriversi al liceo.

1999: da una buona annata un vino a tratti godibile e profondo nei suoi aspetti aromatici, a tratti cupo e impreciso, con un fraseggio incompiuto, sebbene fondamentalmente espressivo. Il vino cerca una definizione, Walter cerca di domare l’impeto del vitigno, fra i più impegnativi da trattare, con un rapporto ore lavorate per ettaro altissimo. Siamo nel pieno dell’adolescenza.

2000: annata calda e quindi leggere surmaturazioni ed evoluzioni, in un contesto però di discreto equilibrio, nonostante l’esubero alcolico, con un profilo aromatico tutto sommato dettagliato. Un po’ avvitato su se stesso al gusto, manca del cosiddetto rilancio fra un sorso e l’altro. Si pensa all’Università.

2001 e 2002 non giudicabili. Ho trovato due campioni ossidati e troppo evoluti per essere ritenuti significativi.

Dall’ università al matrimonio:

2003: annata caldissima, ma Walter si accorge che i grappoli sottostanti a quelli bruciati dal caldo impietoso delle valli Tortonesi di quell’anno si sono incredibilmente salvati, proprio perché protetti dai raggi del sole e quindi procede alla raccolta e alla spremitura. Ne vien fuori un vino convincente e maturo, pieno, energico, ovviamente di media freschezza  ma profondamente minerale. Costa del Vento ha scelto la facoltà giusta.

2004: mi imbatto in un campione in via di ossidazione, forse il tappo della bottiglia ha fatto passare troppa aria. Maledico quel produttore di sugheri (sebbene Walter ci abbia garantito di aver scelto ora il top in circolazione). A memoria però (assaggio di circa 6 mesi fa) ricordo una grande prestazione di Costa del Vento 2004, con una freschezza superiore ad altre annate e un bel dinamismo gustativo. Ne ho una bottiglia a casa, credo che la ritesterò. Costa del Vento, nel frattempo, si avvicina alla laurea.

2005: ancora un esempio di quanto l’uva timorasso si avvicini al riesling quanto a precursori aromatici, ma in fondo all’anima resti pur sempre un vino/vitigno mediterraneo: agrumi e idrocarburi all’attacco, poi miele e anice stellato, caramelle ricola ma anche timo, rosmarino e liquerizia. Qui buon equilibrio e affondo continuo,  mediato da una alcolicità finalmente non esuberante. Succoso e convincente. Costa del Vento si fidanza con una ragazza del posto.

2006: sostenuto da una buona materia, iodato, ancora un po’ lattico, mielato e dolce con una decisa, profonda mineralità. Non sarà un mostro di eleganza ma vengono fuori anche note fresche di pera, pesca bianca e mela, che articolano il vino. Ben miscelato fra l’esuberanza tipica del vitigno e la sapidità minerale, solo un eccesso di alcool fa capolino con l’ossigenazione.

2007: l’annata calda sicuramente influisce sulla struttura imponente del vino. Ma ormai Walter sa ben gestire le vendemmie calde che si avvicendano a Monleale (territorio caldo per eccellenza). Il vino forse risulta un po’ dolce e mielato, con le note tipiche di petrolio bianco che si intercalano fra una “sniffata” e l’altra, ma lascia spazio anche a una certa dinamicità. Non è inchiodato e solamente dimostrativo, ma si articola a più riprese fra florealità e speziatura. La sapidità, nel frattempo, si fa tranchant. Non so voi ma a me questa esuberanza piace. Costa del Vento si sposa e si riconcilia con il suo territorio di elezione.

Dopo una panoramica così esaustiva viene da chiedersi quale sarà la prossima mossa di Walter. Egli ormai è il fulcro e il riferimento per i vignaioli della zona ed ha aperto la strada alla denominazione. Considerate la sua genialità e la sua estrema sensibilità verso la viticoltura sostenibile, ci aspettiamo nel futuro interpretazioni “timorassiane” ancor più godibili e “fresche”, in considerazione di una proposta gastronomica  “ristorantizia” che si va facendo ormai più equilibrata, leggera ed essenziale. Ma Walter, si sa, è spirito libero. E a guidarlo sarà sempre, solo e soltanto, il suo notevole estro di vignaiolo-artigiano.

PS: un sentito grazie a “Pigino” per i suoi salumi e a Walter per i suoi vini.

L'AcquaBuona

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